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  • É SOLO LA PASSIONE A DARE SENSO AL LAVORO

    É SOLO LA PASSIONE A DARE SENSO AL LAVORO

    É SOLO LA PASSIONE A DARE SENSO AL LAVORO.

    Sapere e saper fare. Un capitale da difendere, rendendolo insensibile alle variazioni della borsa inalienabile nelle compravendite finanziarie che non riescono a valorizzare la vera ricchezza di un prodotto finito.

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    Per questo l’Europa deve tutelare e promuovere la straordinaria capacitá delle manifatture.

    Scriveva Theodor Adorno che “la libertá non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta”. Una riflessione che mi sembra molto adatta per descrivere la situazione in cui ci troviamo, dove spesso, anziché ricercare la fertile unione di principi complementari, si persegue solo e soltanto una direzione, svilendo cosí la ricchezza che nasce dalla diversitá.

    Quando si considera il modello economico non solo italiano, ma anche di altri Paesi europei, infatti, spesso si tende a riflettere in senso dicotomico: industria contro artigianato, digitale contro manuale e cosí via. Ma non é certo questo il modello economico pi adatto per comprendere le prospettive di crescita dei Paesi come i nostri, dove l’economia si basa anche sulla cultura: una cultura intesa non solo come patrimonio museale, ma anche come preziosa ereditá di saper fare, di saper progettare, di saper creare a regola d’arte.

    Cultura e lavoro: ovvero cultura del lavoro. Di un lavoro fatto non da insetti, ma da esseri umani, che dedicano la propria vita e la propria creativitá al raggiungimento di una perfezione funzionale che fa storia tanto quanto la creativitá.

    Secondo le previsioni dell’ex direttore di Wired, Chris Anderson, riportate dall’economista Stefano Micelli, la prossima rivoluzione industriale sará guidata da una nuova generazione di piccole imprese operative a cavallo tra altissima tecnologia e artigianato, in grado di fornire prodotti innovativi che siano estremamente personalizzabili e in edizioni limitate. Una prospettiva che peró, se ci pensiamo, é giá una realtá operativa e fruttuosa in tanti dei campi in cui l’Italia eccelle: dalla moda al design, dalla nautica alla gioielleria.

    Tante nostre imprese, spesso piccole o familiari, si sono negli anni sapute imporre come partner di rilievo per tanti gruppi del lusso che qui vengono a far realizzare scarpe, borse, abiti, gioielli; perché oltre a una grande capacitá artigianale, qui si trovano anche (e ancora) abili maestri in grado di far evolvere le tecniche e le arti, ovvero di offrire capactiá di innovazione che procedono di pari passo con il mantenimento del grande patrimonio culturale e artigianale accumulato nei secoli.

    Intendiamoci: la capacitá di muovere bene le mani non é appannaggio esclusivo di nessuno. Ma in Europa, e in tutto il mondo, vi sono distretti o addirittura cittá dove alcune lavorazioni sono ormai diventate parte del Dna, si respirano dell’aria, si incontrano negli occhi e nelle mani delle persone; ci sono territori dove il materiale e l’immaginario si incontrano per permettere a oggetti magnifici, espressivi, funzionali di vedere la luce grazie al lavoro e alla creativitá.

    Forse é proprio in quest’area di incontro tra tecnologia e artigianato, tra design (inteso come cultura del progetto) e capacitá di interpretazione, tra visione prospettica e sapienza storica che ci sono margini di crescita interessanti per tutti coloro che, ieri come oggi, sanno che il futuro é di chi sa vedere oltre il bianco e nero della realtá per ricercare soluzioni nuove, creative, á la carte.

    Soluzioni su misura per bisogni sempre nuovi, che peró in fondo sono antichi come l’uomo: il bisogno di riconoscerci in un oggetto che ci parli di noi stessi, in un gesto che non sia solo bruta azione sulla materia ma consapevole trasformazione di essa, in uno sguardo che non veda solo il profitto immediato ma anche l’investimento su un capitale futuro.

    Un capitale fatto di sapere e di saper fare, che sia quindi insensibile alle variazioni della borsa e inalienabile nelle tristi compravendite finanziarie che non valorizzano mai l’unica cosa che dá senso al lavoro: la passione.

    Scritto da Franco Cologni per il magazine Mestieri d’Arte & Design, Anno IV, Numero 7, Aprile 2013, pag.106;
    (link: www.issuu.com)

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    Mestieri d’Arte & Design è un progetto editoriale dedicato all’eccellenza artigianale italiana e internazionale, alle sue origini e ai suoi rapporti con la creatività e lo stile. Non solo storie o prodotti, ma anche materiali, tecniche, atelier, scuole, botteghe e gli artefici: i maestri d’arte.

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  • TREND ITALIANI: PERSONE, IMPRESE, PAESE

    TREND ITALIANI: PERSONE, IMPRESE, PAESE

    TREND ITALIANI: PERSONE, IMPRESE, PAESE.

    Né ci stiamo orientando verso un futuro di decrescita felice, né stiamo ritornando al recente passato consumistico. Quel che succede è ancora diverso, e più complesso.

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    Sono stata al seminario nel corso del quale Eurisko (link: www.gfk.com), la maggior società di ricerche sociali e di mercato del paese, come ogni anno analizza i nuovi trend italiani. La prima indicazione è che né ci stiamo orientando verso un futuro di decrescita felice, né stiamo ritornando al recente passato consumistico. Quel che succede è ancora diverso, e più complesso. Qui di seguito trovate i miei appunti.

    Nuove culture mettono radici in un cambiamento sociale non riconducibile alla crisi, dice Silvio Siliprandi. Il primo dei paradossi generati dalle società occidentali avanzate è stato intercettato già nel 1968 da da Robert Kennedy (link: www.youtube.com), in un notissimo discorso: il PIL misura tutto tranne quello che rende la vita degna di essere vissuta. Ma se si costruisce un indice ponderato di benessere e soddisfazione personale (IBS), si vede che questo, a partire dal 1997, decresce al crescere della ricchezza.

    Sono tre le grandi cause del malessere:

    1- Crisi economiche continue causano incertezze e paura. Negli ultimi 15 anni si registra un incremento di consensi sull’affermazione “il futuro mi preoccupa”. Non è solo un fatto di perdita del potere d’acquisto: crollano miti, e neppure la famiglia, quella che in passato ha sopperito a tutte le carenze del welfare, viene più percepita come luogo di sicurezza.

