Categoria: RURALITUDINE

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  • A SAN NICOLA OGNI FAVA HA LA TESTA NERA

    A SAN NICOLA OGNI FAVA HA LA TESTA NERA

    A SAN NICOLA OGNI FAVA HA LA TESTA NERA.

    Un detto popolare barese recita: «A Sanda Nicol, ogni fav la cape gnore» («A San Nicola ogni fava ha la testa nera»), perché è in questo periodo che le fave vengono raccolte e vendute per essere consumate crude come ortaggio fresco.

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    é una news di www.biodiversitapuglia.it

    Il giorno 8 Maggio a Bari (Puglia, Italia) (link: goo.gl/maps ) si festeggia San Nicola, il Patrono della città.

    Dopo la festa di San Nicola, invece, il “nasello” (la proliferazione a forma di tubercolo che si forma sul seme: la caruncola) diventa scuro e i semi non sono più teneri e buoni per essere consumati crudi.

    Grandi mangiatori di fave, i pugliesi hanno un distico che tradotto in lingua suona così: «Di tutti i legumi la fava è la regina / cotta la sera, scaldata la mattina».

    Testo tratto dal progetto Biodiverso;
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

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    La principale finalità del progetto integrato BiodiverSO è quella di contribuire a raggiungere una significativa riduzione del tasso attuale di erosione della biodiversità delle specie orticole pugliesi.

    Puoi leggere tutte le news, le informazioni e le ricerche del progetto Biodiverso – Biodiversità delle specie orticole della Puglia.
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

    É un progetto di ATS “RETE PER LA BIODIVERSITÀ DELLE SPECIE ORTICOLE IN PUGLIA” “BIODIVERSO
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

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  • SUOLO E VIGNETO

    SUOLO E VIGNETO

    SUOLO E VIGNETO.

    La viticoltura comincia dalla conoscenza e dalla gestione del suolo.

    la fillossera

    é una news di www.lafillossera.com

    Il suolo è costituito da uno strato superficiale coltivabile, in parte manipolato da pratiche agronomiche, e da un sottosuolo che conserva le sue caratteristiche geologiche originarie. Il sottosuolo è composto da vari strati detti orizzonti, la cui struttura e consistenza influiscono sul drenaggio, sulla profondità del sistema radicale e sulle capacità di questo di assorbire le sostanze minerali.

    La fertilità del suolo è una proprietà che dipende dall’origine pedologica, dal clima e dalla tecnica colturale.

    La fisionomia di un vino viene determinata dalla struttura e dalla costituzione fisica del terreno e dall’interazione con la situazione climatica complessiva e la varietà coltivata.

    Composizione, struttura, porosità e profondità sono elementi che influiscono anche sull’umidità del terreno. Terreni ciottolosi e permeabili favoriscono l’areazione e il drenaggio delle acque, trasmettono i raggi del sole alle foglie e ai grappoli e trattengono meglio il calore. Riveste importanza anche il colore del suolo che influisce sulla temperatura e sull’escursione termica: quelli di colore scuro si riscaldano e favoriscono la maturazione del frutto, mentre quelli più chiari sono più freddi, ritardano la maturazione e favoriscono vini di maggiore acidità. Infine, altro parametro rilevante, è l’alcalinità del terreno misurabile attraverso il Ph.

    La vite ha una grande capacità di adattamento e può crescere in tutti i tipi di terreno ma con risultati molto diversi. Anche uve dello stesso vitigno danno vita a vini diversi se provenienti da suoli diversi.

    Alcuni studiosi hanno cercato di stabilire le corrispondenze tra la natura del terreno e le caratteristiche del vino. Ad oggi il riferimento più autorevole è la tabella realizzata dal professor Mario Fregoni:

    TERRENI CIOTTOLOSI-PERMEABILI: Vini di elevata qualitá, alta gradazione, fini e profumati

    TERRENI SABBIOSI: Vini fini, delicati, profumati, poveri di estratto

    TERRENI TENDENZIALMENTE ARGILLOSI: Ricchi di estratto, morbidi, di buona aciditá e longevi

    TERRENI PESANTI E MOLTO ARGILLOSI: Vini ricchi di estratto, aromatici, ricchi di colore, spesso grossolani

    TERRENI UMIDI: Vini di bassa gradazione, molto acidi, ricchi di sostanze proteiche

    TERRENI CALCAREI: Vini molto alcolici, poco acidi, profumati (categoria ampia)

    TERRENI RICCHI DI HUMUS: Vini poco stabili, poveri di estratto

    TERRENI ACIDI: Vini fini, delicati, di corpo lieve, scarichi di colore, di qualitá

     Testo tratto da La Fillossera;
    (link: www.lafillossera.com)

    la fillossera
    La Fillossera, innesti di vino e cultura, racconta la cultura enogastronomica attraverso parole, immagini, musica e arte. Un’idea di Graziana e Giovanni che si descrivono cosí: “Soprattutto ci piace bere e ci piace mangiare con gusto, coscienza e allegria. E ci piace tanto la condivisione che è, a nostro avviso, il senso profondo della vita. Chi siamo?! Siamo due persone curiose, appassionate di cultura enogastronomica, viaggi, letteratura. Più di tutto amiamo gustarci la vita, possibilmente insieme. Siamo anche sommelier, ma questo è un dettaglio.”

    Puoi leggere tutte le news, le informazioni e le ricerche del progetto La Fillossera.
    (link: www.lafillossera.com)

    É un progetto di Graziana e Giovanni
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  • UN TEMPO LA NATURA ERA UTILIZZATA, NON SFRUTTATA

    UN TEMPO LA NATURA ERA UTILIZZATA, NON SFRUTTATA

    UN TEMPO LA NATURA ERA UTILIZZATA, NON SFRUTTATA.

