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  • UN TEMPO LA NATURA ERA UTILIZZATA, NON SFRUTTATA

    UN TEMPO LA NATURA ERA UTILIZZATA, NON SFRUTTATA

    UN TEMPO LA NATURA ERA UTILIZZATA, NON SFRUTTATA.

    La morfologia e il clima del territorio hanno riflesso sulla nostra alimentazione?

    formaggio

    é una news di www.formaggio.it

    Nei secoli scorsi le diverse situazioni climatiche “obbligavano” l’uomo ad alimentarsi secondo le necessità del luogo di residenza.  Le diverse caratteristiche del territorio italiano, determinate dalle diverse posizioni geografiche, hanno sempre influito sul metodo di vita, sul lavoro, e naturalmente sul tipo di alimentazione che seguiva la stagionalità soprattutto in funzione della reperibilità dei prodotti dell’agricoltura.

    Tempo indietro non era usuale caratterizzare l’alimentazione come la si definisce oggi “agro-alimentare” ma semplicemente veniva utilizzato tutto ciò che la terra produceva semplicemente in funzione di ciò che il contadino coltivava ma anche di ciò che si trovava in natura, libero e selvaggio, compreso la carne. Da ciò è facile intuire che in campagna così come in montagna si sfruttava in pieno la territorialità, la morfologia del territorio e lo sfruttamento massimo delle capacità umane e delle poche attrezzature.

    Così era che in montagna, nei pendii più inclinati, si lasciava che la natura si occupasse della crescita spontaneamente delle erbe che potevano essere sfalciate e, merito della gravità, e una volte essiccate al sole, facilmente portate a valle e stoccate nei fienili. Nei fondo valle e nelle pianure invece, la facilità di coltivare permetteva, così come lo permette ora, di lavorare la terra e coltivare in modo intensivo o estensivo secondo le esigenze.

    Vuoi allora che il vero sfruttamento della terra era il semplice seguire le varie mutazioni climatiche e la morfologia della terra, mentre ora viene sfruttato il terreno come fosse materiale da riproduzione e di conseguenza da sfruttare in modo continuo, senza alcun riposo, per ottenere risultati sempre più remunerativi. Per ciò la grande differenza fra un tempo che fu e oggi è che la natura era utilizzata e non sfruttata.

    Tutto questo breve ragionamento si ripercuote anche sulla situazione dell’alimentazione ovviamente quale risultato del recupero di ciò che la terra poteva e può dare. Un tempo la situazione climatica differenziava l’alimentazione tanto da influenzare la produzione. Un esempio emblematico è quello del burro, prodotto dello sbattimento del grasso del latte, che veniva fatto soprattutto nell’arco alpino dove evidentemente il clima consentiva il suo uso per scopi energetici ma anche il suo smaltimento causa le fatiche lavorative che la montagna adduceva. Il clima e lo sfruttamento del suolo hanno anche riflesso nei luoghi caldi come il nostro Meridione dove naturalmente le necessità erano all’opposto di quelle dell’arco alpino ovvero, smaltire il burro diventava davvero problematico così come mantenerlo in luoghi dove la refrigerazione naturale era impossibile.

    Oggi si è capovolto il tutto, tanto da non esistere più, o quasi più, l’abitudine e la tradizione alimentare basata sulla peculiarità climatica. A dire la verità e per fortuna, le produzioni dell’agro-alimentare italiano, ovvero i prodotti tradizionali, (Pat) esistono ancora anche se numericamente molto inferiori ai prodotti commerciali, e per questo la loro valorizzazione dovrebbe essere in vetta alle preoccupazioni di tutti. Salvaguardare queste produzioni non significa essere obbligati a utilizzarle secondo la morfologia o il clima del territorio, cioè solo nel luogo di origine, anche perché oggi abbiamo la fortuna dei trasferimenti e dei trasporti rapidi, ma in funzione di un tipo di alimentazione più sano è più buono, e perché no, più attento al nostro passato.