    2- C’è un’insostenibile sperequazione nella distribuzione delle ricchezze (link: temi.repubblica.it): L’Italia è un paese diseguale e polarizzato, al sesto posto per ineguaglianza dopo Messico, USA, Polonia… e la ricchezza è “poco investita”. Circa 18 milioni di italiani sono a rischio povertà/esclusione.

    3- Ad aspettative crescenti corrispondono realizzazioni calanti: l’individuo oggi è solo, assediato e sotto pressione. Da una parte aumentano le risorse personali: cultura, informazioni, relazioni, tecnologie. Dall’altra calano la presenza, la legittimità e il supporto offerto nella vita quotidiana delle istituzioni e delle imprese, che non vengono più percepite come autorevoli produttrici di senso. Cresce la complessitá percepita. Le persone sono più autonome e protagoniste ma anche piú bisognose di riconoscimento, confronto e relazione: sono individui indipendenti, che però cercano istanze in cui identificarsi.

    Così nascono culture, valori e consumi nuovi. Non è, come si pensa, solo il calcolo economico a ispirare le scelte, ma sono bisogni crescenti di benessere e soddisfazione. Dal cibo alla tecnologia, c’è bisogno di simboli, esperienze, icone emotive forti.

    Si vanno delineando quattro principali forme culturali di consumo:

    la prima è orientata alla ricerca dell’opportunità e delle migliori alternative di prezzo, anche grazie all’e-commerce.

    La seconda è orientata alla relazione, allo scambio e al confronto.

    La terza è orientata all’esperienza, anche intesa come risposta sensoriale a una società sempre più smaterializzata.

    La quarta è orientata alla sostenibilitá, intesa non più solo in termini ambientalisti.

    Mentre decresce il consenso sull’affermazione “compro solo i prodotti delle marche più note”, decresce anche il consenso sull’affermazione “per me una marca vale l’altra”: la situazione è fluida e, proprio perché i vecchi rapporti fiduciari sono in crisi, aumentano le opportunità per le imprese che sapranno coglierle.

    Circa il 71% dei consumatori non si sente rappresentato da alcuna marca, dice Fabrizio Fornezza.

    Per fiducia nelle istituzioni, l’Italia era penultima su 25 paesi, sopra Argentina e sotto Spagna e Giappone. Per fiducia nelle aziende, l’Italia è ultima sotto Russia e Argentina: siamo campioni mondiali di scetticismo e paranoia. Il basic trust (l’indice di fiducia) é circa la metá di quello degli altri paesi, secondo il global trust index di Eurisko. [dati riferiti ai dati Eurisko 2013]. In generale, la relazione con quasi tutte le aziende/istituzioni è tiepida.

    Che fare? Occorre tornare a radicarsi nel territorio e nelle culture locali, rendersi utili alle persone aiutandole a crescere, proporre emozioni autentiche, valori forti, etica. E occorre essere più flessibili nell’offerta, sia semplificandola (e abbassando i prezzi), sia arricchendola di nuovi contenuti distintivi. I bisogni vanno intercettati anche quando non vengono formulati. Diceva Henry Ford: se avessi chiesto ai miei clienti cosa volevano, mi avrebbero risposto “un cavallo più veloce”.

    L’esperienza di cui stiamo parlando, dice Isabella Cecchini, si esprime nella ricerca di sensorialità e di emozioni e nel bisogno di essere coinvolti e di partecipare, entrambi tesi all’arricchimento di sé e a raggiungere una condizione di benessere.

    Oggi ogni offerta significa anche qualcosa di più: i prodotti culturali si radicano nel territorio e da astratti diventano concreti (festival, incontri), le offerte per il tempo libero diventano occasioni di scambio e condivisione (terme, spa, palestre…), il cibo è memoria delle origini e occasione per stare insieme, e perfino i farmaci diventano elementi per un progetto positivo di sé. Non è solo un’attitudine autoconsolatoria: è il passaggio dal consumo di prodotti e servizi alla fruizione di esperienza sulle cui basi le imprese potrebbero costruire un nuovo, anche se non facile, rapporto di fiducia con le persone.

    Remo Lucchi inquadra queste tendenze in un contesto più ampio: è il cambiamento degli individui la vera variabile causale di tutto il resto. Oggi le persone sono più istruite, critiche, curiose: vogliono etica e quindi sostenibilità ambientale, sociale, culturale, economica. Cercano progetti di vita.

    L’offerta ha sempre preteso di governare la domanda, ma questa ora esige rapporti paritari, favoriti anche dallo sviluppo del web: per questo il focus si sposta dall’offerta di beni materiali alla proposta di benessere per le persone.

    È stata la crescita dell’istruzione a cambiare tutto: nel 1968 il 16% degli italiani aveva un’istruzione secondaria, nel 2000 siamo arrivati al 22%, nel 2012 al 42%, e nel giro di pochi anni arriveremo al 70%. In soli 12 anni, tra il 2000 e il 2012, l’istruzione è raddoppiata. E si tratta di un fenomeno mai avvenuto nella storia dei duemila anni precedenti.

    Quando la gente è ignorante, è soggetta all’autorità. Ma quando si accultura sviluppa senso critico, partecipazione, attenzione, curiosità e un bisogno forte di etica, intesa come rispetto degli altri, e di sostenibilità, intesa nel senso più ampio e come rispetto degli altri che verranno.

    Il concetto di “sostenibilità” è la chiave di tutto.

    Sostenibilità culturale significa rispetto delle diversità, e cercare non un’integrazione impossibile ma un’inclusione capace di creare coesione sociale.

    Sostenibilità sociale significa garantire sicurezza, salute, istruzione.

    Sostenibilità ambientale significa preservare il pianeta nel tempo.

    Sostenibilità economica significa capacità di generare valore nel tempo, mettendo a punto strategie di medio-lungo periodo e abbandonando le cieche logiche di profitto a breve che hanno dato origine a una spirale al collasso.

    Ma oggi l’offerta non sa rispondere al bisogno di sostenibilità. Non c’è progetto nella politica: mentre le persone chiedono protezione, tutela, visione, partecipazione, la proposta politica appare sfuocata, priva di etica, corrotta (link: www.transparency.org) e incapace di perseguire obiettivi forti e tali da generare coesione nazionale.

    Da dove ricominciare? Per esempio, dalle magnifiche cinque A che rendono grande l’Italia, e che da sole basterebbero a posizionarla come Paese del desiderio per il resto del mondo: Alimentazione e cibo, Abbigliamento e moda, Arredamento, Arte e cultura, Ambiente e territorio.

    Dopotutto, se ci pensate bene, nelle cinque A c’è già tutto quanto basta per ospitare, proteggere e nutrire il corpo e l’anima.