    La morfologia e il clima del territorio hanno riflesso sulla nostra alimentazione?

    formaggio

    é una news di www.formaggio.it

    Nei secoli scorsi le diverse situazioni climatiche “obbligavano” l’uomo ad alimentarsi secondo le necessità del luogo di residenza.  Le diverse caratteristiche del territorio italiano, determinate dalle diverse posizioni geografiche, hanno sempre influito sul metodo di vita, sul lavoro, e naturalmente sul tipo di alimentazione che seguiva la stagionalità soprattutto in funzione della reperibilità dei prodotti dell’agricoltura.

    Tempo indietro non era usuale caratterizzare l’alimentazione come la si definisce oggi “agro-alimentare” ma semplicemente veniva utilizzato tutto ciò che la terra produceva semplicemente in funzione di ciò che il contadino coltivava ma anche di ciò che si trovava in natura, libero e selvaggio, compreso la carne. Da ciò è facile intuire che in campagna così come in montagna si sfruttava in pieno la territorialità, la morfologia del territorio e lo sfruttamento massimo delle capacità umane e delle poche attrezzature.

    Così era che in montagna, nei pendii più inclinati, si lasciava che la natura si occupasse della crescita spontaneamente delle erbe che potevano essere sfalciate e, merito della gravità, e una volte essiccate al sole, facilmente portate a valle e stoccate nei fienili. Nei fondo valle e nelle pianure invece, la facilità di coltivare permetteva, così come lo permette ora, di lavorare la terra e coltivare in modo intensivo o estensivo secondo le esigenze.

    Vuoi allora che il vero sfruttamento della terra era il semplice seguire le varie mutazioni climatiche e la morfologia della terra, mentre ora viene sfruttato il terreno come fosse materiale da riproduzione e di conseguenza da sfruttare in modo continuo, senza alcun riposo, per ottenere risultati sempre più remunerativi. Per ciò la grande differenza fra un tempo che fu e oggi è che la natura era utilizzata e non sfruttata.

    Tutto questo breve ragionamento si ripercuote anche sulla situazione dell’alimentazione ovviamente quale risultato del recupero di ciò che la terra poteva e può dare. Un tempo la situazione climatica differenziava l’alimentazione tanto da influenzare la produzione. Un esempio emblematico è quello del burro, prodotto dello sbattimento del grasso del latte, che veniva fatto soprattutto nell’arco alpino dove evidentemente il clima consentiva il suo uso per scopi energetici ma anche il suo smaltimento causa le fatiche lavorative che la montagna adduceva. Il clima e lo sfruttamento del suolo hanno anche riflesso nei luoghi caldi come il nostro Meridione dove naturalmente le necessità erano all’opposto di quelle dell’arco alpino ovvero, smaltire il burro diventava davvero problematico così come mantenerlo in luoghi dove la refrigerazione naturale era impossibile.

    Oggi si è capovolto il tutto, tanto da non esistere più, o quasi più, l’abitudine e la tradizione alimentare basata sulla peculiarità climatica. A dire la verità e per fortuna, le produzioni dell’agro-alimentare italiano, ovvero i prodotti tradizionali, (Pat) esistono ancora anche se numericamente molto inferiori ai prodotti commerciali, e per questo la loro valorizzazione dovrebbe essere in vetta alle preoccupazioni di tutti. Salvaguardare queste produzioni non significa essere obbligati a utilizzarle secondo la morfologia o il clima del territorio, cioè solo nel luogo di origine, anche perché oggi abbiamo la fortuna dei trasferimenti e dei trasporti rapidi, ma in funzione di un tipo di alimentazione più sano è più buono, e perché no, più attento al nostro passato.

    Oggi è cambiato tutto, si trova la mozzarella fatta in malga, e qui inorridisco, come il burro di pecora in Sardegna. Tutto è cambiato, non dico nulla di nuovo, come non uso fantasia a dire che la commercializzazione, le vendite on line hanno portato certamente facilità di divulgazione di prodotti, anche quelli difficilmente reperibili, ma hanno determinato uno zibaldone di usanze che di tradizionale non hanno nulla. Non possiamo rifiutare scambi commerciali globali se noi stessi globalizziamo la nostra vita e la nostra alimentazione che si allontana sempre più dalla famosa e invidiata dieta mediterranea.

    È bene ricordare che il nostro Paese è “fatto” di alimenti tradizionali ma senza il loro consumo, da parte nostra, questi prodotti non avranno il giusto utilizzo sulle nostre tavole, che invece dovrebbero avere, e di conseguenza anche lo sbocco economico meritato.

     Scritto da Michele Grassi per Formaggio.it;
    (link: www.formaggio.it)

    formaggio.it

    Formaggio.it – l’ambasciatore del formaggio italiano nel mondo. A un formaggio corrisponde un territorio. Uno spicchio, tanti spicchi di un’Italia che ha nei paesaggi da sogno e nelle risorse culturali e artistiche uniche un fascino riconosciuto. I formaggi italiani mettono in relazione la loro funzione esterna di conoscenza e connessione dei singoli territori con il mercato esterno per accrescere l’appeal dei visitatori. Una vocazione che Formaggio.it sviluppa e indirizza nei canali che motivano il turista-gourmet, facendo assurgere le varie tipologie di formaggi a propulsore di promozione per le specificità e le potenzialità di province e località.

    Puoi leggere tutte le news, le informazioni e le ricerche di Formaggio.it
    (link: www.formaggio.it)

    É un progetto editoriale di Boraso.com
    (link: www.boraso.com)

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  • IL CICLO DELLA VITE

    IL CICLO DELLA VITE

    IL CICLO DELLA VITE.