    Oggi è cambiato tutto, si trova la mozzarella fatta in malga, e qui inorridisco, come il burro di pecora in Sardegna. Tutto è cambiato, non dico nulla di nuovo, come non uso fantasia a dire che la commercializzazione, le vendite on line hanno portato certamente facilità di divulgazione di prodotti, anche quelli difficilmente reperibili, ma hanno determinato uno zibaldone di usanze che di tradizionale non hanno nulla. Non possiamo rifiutare scambi commerciali globali se noi stessi globalizziamo la nostra vita e la nostra alimentazione che si allontana sempre più dalla famosa e invidiata dieta mediterranea.

    È bene ricordare che il nostro Paese è “fatto” di alimenti tradizionali ma senza il loro consumo, da parte nostra, questi prodotti non avranno il giusto utilizzo sulle nostre tavole, che invece dovrebbero avere, e di conseguenza anche lo sbocco economico meritato.

     Scritto da Michele Grassi per Formaggio.it;
    (link: www.formaggio.it)

    formaggio.it

    Formaggio.it – l’ambasciatore del formaggio italiano nel mondo. A un formaggio corrisponde un territorio. Uno spicchio, tanti spicchi di un’Italia che ha nei paesaggi da sogno e nelle risorse culturali e artistiche uniche un fascino riconosciuto. I formaggi italiani mettono in relazione la loro funzione esterna di conoscenza e connessione dei singoli territori con il mercato esterno per accrescere l’appeal dei visitatori. Una vocazione che Formaggio.it sviluppa e indirizza nei canali che motivano il turista-gourmet, facendo assurgere le varie tipologie di formaggi a propulsore di promozione per le specificità e le potenzialità di province e località.

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    (link: www.pixabay.com)

    www.tipici.news

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  • Aridocoltura e territorio. Uno spunto per la gestione responsabile dell’acqua

    Aridocoltura e territorio. Uno spunto per la gestione responsabile dell’acqua

    Aridocoltura e territorio. Uno spunto per la gestione responsabile dell’acqua.

      è un articolo di Erganeergane.org

    La gestione dell’acqua in agricoltura è una grande sfida per la società moderna.

    Sin dall’antichità la fertilità del suolo e la presenza di acqua hanno permesso lo sviluppo delle civiltà umane. Un suolo ricco portava nutrimento a persone e animali. In tempi antichi si poneva molta attenzione alla gestione delle acque irrigue: pensiamo alle opere di canalizzazione del Nilo e della mezzaluna fertile.

    Attualmente le necessità imposte dal mercato inducono piccoli e grandi coltivatori a sfruttare l’acqua in maniera sempre più scellerata. Si stima che In Italia oltre il 50% dei prelievi di acqua sia destinato ad usi irrigui. La nostra produttività agricola per ettaro in termini di prelievi di acqua è la più bassa fra quelle Europee. Con la Spagna, l’Italia è il Paese che registra il tasso più alto di prelievi sulle risorse idriche disponibili e la maggior parte degli impianti di irrigazione sono a pioggia. Questo significa uno spreco idrico più alto, poiché si comprende come l’irrigazione di superficie, soprattutto se applicata nelle ore più calde della giornata, come spesso accade nelle grandi industrie agricole, produce una veloce evaporazione dell’acqua.

    Agricoltura e industria consumano in gran parte acqua potabile che restituiscono spesso inquinata e sono i settori che pagano le tariffe più basse per uso dell’acqua potabile. Il problema è chiaramente legato all’attuale modello economico-sociale, per cui non esiste stagionalità del prodotto né contesto territoriale, nel senso che la produzione agricola su larga scala, come una vera e propria industria del cibo, non tiene conto di clima, temperature, suolo o altri fattori che potrebbero determinare una specificità della produzione, ma punta essenzialmente alla produzione intensiva di cibo standard, per foraggiare il mercato globale del prodotto indifferenziato.

    L’irrigazione è una pratica indispensabile per l’agricoltura, tuttavia può essere impiegata secondo una precisa programmazione ed equilibrio delle disponibilità d’acqua presenti nel terreno. Esistono numerose strategie per ridurre lo spreco idrico in agricoltura è sufficiente rivolgere lo sguardo al nostro passato e prendere spunto per migliorare le tecniche future.