    Scritto da Annamaria Testa per il suo sito web Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá
    (link: www.nuovoeutile.it)

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  • LUOGHI PER L’IMMAGINE

    LUOGHI PER L’IMMAGINE

    LUOGHI PER L’IMMAGINE.

    C’era una volta il “Viaggio in Italia”.

    Ogni intellettuale che nutrisse amore per l’arte e la cultura considerava quell’evento come un traguardo prezioso ed ambito.

    Lo immaginava, molto romanticamente, come indispensabile pellegrinaggio lungo le vie dell’allora “Giardino d’Europa”. Alla ricerca di tesori miracolosamente conservati in un unico straordinario crocevia.

    Da Palermo ad Aosta, da Trieste a Ventimiglia, esso racchiudeva millenni di storia, documenti diversissimi e memorie universali. E prometteva ricordi indimenticabili.

    Memorie che raccontano di un territorio nel quale son venute depositandosi con singolare armonia, proprio accanto a monumenti di eccezionale importanza, le testimonianze di una diffusione orizzontale di sapere e di gusto estetico. Di essi, per secoli, hanno usufruito – con risultati spesso mirabili – anche centri e localitá che si insiste nel definire sbrigativamente “minori” nonostante conservino un proprio inconfondibile e misurato stile.

    Esiste di certo una scala di valori cui conviene riferirsi. Il concetto stesso di “Cittá d’Arte” esprime un insieme di differenze, propone una idea di evoluzione, suggerisce una compleassitá di contributi… e pertanto diviene modello.

    Ma é l’Italia intera che trabocca di luoghi cui converrebbe riservare qualcosa di piú di un’occhiata frettolosa.

    Appena a pochi passi dalle vie imposte dal consumismo turistico esiste un tessuto vario e promettente capace di riempire piú e piú viaggi ricchi di impensate suggestioni.

    É giusto, dunque, accostarsi ai capolavori ma non lo é di certo meno andare per centri di storia, anche minori, per paesi e borghi, per necropoli, castelli ed abbazie, a cercare di capire ed apprezzare quanti di essi siano perennemente vivi e non possono di certo essere racchiusi in una cartolina ricordo.

    tratto da
    (Sei paesi del sole, Carlo Federico Teodori, 1994, ArteambienteEdizioni)

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  • LA BOTTEGA DELLE MERAVIGLIE CI SALVERÁ

    LA BOTTEGA DELLE MERAVIGLIE CI SALVERÁ

    LA BOTTEGA DELLE MERAVIGLIE CI SALVERÁ.

    Trarre ispirazione dai grandi del passato per definire il nostro futuro. Solo cosí possiamo contrastare il nichilismo dell’anima.

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     Il Mestiere d’Arte é materia viva. Anzi, é vita. Uomo-mente-materia come sillaba da sempre Franz Botré, direttore ed editore di Swan Group (link: www.arbiter.it), l’uomo che ha voluto insieme con Franco Cologni (link: www.fondazionecologni.it) e la prestigiosa omonima Fondazione questo inno alla bellezza (link: www.mestieridarte.it).

     L’uomo che pensa, immagina. Elabora nella mente, sviluppa, plasma, taglia, cuce, conduce, interpreta, adatta. In altre parole crea. La materia che prende forma e si afferma come piccolo-grande capolavoro dell’ingegno. É una liturgia antica eppure contemporanea, che ha trovato nel design la formula alchemica capace di dare nuova linfa alla vita della bottega. Scrivo bottega perché é la piú elegante definizione di quel concetto commercio-laboratorio che ha fatto grandi le nostre cittá, le nostre civiltá. Guardiamoci intorno, in Italia come nel mondo. 

     Rendiamoci conto di cosa voglia dire “andare a bottega”. Nel XV secolo Leonardo da Vinci andava a bottega dal Verrocchio, Michelangelo imparava dal Ghirlandaio. La bottega era il luogo dell’insegnamento, dell’apprendimento, della prova, dell’esperimento, della collaborazione, della creazione di sé. Erano pittori, artisti. Ma continuavano a sperimentare ogni giorno nuove tecniche, eseguivano per nuove committenze. 

     Accanto a loro vivevano e lavoravano altri artigiani. I mastri falegnami, gli scalpellini, i muratori. Prendete una cittá qualunque, nel suo core storico. Per me é semplice, parlando della mia Firenze. La Cupola del Brunelleschi, l’armonia del Battistero (in origine tempio dedicato al dio Marte), la Torre d’Arnolfo che svetta dal Medioevo sopra Palazzo Vecchio. Gli affreschi. I ferri. Il marmo scolpito. Le vetrate artistiche. 

     Pensate. Pensateci bene. Non esistevano le universtitá con le specializzazioni odierne. Non esistevano le facoltá di ingegneria e architettura. Eppure issavano nel vuoto quintali di marmo. Blocchi che andavano incastonati in un disegno armonioso. Non c’era l’industria. Eppure guardate cosa é rimasto. Entrate nella Sacrestia di San Lorenzo, osservate i legni, gli intarsi, gli ori nelle finiture di quelle pale d’altare che sono capolavori dell’arte, al netto del nome di chi li ha realizzati. 

     Dove imparavano quegli artigiani? Dove apprendevano i segreti di quelle lavorazioni?

     A bottega. Ed é da questo concetto che dobbiamo ripartire per rafforzare il vero patrimonio dell’umanitá che é appunto il Mestiere d’Arte. 

     Guardiamo al Giappone e alla maniera con la quale vengono tutelati i “tesori nazionali viventi”, ovvero gli artisti-artigiani. Osserviamo con attenzione quanto le Fondazioni si ostinano a difendere davanti all’avanzata del nichilismo (ad nihil, la mancanza di un orientamento verso la finalitá della vita). Osservare una ceramica di Meissen é leggervi una storia, respirare l’atmosfera del decimo secolo, durante la dinastia Tang, rivivere lo spirito d’avventura che tre secoli piú tardi avrebbe guidato lungo la via della Seta la leggenda di Marco Polo, come la riscoperta di Johann Friedrich Bottger che fece della porcellana la propria pietra filosofale. 

     Significa riscoprire la manualitá di un laboratorio, il tramandarsi di antiche tradizioni, l’abilitá della manifattura, il gusto. L’uomo moderno non puó alienare questo patrimonio del proprio essere. Sia esso un vetro soffiato di Murano, una complicazione nata su un’isola di Ginevra, un liuto che nasce, un mobile che brilla in una dimora che fa della contemporaneitá una missione. 