    Nel ciclo della vite, oltre al ciclo vitale della pianta esiste poi un ciclo annuale che, a sua volta, si divide in due sottocicli: il sottociclo vegetativo e il sottociclo riproduttivo.

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    il ciclo della vite the cicle of the vine 2-min

    Il ciclo vitale.

     Il ciclo vitale della vite è quello che si compie dalla nascita alla morte della vite.

     La fase di massima produttività della vite comincia indicativamente dopo il terzo anno di vita e prosegue per venti/venticinque anni.

     Successivamente comincia una fase di invecchiamento che si compie intorno ai 40 anni di vita.

     Occorre sottolineare che anche da “viti vecchie” possono nascere ottimi vini ma ovviamente le quantità prodotte sono inferiori.

    Il ciclo annuale.

     Oltre al ciclo vitale della pianta della vite esiste poi un ciclo annuale che, a sua volta, si divide in due sottocicli: il sottociclo vegetativo e il sottociclo riproduttivo.

     Il sottociclo vegetativo.

     Comincia con il pianto della vite [1] il sottociclo vegetativo (semplificando, l’emissione di linfa dai tagli della potatura) e prosegue con il germogliamento [2] che va da marzo-aprile fino ad agosto quando con l’agostamento i germogli [3] subiscono la lignificazione: scompare il colore verde e si viene a formare la corteccia.

     Man mano che si abbassa la temperatura cadono le foglie ed anche la vite comincia il suo periodo di riposo.

     Il sottociclo riproduttivo.

     Il sottociclo riproduttivo si verifica, in contemporanea con il sottociclo vegetativo, sul germoglio uvifero [3].

     La fioritura [4] avviene tra fine maggio e inizio giugno, con la comparsa e il completo sviluppo dei fiori e corrisponde al distacco della corolla dal ricettacolo fiorale.

     La completa formazione delle infiorescenze e il completo sviluppo di ciascun fiore non sono simultanei: il processo può durare da una settimana a quindici giorni, a seconda delle condizioni ambientali.

     I fiori che completano la fecondazione e danno origine a una bacca si dicono “allegati”, da cui allegagione [5].

     Dopo la fecondazione, le bacche cominciano il loro accrescimento e prendono colore (invaiatura) [6] per giungere a maturazione [7] tra agosto e ottobre a seconda delle varietà e delle condizioni ambientali.

     Scritto da Graziana e Giovanni per il loro progetto La Fillossera;
    (link: www.lafillossera.com)

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     La Fillossera, innesti di vino e cultura, racconta la cultura enogastronomica attraverso parole, immagini, musica e arte. Un’idea di Graziana e Giovanni che si descrivono cosí: “Soprattutto ci piace bere e ci piace mangiare con gusto, coscienza e allegria. E ci piace tanto la condivisione che è, a nostro avviso, il senso profondo della vita. Chi siamo?! Siamo due persone curiose, appassionate di cultura enogastronomica, viaggi, letteratura. Più di tutto amiamo gustarci la vita, possibilmente insieme. Siamo anche sommelier, ma questo è un dettaglio.”

     Puoi leggere tutte le news, le informazioni e le ricerche del progetto La Fillossera.
    (link: www.lafillossera.com)

     É un progetto di Graziana e Giovanni
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  • LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    Consumare vari tipi di frutta e ortaggi arricchisce la nostra dieta di sostanze essenziali e biologicamente attive capaci di prevenire numerose patologie.

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    é una news di www.biodiversitapuglia.it

     Ancel Benjamin Keys, il biologo statunitense che scoprì i benefici della dieta mediterranea, nel 1993 segnalò che «la Dieta Mediterranea è principalmente vegetariana, cioè: pasta in varie forme, foglie condite con olio di oliva, verdura di stagione di tutti i tipi, spesso anche formaggio, ed ogni pasto termina con frutta e viene frequentemente integrato con vino».

     E aggiunse: «Io dico “foglie”. (…) tutti i tipi di foglie sono una parte importante della dieta di ogni giorno. Vi sono molti tipi di lattuga, spinaci, bietole, portulaca (…), indivia e rape».

      Ancel Benjamin Keys sottolineava così l’importanza della biodiversità anche nel piatto.

     Consumare vari tipi di frutta e ortaggi arricchisce la nostra dieta di sostanze essenziali e biologicamente attive capaci di prevenire numerose patologie.

     Completa il nostro fabbisogno di nutrienti.

     Arricchisce di colori e storie il nostro menù.

     Preserva dall’estinzione i prodotti della nostra terra.

     Ci migliora.

    Scritto da Pietro Santamaria per il progetto Biodiverso;
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

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    La principale finalità del progetto integrato BiodiverSO è quella di contribuire a raggiungere una significativa riduzione del tasso attuale di erosione della biodiversità delle specie orticole pugliesi.

    Puoi leggere tutte le news, le informazioni e le ricerche del progetto Biodiverso – Biodiversità delle specie orticole della Puglia.
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

    É un progetto di ATS “RETE PER LA BIODIVERSITÀ DELLE SPECIE ORTICOLE IN PUGLIA” “BIODIVERSO
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  • TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO

    TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO

    TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO.

     Viviamo (e chissà se ce ne siamo davvero accorti) nell’età del turismo.

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     È la più importante industria del nostro tempo, ed è la più inquinante: produce CO2 e consuma territorio. Alimenta un indotto gigantesco: c’è la produzione di aerei, navi, treni e auto e pullman, che senza turismo subirebbe una forte flessione. C’è la costruzione di strade e aeroporti. Di alberghi, villaggi e seconde case e campi da golf e piscine. C’è la fabbricazione di arredi e suppellettili e biancheria per alberghi e seconde case.