    Nel nostro territorio(Puglia, Italia), per esempio, da sempre caratterizzato da estati afose e poco piovose e inverni relativamente miti, la produzione agricola in passato era essenzialmente basata su colture a bassa esigenza idrica. Si parla oggi di aridocoltura per riferirsi a quelle strategie messe in atto per decenni dai nostri avi, senza nessun altro strumento se non l’osservazione diretta del contesto e la valutazione empirica delle risorse a disposizione. In Permacultura, il sistema di progettazione di ecosistemi sostenibili e resilienti, “Osserva e interagisci” è il primo principio da rispettare per poter progettare nel rispetto della natura e senza uno spreco energetico. Questo stesso approccio permetteva, in passato, di ottenere raccolti più che soddisfacenti, con un utilizzo pari a zero di tecniche di irrigazione manuali.

    aridocultura e territorio uno spunto per la gestione responsabile dell'acqua - aridoculture and territory a cue for responsible water management 1

    L’aridocoltura predilige, infatti, i cereali, i legumi e altre varietà a ciclo autunno-primaverile. In questo modo si sfruttano le piogge e le temperature più basse, legate a questo periodo dell’anno: il cece nero, la cicerchia, i fagioli bianchi, la canapa sono solo alcune delle coltivazioni tipiche, senza dimenticare l’ulivo e la vite. La produzione di altre colture più bisognose di irrigazione non deve essere ovviamente eliminata dal nostro immaginario, ma si può pensare di ridurre la produzione a livello domestico e non su larga scala e innescare altre strategie di risparmio idrico, interconnesse e allo stesso modo efficaci.

    Come per esempio, l’utilizzo di impianti di irrigazione a goccia in combinazione con la pacciamatura. L’impianto a goccia evita lo spreco idrico perché si basa sul principio di distribuzione dell’acqua vicino alle radici delle piante, nella quantità e con la frequenza più idonea alla fase di sviluppo della coltura. La pacciamatura, invece, consiste nel creare uno strato di 20-30 cm di paglia o altro materiale organico che funge da copertura costante per il terreno coltivato, in questo modo si riduce di molto l’evaporazione dell’acqua di irrigazione e il terreno è protetto dai raggi solari diretti.

    aridocultura e territorio uno spunto per la gestione responsabile dell'acqua - aridoculture and territory a cue for responsible water management 1

    Esiste un’ulteriore strategia, molto simile alla pacciamatura, che si basa sull’utilizzo al posto della paglia di rami e ramaglie, precedentemente sminuzzati e trasformati in cippato. Il metodo detto BRF, che sta per Bois Ramèaux Fragmentès (cippato di ramaglie fresche) è stato ideato in Francia dal professore Gilles Lemieux e prevede la copertura completa del terreno di coltura con uno strato di 20 cm di cippato di rametti con diametro inferiore ai 3 cm. Il cippato favorisce, e se necessario ricrea, l’attività biologica del suolo (funghi, microflora, microrganismi animali), migliora la struttura dei suoli, ma anche il potere di ritenzione idrica. Si basa essenzialmente sulla simbiosi funghi/ lignina, un componente chimico organico presente in tutte le piante. I funghi risultano essere gli unici in grado di biotrasformare la lignina, digerendo i suoi enzimi e producendo così humus stabile. Lignina e funghi hanno proprietà e caratteristiche uniche, che li rendono una coppia determinante per l’origine dei suoli e che tuttavia conosciamo ancora poco.

    La gestione dell’acqua in agricoltura è una grande sfida per la società moderna. La mancanza di responsabilità nella gestione delle risorse idriche in agricoltura è molto più pericolosa di un uso scorretto dell’acqua in ambito domestico. Sperimentare strategie nuove, interconnesse, guardando il proprio contesto territoriale è il punto di partenza verso un modello agricolo veramente sostenibile, che cambia l’orizzonte d’attesa e migliora le condizioni di partenza delle generazioni future.

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