     É con questo spirito dedicato alla bellezza, alla gioia, alla manualitá del moderno che affrontiamo questo viaggio teso alla valorizzazione delle nostre produzioni. Scrivo nostre pensando non a un territorio, ma a un contesto sociale nel quale conoscenza, curiositá, senso del bello uniscono popoli distanti. In Italia come nel Mondo grazie alla preziosa missione che porta Vacheron Constantin (link: www.vacheron-constantin.com) a sostenere l’internazionalizzazione di questo nuovo numero delle meraviglie (link: www.issuu.com).

    Scritto da Gianluca Tenti per il magazine Mestieri d’Arte & Design, Anno IV, Numero 7, Aprile 2013, pag.5;
    (link: www.issuu.com)

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    Mestieri d’Arte & Design è un progetto editoriale dedicato all’eccellenza artigianale italiana e internazionale, alle sue origini e ai suoi rapporti con la creatività e lo stile. Non solo storie o prodotti, ma anche materiali, tecniche, atelier, scuole, botteghe e gli artefici: i maestri d’arte.

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    É un progetto di Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte (link: www.fondazionecologni.it) e Symbol s.r.l. (link: www.arbiter.it)

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  • LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    Consumare vari tipi di frutta e ortaggi arricchisce la nostra dieta di sostanze essenziali e biologicamente attive capaci di prevenire numerose patologie.

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     Ancel Benjamin Keys, il biologo statunitense che scoprì i benefici della dieta mediterranea, nel 1993 segnalò che «la Dieta Mediterranea è principalmente vegetariana, cioè: pasta in varie forme, foglie condite con olio di oliva, verdura di stagione di tutti i tipi, spesso anche formaggio, ed ogni pasto termina con frutta e viene frequentemente integrato con vino».

     E aggiunse: «Io dico “foglie”. (…) tutti i tipi di foglie sono una parte importante della dieta di ogni giorno. Vi sono molti tipi di lattuga, spinaci, bietole, portulaca (…), indivia e rape».

      Ancel Benjamin Keys sottolineava così l’importanza della biodiversità anche nel piatto.

     Consumare vari tipi di frutta e ortaggi arricchisce la nostra dieta di sostanze essenziali e biologicamente attive capaci di prevenire numerose patologie.

     Completa il nostro fabbisogno di nutrienti.

     Arricchisce di colori e storie il nostro menù.

     Preserva dall’estinzione i prodotti della nostra terra.

     Ci migliora.

    Scritto da Pietro Santamaria per il progetto Biodiverso;
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

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    La principale finalità del progetto integrato BiodiverSO è quella di contribuire a raggiungere una significativa riduzione del tasso attuale di erosione della biodiversità delle specie orticole pugliesi.

    Puoi leggere tutte le news, le informazioni e le ricerche del progetto Biodiverso – Biodiversità delle specie orticole della Puglia.
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

    É un progetto di ATS “RETE PER LA BIODIVERSITÀ DELLE SPECIE ORTICOLE IN PUGLIA” “BIODIVERSO
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

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    (link: www.dispensadeitipici.it)

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  • DAL LABORATORIO AL MONDO, L’ATELIER D’IMPRESA

    DAL LABORATORIO AL MONDO, L’ATELIER D’IMPRESA

    DAL LABORATORIO AL MONDO, L’ATELIER D’IMPRESA.

    Valori condivisi, per esportare la cultura del saper fare. Partendo dall’apprendistato.

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     Valori condivisi. Partiamo da qui, da quel piccolo mondo antico che é patrimonio di conoscenza, di testa, mani e cuore, da quel laboratorio di saggezza e bellezza che é il mestiere d’arte. Un dogma che professiamo in maniera forte e chiara con la rivista Mestieri d’Arte (link: www.mestieridarte.it) da vari semestri, ma che in realtá appartiene al nostro acido desossiribonucleico, alla nostra mente, al nostro spirito. Lo sforzo che unisce Swan Group (link: www.arbiter.it) e Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte (link: www.fondazionecologni.it). La scelta editoriale di promuovere l’arte del saper fare e… il far sapere. Perché non c’é prodotto senza comunicazione. Soprattutto quando si parla di oggetti che, per quanto preziosi, esprimono una cultura d’impresa non seriale.

     Facile a dirsi, meno a realizzarsi. E qui torniamo al messaggio che la rivista Mestieri d’Arte (link: www.mestieridarte.it) sostiene in maniera accorata. L’Italia, terra di tradizioni, ha sbagliato praticamente tutto. Non negli ultimi anni, ma dal dopoguerra in poi. Ovunque, altrove nel mondo, si difendevano le eccellenze, facendo sistema, tenendo in vita un filiera che partiva dall’apprendistato e arrivava alla produzione, fino al commercio. Qui, invece, hanno resistito solo pochi magnifici solisti. Nell’omologazione del pensiero dominante é passato il concetto post sessantottardo del diritto allo studio e non del dovere studiare, del 18 politico nelle universitá. Chi lavorava a bottega (che bella parola!) era etichettato come un poveretto: non voleva studiare, é andato a lavorare. Come se la grandezza del made in Italy (quello vero) non l’avessero fatta arti e mestieri. Come se i nostri atenei sfornassero posti di lavoro invece che disoccupati.

     E allora ripartiamo dal nostro heritage. Dalla manualitá, certo. Ma nella chiave di un artigiano contemporaneo che interseca le proprie capacitá con il complesso universo del design. Riapriamo i nostri laboratori facendo entrare nuova luce. Non é un manifesto culturale fine a se stesso, un proclama. É un’esigenza dell’individuo che non subisce la massificazione e riscopre la bellezza. Quella bellezza che spesso é proprio negli occhi di chi guarda. Botteghe e artigiani sono parole che suonano poesia. In questo il concetto di laboratorio deve essere trasmutato in un nuovo credo: l’atelier d’impresa, che tutto racchiude. L’asse strategico resta immutato e si fonda sulla rivalutazione dei valori simbolici plasmandoli alla concretezza. Creativitá, design, maestranze qualificate, esperimento, perfezione.

     Fare giornali vuol dire comunicare, portare un’idea da A a B. Non sempre le buone intenzioni consentono il collegamento tra i due punti o la percezione dei contenuti. Invece Mestieri d’Arte, nel suo piccolo, é riuscito nell’intento. Finendo per essere apprezzato non solo dagli addetti ai lavori, dai lettori piú attenti, ma soprattutto da chi all’estero conosce bene il valore di quanto andiamo raccontando. Nasce da qui un nuovo capitolo della nostra storia. Perché l’edizione che vi apprestate a leggere (non a sfogliare) (link: www.issuu.com) viaggerá parallelamente nel mondo, in lingua inglese s’intende, grazie ad un accordo strategico per l’edizione internazionale con Vacheron Constantin, senza mutarne i contenuti. La Maison di Ginevra che dal 1755 fa della propria isola una fortezza granitica di manifattura sosterrá il patronage di Mestieri d’Arte nella nuova declinazione Arts & Crafts & Design. Ecco un’altra dimostrazione di come l’ingegno italiano attecchisce ovunque ci sia sensibilitá, una conferma della lungimiranza di Franco Cologni e della qualitá di ogni creazione di Franz Botré.