     E c’è la produzione di souvenir e di skilift, di sci, scarponi e costumi da bagno, di ciabatte e zaini e valigie e cappellini e creme solari… poi, c’è tutta l’editoria dedicata, su carta e in rete. Ci sono Google Maps e Tripadvisor.

    IL 10 PER CENTO DEL PIL MONDIALE.

     Senza calcolare l’incalcolabile indotto, il turismo internazionale vale 1522 miliardi di dollari (Wto – Organizzazione Mondiale del commercio, 2015). Il turismo locale vale molto di più: 7600 miliardi di dollari nel 2014, il 10 per cento del pil mondiale.

    SPAGNA E ITALIA.

     In Spagna, prima meta turistica al mondo, il turismo vale oltre il 15 per cento del pil e dei posti di lavoro. In Italia vale il 10,2 per cento del pil e l’11,6 per cento dell’occupazione (dati 2015). In Costa Rica (link: www.nuovoeutile.it) il turismo arriva a impiegare il 27 per cento della forza lavoro (e, grazie alla tutela del paesaggio, regala un futuro diverso all’intera nazione).

    LA GIOSTRA CHE CI MUOVE.

     Insomma, il turismo è una giostra su cui buona parte della popolazione mondiale è salita (o salirà tra breve), nei ruoli più o meno intercambiabili di viaggiatore o turista, o spettatore, o lavoratore del turismo. È un fenomeno globale, pervasivo e relativamente recente. C’è un’enorme letteratura sui luoghi del turismo, c’è un’ampia produzione di scritti sul marketing e la promozione turistica. Ma i ragionamenti sul turismo in sé, come nuovo stile di vita, sistema e comportamento condiviso, sono scarsi e frammentari.

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    VOLENTEROSE ILLUSIONI.

     Con Il selfie del mondo (Feltrinelli) (link: www.amazon.it), Marco D’Eramo ci aiuta a capire come la giostra funziona, che cosa la muove e che cosa può romperla. Soprattutto, ci dice che la giostra è fatta di specchi, e che si fonda sul paradosso. Per questo, parlando di turismo, Il selfie del mondo ci parla di noi e dei nostri desideri, delle nostre illusioni e (infine) della nostra buona volontà.

    UN NOBILE PIACERE.

     In passato la gente non si muoveva se non era obbligata a farlo. Nel Cinquecento, solo i figli dei nobili viaggiano per piacere e formazione. Nel Settecento, “aver visto il mondo” diventa obbligatorio per un gentiluomo, a cui si consiglia di andare in giro con un blocco da disegno. Nasce così la categoria del “pittoresco”: ciò che salta all’occhio, è esotico ed è facile da dipingere.

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    BRUTTI E TANTI.

     Il turismo si espande a metà Ottocento, con la sbalorditiva diffusione dei mezzi di trasporto, e suscita nei nobili turisti tradizionali enorme fastidio per i “nuovi” e “brutti” e “tanti” turisti borghesi. Questi hanno mete che oggi ci sembrano stravaganti. A Parigi visitano le fogne, le prigioni e (lo racconta Marc Twain) l’obitorio.

    RIVOLUZIONE TURISTICA.

     Ma la rivoluzione turistica mondiale si verifica nel secondo dopoguerra: si passa da 25,3 milioni di viaggiatori internazionali nel 1950 al miliardo 186 milioni del 2015 (dato WTO). Il turismo non solo si globalizza grazie ai voli low cost, ma si specializza irreggimentando pubblici diversi (anziani, congressisti, studenti, fedeli in visita ai luoghii sacri…). E, scrive d’Eramo, si ingarbuglia (ingarbugliando anche noi) in una serie di paradossi disturbanti.

    PRIMO PARADOSSO: IL TURISMO FUGGE DA SE STESSO.

     Ogni meta desiderabile perché “autentica” ed “esclusiva” smette gradualmente di esserlo man mano che si trasforma in meta turistica. E poi, più un luogo “va visto”, meno diventa possibile vederlo, perché… è pieno di turisti.

    SECONDO PARADOSSO: L’AUTENTICA FINZIONE.

     I turisti ricercano l’autenticità, ma la individuano solo se è evidenziata, quindi “messa in scena”, quindi ostentata e inautentica. Questo fatto porta al terzo paradosso.

    TERZO PARADOSSO: LA TRADIZIONE INVENTATA.

     Per esempio, il Palio di Siena viene medievalizzato nel 1904. E i mercati “tipici” come il Mercado de San Miguel a Madrid finiscono per vendere solo ciò che i turisti si aspettano di poter comprare.

    QUARTO PARADOSSO: L’ENTROPIA TURISTICA.

     il turismo alimenta l’economia delle città e dei territori, ma la omogeneizza distruggendo le basi economiche su cui si fonda l’identità di quelle città e di quei territori. Nel Chiantishire i casolari diventano ville, nel centro delle città le botteghe diventano negozi di souvenir. I piccoli centri come San Gimignano si trasformano in un parco a tema.

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    QUINTO PARADOSSO: IL TOCCO LETALE.

     Il tocco dell’Unesco è – scrive D’Eramo — letale. Preservando le pietre e gli edifici, l’etichetta di Patrimonio dell’Umanità, anche se attribuita in perfetta buona fede, museifica i luoghi, li sterilizza, costringe gli abitanti all’esodo svuotando i centri urbani.

    SESTO PARADOSSO: IL FALSO È VERITÀ.

     L’inautentico turistico è un autentico (e dunque rimarchevole) segno del nostro tempo. Basti pensare al caso di Lijang, città turistica cinese interamente ricostruita, (oltre 20 milioni di turisti nel 2013). O al caso di Las Vegas. Due insediamenti che raccontano una verità proprio nel loro essere fenomeni del tutto artificiali

    SETTIMO PARADOSSO: FARE IL TURISTA È UN LAVORO DURO.

     Le persone si assumono volontariamente il compito di eseguirlo mentre sono in ferie, cercando di sfruttare con la massima efficacia il poco tempo disponibile. Un dettaglio rivelatore: quelli che dicono “ho fatto il Brasile, l’anno prossimo farò l’Asia centrale”. Che fatica…

    OTTAVO PARADOSSO: “LOCALE” È DAPPERTUTTO.

     Parliamo di gastronomia. Si moltiplicano le sagre enogastronomiche: in Italia sono oltre 34.000, più di quattro a comune. Abbiamo 1515 sagre della polenta e 1040 sagre della salsiccia, 5790 sagre del tartufo, 156 sagre della lumaca e 171 della rana… e si moltiplicano anche i ristoranti etnici, perché i turisti amano gustare di nuovo i sapori incontrati in vacanza. Ma la “cucina etnica” è come la “musica etnica”: ingredienti tradizionali riarrangiati per un pubblico globale.

    NONO PARADOSSO: NESSUN TURISTA VUOLE SENTIRSI TALE.

     Preferisce considerare se stesso un “viaggiatore”, e riversare il proprio disprezzo su qualcun altro che si comporta più “da turista”. La catena del disprezzo classista è forte: lo svago delle masse, che è recentissimo, ha ricevuto dagli intellettuali più critiche in dieci anni di quante il tempo libero degli aristocratici ne abbia ricevute in duemila anni.

    UN VIAGGIO TRA FENOMENI.

     Il testo di Marco D’Eramo è a sua volta un viaggio. Cioè un percorso tra fenomeni, luoghi, idee, dati, idiosincrasie, intuizioni e contraddizioni, e mille storie sorprendenti. Ma, proprio come capita nei viaggi materiali, anche procedendo di pagina in pagina l’autore entra in contatto con prospettive inaspettate e ne esce cambiato. E con lui noi, che l’abbiamo seguito leggendo.

    Turismo - tourism 1-min

    C’È DEL BUONO, TUTTAVIA.

     La chiave del cambiamento di prospettiva sta in una serie di domande semplicissime: …e se il turismo fosse animato dal movente positivo dell’essere curiosi del mondo? E se non si trattasse d’altro che di una pratica di automiglioramento (self improvement) corporeo, emotivo e intellettuale? Del resto, in quale altra occupazione che la renda più felice potrebbe una sterminata massa di esseri umani investire il suo tempo libero? C’è qualcosa di commovente, scrive D’Eramo, nella fiducia che andare a visitare una città, un monumento, un paese possa aprirti la mente, renderti migliore.

    NOSTALGIA, FORSE.

     Eppure, la bistrattata figura del turista forse non durerà per sempre. Potremmo perfino cominciare a coltivare, nei suoi confronti, una specie di nostalgia. Il cambiamento del lavoro, che diventa sempre meno stabile, può cambiare l’idea stessa di “vacanza”. E lo sguardo turistico che cerca il nuovo, l’autentico e l’inaspettato, forse si appannerà dopo aver già visto in rete tutto ciò che merita di essere visto.

    Scritto da Annamaria Testa per il suo sito web Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá
    (link: www.nuovoeutile.it)

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    Nuovo e Utile è un sito di teorie e pratiche della creatività e non ha scopo di lucro. Vuole trasmettere una visione della creatività come stile di pensiero orientato a produrre risultati originali ed efficaci.

    Puoi leggere tutti gli articoli sul sito NeU – Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá.
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    É un progetto di Annamaria Testa
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  • PER UN FUTURO A MISURA DI CAMPAGNA

    PER UN FUTURO A MISURA DI CAMPAGNA

    PER UN FUTURO A MISURA DI CAMPAGNA.

     Dopo la crisi economica hanno iniziato a guardare alla terra con maggiore attenzione, rivalutando il lavoro nei campi e la qualità della vita contadina.

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    é una news di www.biodiversitapuglia.it

     Fino a qualche anno fa, i figli degli agricoltori fuggivano dalla terra e dalla fatica nei campi per avere una vita più comoda, con meno sacrifici.

     Da qualche anno, dopo la crisi economica che ha interessato soprattutto il nostro paese, i figli degli agricoltori, non avendo prospettive in altri settori economici, hanno iniziato a guardare alla terra con maggiore attenzione, rivalutando il lavoro nei campi e la qualità della vita contadina.

     Alcuni di loro hanno riscoperto la civiltà contadina e hanno iniziato a pensare a come migliorare la condizione dei propri genitori per avere una nuova prospettiva, restando nelle aziende famigliari.

     In questo contesto hanno rivalutato la biodiversità e la sostenibilità, che poi sono due facce della stessa medaglia culturale.

     Se questa è la situazione, soprattutto al Sud, i Comuni dovrebbero riprendere a sostenere e a promuovere il lavoro nei campi e il valore dei prodotti della terra. Per troppi anni le amministrazioni comunali hanno abbandonato l’agricoltura a sé stessa. Ora, invece, dovrebbero promuovere i prodotti locali, le filiere corte, la dieta sostenibile, le tradizioni contadine.

     Così facendo, l’agricoltura riprenderebbe il suo ruolo primario nell’economia di molti comuni, migliorerebbe la qualità della vita e saremmo tutti più sani e contenti.