     Un’ultima nota che combatte contro il rischio della retorica. Troverete nel magazine (link: www.issuu.com) un intervento a firma di Gae Aulenti. Il suo contributo entrava in pagina quando la signora dell’architettura affrontava il Grande Mistero. Lo abbiamo lasciato integrale, scritto in prima persona, senza aggiunte né distici. Una forma di rispetto che esalta, una volta di piú, la grandezza di questa straordinaria interprete della creativitá, della regola e della “fattibilitá” di progetti ambiziosi. Una signora a cui diciamo solo grazie. Che la terra ti sia lieve.

    Scritto da Gianluca Tenti per il magazine Mestieri d’Arte & Design, Anno III, Numero 6, Dicembre 2012, pag.5;
    (link:www.issuu.com)

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    Mestieri d’Arte & Design è un progetto editoriale dedicato all’eccellenza artigianale italiana e internazionale, alle sue origini e ai suoi rapporti con la creatività e lo stile. Non solo storie o prodotti, ma anche materiali, tecniche, atelier, scuole, botteghe e gli artefici: i maestri d’arte.

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    (link: www.mestieridarte.it)

    É un progetto di Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte (link: www.fondazionecologni.it) e Symbol s.r.l. (link: www.arbiter.it)

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  • TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO

    TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO

    TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO.

     Viviamo (e chissà se ce ne siamo davvero accorti) nell’età del turismo.

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     È la più importante industria del nostro tempo, ed è la più inquinante: produce CO2 e consuma territorio. Alimenta un indotto gigantesco: c’è la produzione di aerei, navi, treni e auto e pullman, che senza turismo subirebbe una forte flessione. C’è la costruzione di strade e aeroporti. Di alberghi, villaggi e seconde case e campi da golf e piscine. C’è la fabbricazione di arredi e suppellettili e biancheria per alberghi e seconde case.

     E c’è la produzione di souvenir e di skilift, di sci, scarponi e costumi da bagno, di ciabatte e zaini e valigie e cappellini e creme solari… poi, c’è tutta l’editoria dedicata, su carta e in rete. Ci sono Google Maps e Tripadvisor.

    IL 10 PER CENTO DEL PIL MONDIALE.

     Senza calcolare l’incalcolabile indotto, il turismo internazionale vale 1522 miliardi di dollari (Wto – Organizzazione Mondiale del commercio, 2015). Il turismo locale vale molto di più: 7600 miliardi di dollari nel 2014, il 10 per cento del pil mondiale.

    SPAGNA E ITALIA.

     In Spagna, prima meta turistica al mondo, il turismo vale oltre il 15 per cento del pil e dei posti di lavoro. In Italia vale il 10,2 per cento del pil e l’11,6 per cento dell’occupazione (dati 2015). In Costa Rica (link: www.nuovoeutile.it) il turismo arriva a impiegare il 27 per cento della forza lavoro (e, grazie alla tutela del paesaggio, regala un futuro diverso all’intera nazione).

    LA GIOSTRA CHE CI MUOVE.

     Insomma, il turismo è una giostra su cui buona parte della popolazione mondiale è salita (o salirà tra breve), nei ruoli più o meno intercambiabili di viaggiatore o turista, o spettatore, o lavoratore del turismo. È un fenomeno globale, pervasivo e relativamente recente. C’è un’enorme letteratura sui luoghi del turismo, c’è un’ampia produzione di scritti sul marketing e la promozione turistica. Ma i ragionamenti sul turismo in sé, come nuovo stile di vita, sistema e comportamento condiviso, sono scarsi e frammentari.

    Turismo - tourism 1-min

    VOLENTEROSE ILLUSIONI.

     Con Il selfie del mondo (Feltrinelli) (link: www.amazon.it), Marco D’Eramo ci aiuta a capire come la giostra funziona, che cosa la muove e che cosa può romperla. Soprattutto, ci dice che la giostra è fatta di specchi, e che si fonda sul paradosso. Per questo, parlando di turismo, Il selfie del mondo ci parla di noi e dei nostri desideri, delle nostre illusioni e (infine) della nostra buona volontà.

    UN NOBILE PIACERE.

     In passato la gente non si muoveva se non era obbligata a farlo. Nel Cinquecento, solo i figli dei nobili viaggiano per piacere e formazione. Nel Settecento, “aver visto il mondo” diventa obbligatorio per un gentiluomo, a cui si consiglia di andare in giro con un blocco da disegno. Nasce così la categoria del “pittoresco”: ciò che salta all’occhio, è esotico ed è facile da dipingere.

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    BRUTTI E TANTI.

     Il turismo si espande a metà Ottocento, con la sbalorditiva diffusione dei mezzi di trasporto, e suscita nei nobili turisti tradizionali enorme fastidio per i “nuovi” e “brutti” e “tanti” turisti borghesi. Questi hanno mete che oggi ci sembrano stravaganti. A Parigi visitano le fogne, le prigioni e (lo racconta Marc Twain) l’obitorio.

    RIVOLUZIONE TURISTICA.

     Ma la rivoluzione turistica mondiale si verifica nel secondo dopoguerra: si passa da 25,3 milioni di viaggiatori internazionali nel 1950 al miliardo 186 milioni del 2015 (dato WTO). Il turismo non solo si globalizza grazie ai voli low cost, ma si specializza irreggimentando pubblici diversi (anziani, congressisti, studenti, fedeli in visita ai luoghii sacri…). E, scrive d’Eramo, si ingarbuglia (ingarbugliando anche noi) in una serie di paradossi disturbanti.

    PRIMO PARADOSSO: IL TURISMO FUGGE DA SE STESSO.

     Ogni meta desiderabile perché “autentica” ed “esclusiva” smette gradualmente di esserlo man mano che si trasforma in meta turistica. E poi, più un luogo “va visto”, meno diventa possibile vederlo, perché… è pieno di turisti.

    SECONDO PARADOSSO: L’AUTENTICA FINZIONE.