    Ecco alcune cose da fare:

    • fare conoscere il territorio agrario, l’agrobiodiversità e le tradizioni legate alla terra;
    • recuperare, caratterizzare e valorizzare le antiche varietà;
    • promuovere itinerari della biodiversità, comunità del cibo e mercati contadini;
    • creare partenariati per avere più forza contrattuale sfruttare le opportunità offerte dalla politica comunitaria.

    Scritto da Pietro Santamaria per il progetto Biodiverso;
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    La principale finalità del progetto integrato BiodiverSO è quella di contribuire a raggiungere una significativa riduzione del tasso attuale di erosione della biodiversità delle specie orticole pugliesi.

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    É un progetto di ATS “RETE PER LA BIODIVERSITÀ DELLE SPECIE ORTICOLE IN PUGLIA” “BIODIVERSO
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  • DESERTIFICAZIONE: 30 CENTIMETRI CHE CAMBIANO TUTTO

    DESERTIFICAZIONE: 30 CENTIMETRI CHE CAMBIANO TUTTO

    DESERTIFICAZIONE: 30 CENTIMETRI CHE CAMBIANO TUTTO.

     La desertificazione fa perdere ad amplissime porzioni di territorio il loro valore economico, estetico, socioculturale e religioso.

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    é una news di www.nuovoeutile.it

     Anna Luise ha gli occhi azzurri dietro gli occhiali con un tocco di azzurro e lo sguardo franco. È napoletana e, nonostante viva a Roma, quando si accalora il suo accento rotondo viene fuori. È un’esperta di desertificazione e lavora per I’ISPRA (link:www.isprambiente.gov.it).

     Ce l’ho di fronte, la sto intervistando e, facendolo, scopro molte cose che non sapevo.

    Di che cosa si occupa esattamente?

     Mi occupo di lotta alla desertificazione. Che non riguarda, come molti credono, i deserti, ma i territori fertili che perdono la loro produttività biologica e diventano inadeguati a sostenere la vita e a far crescere prodotti agricoli.

    Quali sono le conseguenze?

     La desertificazione fa perdere ad amplissime porzioni di territorio il loro valore economico, estetico, socioculturale e religioso.

    Un territorio può avere un valore religioso?

     Il caso tipico è quello dell’Ayers Rock (link:www.onuitalia.com) in Australia. Ma anche nelle religioni animiste africane molti territori vengono considerati aree sacre e la loro distruzione ha ricadute drammatiche sulle comunità perché ne scardina i valori. Da noi, molti territori hanno grande rilievo non religioso ma socioculturale: se vengono distrutti, l’impatto può risultare ugualmente grave.

    A che cosa serve studiare la desertificazione?

     Dobbiamo capire come conservare l’equilibrio degli ecosistemi. Se questo viene pregiudicato, la qualità della vita di tutti noi peggiora. La desertificazione è provocata da due categorie di fenomeni: gestione non sostenibile del suolo e cambiamenti climatici. Lottare contro la desertificazione vuol dire promuovere pratiche agricole sostenibili, che impediscano per esempio al suolo di compattarsi o di avere tassi di salinità troppo alti e aiutino a tenere sotto controllo l’erosione eolica e idrica: la forza del vento e dell’acqua che dilava lo strato superiore fertile del terreno.

    desertificazione desertification copertina-min

    Cioè, è tutto un problema di suolo troppo duro?

     O troppo duro, o troppo fragile e non coeso. Il suolo reso fertile dai microorganismi è profondo in media trenta centimetri. Se diventa duro come il cemento o se, al contrario, si sgretola e diventa polvere, quando piove, ammesso che piova, non riesce a bagnarsi a sufficienza perché l’acqua, non trattenuta, se ne scivola via. Così il suolo smette di essere produttivo.

    Quindi la sopravvivenza alimentare del genere umano è legata a una buccia di terra della giusta consistenza e profonda trenta centimetri?

     La profondità può variare, ma la media è questa. È abbastanza impressionante. Il suolo è stato definito “la pelle della nostra terra”: è il luogo dove si verificano gli scambi biochimici che permettono alle colture di crescere.

    Quando si è cominciato a parlare di desertificazione, e quando a cercare di contrastarla?

     La desertificazione è un fenomeno lento e non sappiamo bene quando è cominciata. Se ne è parlato per la prima volta nel corso della conferenza di Stoccolma del 1972, che ha lanciato l’idea di sviluppo sostenibile, cioè di equilibrio tra società, economia e ambiente. La prima decisione politicamente importante è stata presa nel 1992 a Rio de Janeiro, con una Convenzione delle Nazioni Unite (UNCCD) (link:www.unccd.int) entrata in vigore nel 1996, fortemente volute dai paesi africani soprattutto dell’area maghrebina e subsahariana per cui la desertificazione è una diretta minaccia alla sopravvivenza. L’Italia ha aderito nel 1997. Oggi aderiscono 198 paesi.

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    Quanto pesa globalmente il rischio di desertificazione?

     Diciamo che nel mondo il suolo fertile è il 75% delle terre emerse. Di questo 75%, almeno il 40% è variamente degradato, anche perché inquinato o contaminato, e si trova in gran parte nelle zone aride o semiaride: non stiamo, lo ripeto, parlando di deserti, ma di zone in cui l’acqua c’è ma è scarsa.

     La desertificazione è definita come il livello estremo del degrado del suolo, ed è, insieme al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità, uno dei tre grandi fattori di rischio di rottura dell’equilibrio ecosistemico. E quando si rompe un equilibrio così complesso, mica lo sappiamo quali possono essere le conseguenze: le variabili sono talmente tante che, come si dice in fisica, il sistema diventa caotico e del tutto incontrollabile.

    Qui in Italia abbiamo rischi seri di desertificazione, o possiamo preoccuparci solo del cambiamento climatico?

     Il cambiamento climatico va a esacerbare la desertificazione perché fa crescere le temperature e altera il regime delle acque: teniamo a mente che il Mediterraneo è considerato un “hot spot”, cioè un punto di  particolare intensità dei cambiamenti climatici.
    Circa il 20% del nostro territorio nazionale è già stato riconosciuto come interessato da fenomeni di desertificazione tra il 1961 e il 2000, e un altro 20% è a rischio di desertificazione nel giro dei prossimi venti o trent’anni. Nelle nostre regioni meridionali, ma anche in aree dell’Emilia Romagna, delle Marche o del Molise, i segni di desertificazione sono già visivamente evidenti. E non dimentichiamo che nel suolo “sano” è conservato il carbonio organico.

    …cioè?

     Il suolo contiene il doppio del carbonio che troviamo nell’atmosfera, il triplo di quello che troviamo nei vegetali. Il carbonio viene assorbito dall’atmosfera, il cosiddetto SOC (Soil Organic Carbon)  (link:www.eol.org) potrebbe mitigare i cambiamenti climatici dovuti all’eccesso di emissioni di anidride carbonica sequestrandola. Ma questo avviene, appunto, se il suolo è “sano”, e non eccessivamente sfruttato dall’agricoltura intensiva.

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    Come se ne esce?

     Se ne esce facendo ricerca, sperimentazione ed educazione ambientale. Attivando politiche locali, regionali e nazionali: vuol dire, per esempio, razionalizzare l’uso delle risorse idriche, oppure riforestare. Oggi stiamo andando nella direzione dell’agroecologia: un’agricoltura che esercita meno pressione sul suolo impiegando meno fertilizzanti e passando, per esempio, da cinque a due raccolti consecutivi di grano. Tra l’altro, qui in Italia avremmo mille buoni motivi per passare da un’agricoltura di quantità a un’agricoltura di qualità.

    Che cosa può fare un singolo cittadino che si preoccupa per la desertificazione?

     Non dimentichiamo che i singoli individui indirizzano il mercato, per esempio comprando prodotti di stagione e prodotti locali: non pretendere di mangiare i peperoni a Natale è già qualcosa, perché evita che porzioni di territorio vengano coperte da serre, in cui si usano troppi fertilizzanti e il terreno viene super sfruttato e danneggiato. E poi non bisogna stancarsi di fare opera di divulgazione e sensibilizzazione: è quello che stiamo facendo proprio adesso.

    Scritto da Annamaria Testa per il suo sito web Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá
    (link:www.nuovoeutile.it)

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    Nuovo e Utile è un sito di teorie e pratiche della creatività e non ha scopo di lucro. Vuole trasmettere una visione della creatività come stile di pensiero orientato a produrre risultati originali ed efficaci.

    Puoi leggere tutti gli articoli sul sito NeU – Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá.
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  • DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA

    DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA

    DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA.

     Una realtá produttiva fatta di piccola e media impresa, frutto di un’antica tradizione che vive di alta qualitá grazie anche a oggetti unici al mondo.

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    é una news di www.mestieridarte.it

    Da quando siamo entrati nell’Europa unita ci hanno spiegato che ormai dobbiamo fare i conti con la globalizzazione dei mercati, per cui occorre produrre tanto e in modo omogeneo per poter conquistare mercati sempre piú vasti e competere con le grandi imprese multinazionali.

    Ma é pur vero che la nostra realtá produttiva é sempre stata caratterizzata dalla piccola e media impresa, aziende che rispetto alla tendenza sopra esposta stanno sviluppando una propria strada cercando di valorizzare sempre piú la “piccola produzione”.

    Valorizzazione che passa attraverso la qualitá, il marchio d’origine, fino alla produzione numerata (come con molti nostri vini); cosí possiamo dire che é in atto una battaglia, da una parte la grande produzione, dall’altra quella piccola e legata a culture e tradizioni locali. Sembra di rileggere le polemiche e le battaglie culturali di fine anni 70 dove i designer radicali (che guardavano con attenzione alle realtá locali, alla cultura contadina, alle esperienze periferiche…) si contrapponevano al design internazionalista (buono per ogni luogo e legato a una visione della nostra societá dipendente da un unico grande supermercato).

    Ieri come oggi. I nostri “sapori” cercano di mantenere la propria identitá e le centinaia di formaggi italiani, vini, salumi, verdure trovano ogni giorno sostenitori che si danno da fare perché non scompaiano dal mercato, e quindi dalla nostra tavola e dalle tavole internazionali di chi apprezza sempre piú i prodotti della cucina italiana. I mondi del design, delle arti applicate e dell’artigianato hanno lo stesso problema.

    Cosí, il consiglio che si puó dare é di cercare di operare collaborando! Oggetti “fatti ad arte” per i nostri “particolari” sapori. Due mondi, due realtá produttive che potremmo salvare attraverso un processo di collaborazione nella consapevolezza (spesso viene a mancare) che tutte e due le produzioni descritte appartengono alla nostra “cultura materiale”.

    Potranno cosí crescere oggetti che esprimono identitá, appartenenze, territorialitá, sfruttando l’apprezzamento di un nostro prodotto ormai penetrato diffusamente sul mercato. Pensiamo al fiasco di vino in vetro di Empoli per il nostro Chianti, ai grandi piatti di Vietri per la nostra pizza napoletana, la ceramica di Grottaglie per il nostro robusto olio del sud e quella di Nove per il delicato olio del Garda, la ceramica di Deruta per il prestigioso olio toscano e cosí via. Tanti oggetti per i tanti prodotti per cui siamo famosi in tutto il mondo.