     I turisti ricercano l’autenticità, ma la individuano solo se è evidenziata, quindi “messa in scena”, quindi ostentata e inautentica. Questo fatto porta al terzo paradosso.

    TERZO PARADOSSO: LA TRADIZIONE INVENTATA.

     Per esempio, il Palio di Siena viene medievalizzato nel 1904. E i mercati “tipici” come il Mercado de San Miguel a Madrid finiscono per vendere solo ciò che i turisti si aspettano di poter comprare.

    QUARTO PARADOSSO: L’ENTROPIA TURISTICA.

     il turismo alimenta l’economia delle città e dei territori, ma la omogeneizza distruggendo le basi economiche su cui si fonda l’identità di quelle città e di quei territori. Nel Chiantishire i casolari diventano ville, nel centro delle città le botteghe diventano negozi di souvenir. I piccoli centri come San Gimignano si trasformano in un parco a tema.

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    QUINTO PARADOSSO: IL TOCCO LETALE.

     Il tocco dell’Unesco è – scrive D’Eramo — letale. Preservando le pietre e gli edifici, l’etichetta di Patrimonio dell’Umanità, anche se attribuita in perfetta buona fede, museifica i luoghi, li sterilizza, costringe gli abitanti all’esodo svuotando i centri urbani.

    SESTO PARADOSSO: IL FALSO È VERITÀ.

     L’inautentico turistico è un autentico (e dunque rimarchevole) segno del nostro tempo. Basti pensare al caso di Lijang, città turistica cinese interamente ricostruita, (oltre 20 milioni di turisti nel 2013). O al caso di Las Vegas. Due insediamenti che raccontano una verità proprio nel loro essere fenomeni del tutto artificiali

    SETTIMO PARADOSSO: FARE IL TURISTA È UN LAVORO DURO.

     Le persone si assumono volontariamente il compito di eseguirlo mentre sono in ferie, cercando di sfruttare con la massima efficacia il poco tempo disponibile. Un dettaglio rivelatore: quelli che dicono “ho fatto il Brasile, l’anno prossimo farò l’Asia centrale”. Che fatica…

    OTTAVO PARADOSSO: “LOCALE” È DAPPERTUTTO.

     Parliamo di gastronomia. Si moltiplicano le sagre enogastronomiche: in Italia sono oltre 34.000, più di quattro a comune. Abbiamo 1515 sagre della polenta e 1040 sagre della salsiccia, 5790 sagre del tartufo, 156 sagre della lumaca e 171 della rana… e si moltiplicano anche i ristoranti etnici, perché i turisti amano gustare di nuovo i sapori incontrati in vacanza. Ma la “cucina etnica” è come la “musica etnica”: ingredienti tradizionali riarrangiati per un pubblico globale.

    NONO PARADOSSO: NESSUN TURISTA VUOLE SENTIRSI TALE.

     Preferisce considerare se stesso un “viaggiatore”, e riversare il proprio disprezzo su qualcun altro che si comporta più “da turista”. La catena del disprezzo classista è forte: lo svago delle masse, che è recentissimo, ha ricevuto dagli intellettuali più critiche in dieci anni di quante il tempo libero degli aristocratici ne abbia ricevute in duemila anni.

    UN VIAGGIO TRA FENOMENI.

     Il testo di Marco D’Eramo è a sua volta un viaggio. Cioè un percorso tra fenomeni, luoghi, idee, dati, idiosincrasie, intuizioni e contraddizioni, e mille storie sorprendenti. Ma, proprio come capita nei viaggi materiali, anche procedendo di pagina in pagina l’autore entra in contatto con prospettive inaspettate e ne esce cambiato. E con lui noi, che l’abbiamo seguito leggendo.

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    C’È DEL BUONO, TUTTAVIA.

     La chiave del cambiamento di prospettiva sta in una serie di domande semplicissime: …e se il turismo fosse animato dal movente positivo dell’essere curiosi del mondo? E se non si trattasse d’altro che di una pratica di automiglioramento (self improvement) corporeo, emotivo e intellettuale? Del resto, in quale altra occupazione che la renda più felice potrebbe una sterminata massa di esseri umani investire il suo tempo libero? C’è qualcosa di commovente, scrive D’Eramo, nella fiducia che andare a visitare una città, un monumento, un paese possa aprirti la mente, renderti migliore.

    NOSTALGIA, FORSE.

     Eppure, la bistrattata figura del turista forse non durerà per sempre. Potremmo perfino cominciare a coltivare, nei suoi confronti, una specie di nostalgia. Il cambiamento del lavoro, che diventa sempre meno stabile, può cambiare l’idea stessa di “vacanza”. E lo sguardo turistico che cerca il nuovo, l’autentico e l’inaspettato, forse si appannerà dopo aver già visto in rete tutto ciò che merita di essere visto.

    Scritto da Annamaria Testa per il suo sito web Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá
    (link: www.nuovoeutile.it)

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    Nuovo e Utile è un sito di teorie e pratiche della creatività e non ha scopo di lucro. Vuole trasmettere una visione della creatività come stile di pensiero orientato a produrre risultati originali ed efficaci.

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  • DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA

    DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA

    DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA.

     Una realtá produttiva fatta di piccola e media impresa, frutto di un’antica tradizione che vive di alta qualitá grazie anche a oggetti unici al mondo.

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    é una news di www.mestieridarte.it

    Da quando siamo entrati nell’Europa unita ci hanno spiegato che ormai dobbiamo fare i conti con la globalizzazione dei mercati, per cui occorre produrre tanto e in modo omogeneo per poter conquistare mercati sempre piú vasti e competere con le grandi imprese multinazionali.

    Ma é pur vero che la nostra realtá produttiva é sempre stata caratterizzata dalla piccola e media impresa, aziende che rispetto alla tendenza sopra esposta stanno sviluppando una propria strada cercando di valorizzare sempre piú la “piccola produzione”.

    Valorizzazione che passa attraverso la qualitá, il marchio d’origine, fino alla produzione numerata (come con molti nostri vini); cosí possiamo dire che é in atto una battaglia, da una parte la grande produzione, dall’altra quella piccola e legata a culture e tradizioni locali. Sembra di rileggere le polemiche e le battaglie culturali di fine anni 70 dove i designer radicali (che guardavano con attenzione alle realtá locali, alla cultura contadina, alle esperienze periferiche…) si contrapponevano al design internazionalista (buono per ogni luogo e legato a una visione della nostra societá dipendente da un unico grande supermercato).