    Il tema legato all’alimentazione ripropone il dilemma della scelta tra globalizzazione e localizzazione. Probabilmente occorrerá lavorare sui due fronti anche se la nostra cultura, il territorio e le tradizioni ci indirizzano verso progetti che guardano alla localizzazione e ai nostri tanti genius loci.

    Perché non proporre una mostra dove il consumare cibi venga proposto come qualcosa che passi attraverso i diversi rituali domestici della nostra quotidianitá (in continua evoluzione) e che non focalizzi quindi il momento della fruizione sui consueti colazione, pranzo e cena? Il tutto valorizzando, attraverso il progetto, gli strumenti, i prodotti e i cibi espressione delle nostre diversitá? Dalle tovaglie (tessuti e decori di Romagna, Abruzzo, Sardegna…) alle stoviglie in ceramica (di Grottaglie, Vietri sul Mare, Caltagirone, Deruta, Faenza, Nove, S.Stefano di Camastra…), vetro (di Murano, Colle Val d’Elsa, Empoli), pietra (di Apricena, ollare, Lavagna…) e poi argento, porcellana, vimini, legno… fino agli oggetti d’arredo.

    Un’occasione per verificare i tanti possibili collegamenti tra i nostri produttori di oggetti (artigiani e piccole imprese) e di alimentari, per creare e rinnovare sinergie e aprirsi a nuove possibilitá di sviluppo e comunicazione.

    Scritto da Ugo La Pietra per il magazine Mestieri d’Arte & Design, Anno III, Numero 6, Dicembre 2012, pag.14-15;
    (link: www.issuu.com)

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    Mestieri d’Arte & Design è un progetto editoriale dedicato all’eccellenza artigianale italiana e internazionale, alle sue origini e ai suoi rapporti con la creatività e lo stile. Non solo storie o prodotti, ma anche materiali, tecniche, atelier, scuole, botteghe e gli artefici: i maestri d’arte.

    Puoi leggere tutti i volumi del magazine Mestieri d’Arte & Design
    (link: www.mestieridarte.it)

    É un progetto di Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte (link: www.fondazionecologni.it) e Symbol s.r.l. (link: www.arbiter.it)

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  • UniSalento, CNR e Diagnostica Xylella Fastidiosa

    UniSalento, CNR e Diagnostica Xylella Fastidiosa

    UniSalento, CNR e Diagnostica Xylella Fastidiosa.

    è un articolo di Almanacco della Scienzacnr.it

    Gruppo di ricercatori Unisalento e Cnr sviluppa dispositivo per la diagnostica di Xylella fastidiosa.

    È stato pubblicato su Scientific Reports, una rivista del gruppo Nature (Chiriacò, Luvisi et al., Scientific Reports 8, 7376 (6 Maggio 2018)), il lavoro di un gruppo di ricerca congiunto tra Università del Salento e Cnr Nanotec di Lecce su un dispositivo diagnostico prototipale basato su microsensori, per la rilevazione da piante di olivo di Xylella fastidiosa, il batterio che vive e si riproduce all’interno dei vasi xilematici degli ulivi e non solo.

    Il dispositivo sviluppato, grazie alla sua elevata sensibilità, ha la potenzialità di individuare la presenza del patogeno che affligge gli alberi del territorio salentino, con tempi rapidi di analisi. Si tratta di un primo importante passo avanti verso la diagnostica in-situ, come valido strumento nelle mani degli esperti del settore per le analisi su campo.

    Il rilevamento di Xylella fastidiosa, viene solitamente eseguito con tecniche di laboratorio (Elisa e Pcr).

    In questo lavoro, invece, afferma Serena Chiriacò, ricercatrice Cnr, “i due metodi tradizionali sono stati confrontati con il nuovo test elaborato su biochip elettrochimici, ottenendo risultati sovrapponibili a quelli dei test tradizionali, ma con vantaggi significativi in termini di costi e tempo impiegato per l’analisi”.

    “Lo sviluppo di nuove tecniche diagnostiche – commenta Andrea Luvisi, ricercatore dell’Università del Salento – rappresenta un’utile risorsa per le azioni di monitoraggio, attività imprescindibile per il contenimento dell’epidemia”.

    Questo lavoro, spiegano gli autori della pubblicazione, è il frutto di una solida collaborazione tra l’Università del Salento ed il Cnr Nanotec, che ha permesso la composizione di un team fortemente interdisciplinare con la presenza di patologi e fisiologi vegetali, biologi, biotecnologi e fisici, che hanno lavorato insieme alla realizzazione di un biosensore innovativo in grado di rilevare la presenza del fitopatogeno.

    Il lab-on-chip realizzato comprende anche un modulo microfluidico che consente di effettuare l’analisi su piccoli volumi di campione, e le sue prestazioni sono competitive rispetto ai metodi diagnostici convenzionali, ma con gli ulteriori vantaggi di portabilità (l’intero dispositivo misura pochi centimetri quadrati), costi contenuti e facilità d’uso.

    Una volta industrializzata, la tecnologia proposta potrà fornire un metodo di analisi made in Salento, utile per attuare uno screening su larga scala.

    Approfondimento:
    (Chiriacò, Luvisi et al., Scientific Reports 8, 7376 (6 Maggio 2018))

    Riferimenti per informazioni:
    Serena Chiriacò, ricercatrice Cnr, mariaserena.chiriaco@nanotec.cnr.it;
    Andrea Luvisi, ricercatore di Patologia vegetale dell’Università del Salento andrea.luvisi@unisalento.it;
    tel. 0832/298870

     

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