    Ieri come oggi. I nostri “sapori” cercano di mantenere la propria identitá e le centinaia di formaggi italiani, vini, salumi, verdure trovano ogni giorno sostenitori che si danno da fare perché non scompaiano dal mercato, e quindi dalla nostra tavola e dalle tavole internazionali di chi apprezza sempre piú i prodotti della cucina italiana. I mondi del design, delle arti applicate e dell’artigianato hanno lo stesso problema.

    Cosí, il consiglio che si puó dare é di cercare di operare collaborando! Oggetti “fatti ad arte” per i nostri “particolari” sapori. Due mondi, due realtá produttive che potremmo salvare attraverso un processo di collaborazione nella consapevolezza (spesso viene a mancare) che tutte e due le produzioni descritte appartengono alla nostra “cultura materiale”.

    Potranno cosí crescere oggetti che esprimono identitá, appartenenze, territorialitá, sfruttando l’apprezzamento di un nostro prodotto ormai penetrato diffusamente sul mercato. Pensiamo al fiasco di vino in vetro di Empoli per il nostro Chianti, ai grandi piatti di Vietri per la nostra pizza napoletana, la ceramica di Grottaglie per il nostro robusto olio del sud e quella di Nove per il delicato olio del Garda, la ceramica di Deruta per il prestigioso olio toscano e cosí via. Tanti oggetti per i tanti prodotti per cui siamo famosi in tutto il mondo.

    Il tema legato all’alimentazione ripropone il dilemma della scelta tra globalizzazione e localizzazione. Probabilmente occorrerá lavorare sui due fronti anche se la nostra cultura, il territorio e le tradizioni ci indirizzano verso progetti che guardano alla localizzazione e ai nostri tanti genius loci.

    Perché non proporre una mostra dove il consumare cibi venga proposto come qualcosa che passi attraverso i diversi rituali domestici della nostra quotidianitá (in continua evoluzione) e che non focalizzi quindi il momento della fruizione sui consueti colazione, pranzo e cena? Il tutto valorizzando, attraverso il progetto, gli strumenti, i prodotti e i cibi espressione delle nostre diversitá? Dalle tovaglie (tessuti e decori di Romagna, Abruzzo, Sardegna…) alle stoviglie in ceramica (di Grottaglie, Vietri sul Mare, Caltagirone, Deruta, Faenza, Nove, S.Stefano di Camastra…), vetro (di Murano, Colle Val d’Elsa, Empoli), pietra (di Apricena, ollare, Lavagna…) e poi argento, porcellana, vimini, legno… fino agli oggetti d’arredo.

    Un’occasione per verificare i tanti possibili collegamenti tra i nostri produttori di oggetti (artigiani e piccole imprese) e di alimentari, per creare e rinnovare sinergie e aprirsi a nuove possibilitá di sviluppo e comunicazione.

    Scritto da Ugo La Pietra per il magazine Mestieri d’Arte & Design, Anno III, Numero 6, Dicembre 2012, pag.14-15;
    (link: www.issuu.com)

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    Mestieri d’Arte & Design è un progetto editoriale dedicato all’eccellenza artigianale italiana e internazionale, alle sue origini e ai suoi rapporti con la creatività e lo stile. Non solo storie o prodotti, ma anche materiali, tecniche, atelier, scuole, botteghe e gli artefici: i maestri d’arte.

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  • RESPONSABILITÁ: PIÚ SE NE PARLA, MENO CE N’É

    RESPONSABILITÁ: PIÚ SE NE PARLA, MENO CE N’É

    RESPONSABILITÁ: PIÚ SE NE PARLA, MENO CE N’É.

     Responsabilità, affidabilità, coscienziosità, senso del dovere, dedizione. L’idea attorno alla quale si addensano tutti questi termini è quella del farsi carico. Del prendersi un impegno. Del fare la propria parte.

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    é una news di www.nuovoeutile.it

    TUTTO QUANTO CI SUCCEDE.

     In realtà, sarebbe un esercizio interessante provare a interpretare la cronaca di un qualsiasi telegiornale in termini di responsabilità. Quelle assunte, non assunte, trascurate, negate, ignorate, travisate, rinfacciate. E mistificate. Già: ci sono personaggi tanto smaliziati da fingere di prendersi una responsabilità inesistente per oscurare il fatto di trascurarne un’altra, importante e vera. È una variante sofisticata del gioco dello scaricabarile (www.nuovoeutile.it).

    NOTIZIE DI CRONACA.

     Per dirla tutta, ho la sensazione che oggi la parola “responsabilità” stia rimbalzando da una notizia di cronaca all’altra con una frequenza inedita. E che gli usi e le interpretazioni del concetto di responsabilità stiano diventando soggettive e strumentali, tanto che il senso stesso della parola rischia di consumarsi. E con questo il rigore, l’impegno e il complesso dei valori civili che la parola porta (dovrebbe portare) con sé.

    FACCIAMO UN RIPASSINO.

     Ecco perché ho pensato di provare a scrivere qualche riga sul tema. Giusto per capire se la parola che rimbalza lo fa portandosi ancora dietro tutto il suo senso, oppure se è diventata proprio di gomma.

    È RESPONSABILE CHI “RISPONDE”.

     La parole “responsabilità” viene dal latino re-spondere, (spondere, cioè promettere. Re, cioè indietro). È una parola recente (appare alla fine del ‘700) e rimanda a un concetto in sé moderno, perché strettamente legato all’idea di libertà individuale. Chi non è libero di scegliere se fare o non fare una determinata cosa, non può assumersene la responsabilità, e nemmeno può esserne considerato responsabile.

    LIBERTÀ E AUTONOMIA.

     L’inclinazione individuale a essere autonomi negli atti e nei giudizi e quella a essere responsabili sono correlate positivamente. Vuol dire che, quando è forte l’una, è forte anche l’altra. E ancora: là dove l’organizzazione sociale riduce o azzera le libertà individuali, anche il senso personale di responsabilità risulta ridotto o azzerato.

    PROPENSIONI E APPELLI.

     Una interessante ricerca condotta in collaborazione da università americane e russe ci dice a questo proposito alcune cose degne di nota. Per esempio, che è la libertà a rendere responsabili, e non il contrario. Accrescere il grado di autonomia delle persone aumenta anche la loro propensione ad assumersi una responsabilità, mentre il semplice appello all’essere responsabili risulta inefficace.

    NUOVE SFIDE.

     E ancora (traduco dalla ricerca): un’autorità (un genitore, un insegnante, un superiore gerarchico) aiuta i suoi subordinati a crescere se li incoraggia a essere autonomi. Se offre loro loro rispetto, empatia e possibilità di fare delle scelte. Così, sapranno offrire migliori prestazioni e saranno pronti ad accettare nuove sfide rendendosene responsabili.

    VECCHI RICATTI.

     Al contrario, risulta meno efficace nel promuovere comportamenti virtuosi l’autorità che esercita il controllo. Quella che obbliga usando verbi come “tu devi”. Quella che blandisce distribuendo premi insipidi in maniera manipolatoria, o che appare disinteressata al punto di vista dei suoi subordinati.

    MOTIVAZIONE INTRINSECA.

     Se guardiamo la questione dal punto di vista del motivare le persone, otteniamo lo stesso risultato. Ricordiamo, prima di tutto, che la motivazione è l’energia che ci anima spingendoci a fare qualcosa. E ricordiamo, in secondo luogo, che autostima e autodeterminazione sono componenti essenziali della motivazione intrinseca (www.nuovoeutile.it), la più potente e persistente forma di motivazione. E che premi e ingiunzioni, al massimo, possono suscitare un’assai più blanda ed episodica motivazione estrinseca.
    In sintesi: si può essere tanto più responsabili quanto più (e nella misura in cui) si è liberi di scegliere. E chi è messo nelle condizioni di sentirsi più responsabile è anche più motivato.

    CONSAPEVOLI DELLE CONSEGUENZE.

     C’è un secondo punto. Per assumersi una responsabilità bisogna essere pienamente consapevoli del fatto che ciascuna libera scelta individuale ha le sue proprie conseguenze. E che di queste conseguenze ognuno è (appunto) responsabile. Essere liberi è una precondizione. Essere consapevoli delle conseguenze, e del proprio ruolo nel causare quelle conseguenze, e non altre, è l’essenza dell’essere responsabili.

    PRECONDIZIONE.

     In questo senso, l’essere liberi, precondizione dell’essere responsabili, proprio nella responsabilità trova il proprio confine. Il libero arbitrio è la capacità di fare volentieri quello che si deve fare, scrive Carl Gustav Jung.

    PERCORSO DI VITA.

     Se ragioniamo in termini di scelte, vediamo che l’ambito delle conseguenze possibili si allarga, e che con questo si allarga anche l’ambito delle responsabilità. Un po’ come se ciascuno di noi fosse il sasso gettato nello stagno, e intorno gli si disegnassero cerchi concentrici di responsabilità.
    Siamo in primo luogo responsabili di noi stessi, poiché la sequenza delle nostre decisioni traccia il nostro percorso di vita. E ne determina la qualità e il senso.
    Certo: può succedere qualcosa su cui non abbiamo controllo e di cui dunque non abbiamo responsabilità. Ma sta comunque a noi decidere come reagiremo.

    ATTI MANCATI.

     E poi siamo in vari modi responsabili nei confronti delle persone che amiamo e in quelli delle persone delle persone con cui interagiamo. Abbiamo la responsabilità del lavoro ben fatto. Dovremmo (volentieri!, ci ricorda Jung) essere membri responsabili della nostra comunità, e bravi cittadini.
    Abbiamo responsabilità grandi e urgenti nei confronti del nostro pianeta. E siamo anche responsabili delle scelte e degli atti mancati. Martin Luther King: può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla.

    I Big Five (www.wikipedia.org) (la più accreditata tra le teorie della personalità) identifica nella coscienziosità uno dei cinque grandi tratti che definiscono la personalità individuale. E che restano abbastanza stabili dall’infanzia all’età adulta. Ecco alcuni dei comportamenti che indicano coscienziosità: essere (appunto) responsabili, riflessivi, industriosi, organizzati, autodisciplinati, e avere obiettivi a lungo termine.
    È notevole il fatto, confermato da molte ricerche, che la coscienziosità sia il più importante indicatore di personalità correlato con benessere e longevità (www.sciencedirect.com).

    Prendersi responsabilità è il maggior segno distintivo dei grandi leader, titola Forbes (www.forbes.com) . Che procede distinguendo tra due termini che, in italiano, consideriamo sinonimi.
    Essere accountable significa rispondere di ciò che si fa (così si comporta qualsiasi persona affidabile). Essere responsible significa andare oltre, e far sì che ciò che deve essere fatto venga fatto (e qui entrano in gioco anche i valori). Ecco perché la responsabilità, quella vera, non può rimbalzare qua e là. E non può essere fatta di gomma.

    Scritto da Annamaria Testa per il suo sito web Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá
    (link:www.nuovoeutile.it)

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    Puoi leggere tutti gli articoli sul sito NeU – Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá.
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    É un progetto di Annamaria Testa
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  • La Puglia e l’Economia Circolare

    La Puglia e l’Economia Circolare

    La Puglia e l’Economia Circolare.

    è una news di Regione Pugliasistema.puglia.it

    La Puglia é nel network per lo Sviluppo dell’Economia Circolare.

    É stata firmata a Roma, il 31 Maggio 2018, la Carta Italiana per l’economia Circolare.

    La Carta italiana per l’economia circolare é satta promossa dall’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico.

    L’obiettivo è ambizioso: connettere le amministrazioni, la società civile, le imprese, la ricerca, impegnate in progetti e iniziative sull’economia circolare, in modo da favorire sinergie e far conoscere a livello nazionale ed europeo le buone pratiche italiane. La Regione Puglia è tra i primi firmatari del documento, che è un manifesto in cui sono definiti i temi inerenti all’economia circolare di comune interesse.

    ENEA, unico membro italiano e rappresentante del mondo della ricerca nel gruppo di coordinamento della piattaforma europea per l’economia circolare, ha promosso la realizzazione dell’analoga piattaforma italiana web (www.icesp.it), per facilitare lo scambio di informazioni e le buone pratiche e offrire una rappresentazione unitaria del modo italiano di fare economia circolare.

    L’economia circolare attraversa diversi settori economici e affronta problematiche tra cui la transizione verso le energie rinnovabili, la gestione del ciclo dei rifiuti, la lotta allo spreco alimentare, l’utilizzo delle risorse naturali.

    La Puglia si è dotata di norme e strumenti che consentono di affrontare tali questioni e le criticità ad esse legate in maniera sistemica, considerando ognuna di loro come parte integrante di una politica di sviluppo moderna e sostenibile.

    La Regione Puglia é stata la prima regione italiana ad aver colto l’utilità di questo network confermando la propria vocazione ambientale.

    Far parte del network per l’economia circolare conente da un lato di far conoscere le buone pratiche messe in atto in Puglia; dall’altro, di intercettare e partecipare alle più recenti e promettenti iniziative su scala europea, potenziando il trasferimento tecnologico, la nascita di nuove imprese, la diffusione di approcci culturali e stili di consumo diversificati.

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