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  • GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA CONSAPEVOLEZZA SULLE PERDITE E GLI SPRECHI ALIMENTARI

    GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA CONSAPEVOLEZZA SULLE PERDITE E GLI SPRECHI ALIMENTARI

    GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA CONSAPEVOLEZZA SULLE PERDITE E GLI SPRECHI ALIMENTARI.

    Il 29 settembre, ogni anno, ogni giorno!

    Le Nazioni Unite hanno istituito (link>) il 29 Settembre come la Giornata internazionale della Consapevolezza sulle perdite e gli sprechi alimentari (IDAFLW) (link>).

    L’obiettivo é sensibilizzare congiuntamente a tutti i livelli i cittadini e le governance del pianeta sulla centralitá della questione delle perdite e dello spreco di cibo e sulle possibili soluzioni, per promuovere azioni comuni ed importanti per raggiungere il Sustainable Development Goal Target 12.3 (link>) cosí sintetizzato: “entro il 2030, dimezzare lo spreco pro capite globale di rifiuti alimentari nella vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo lungo le filiere di produzione e fornitura, comprese le perdite post-raccolto”.

    Il sito ufficiale purtroppo non é disponibile in Italiano (http://www.fao.org/international-day-awareness-food-loss-waste/en/http://www.fao.org/international-day-awareness-food-loss-waste/en/).

    Questo breve articolo rappresenta il nostro piccolo contributo affinché il tema entri nella nostra quotidianitá.

    Sentendoci responsabili, possiamo contribuire a rendere migliore il nostro Mondo.

    Il 29 settembre, ogni anno, ogni giorno!

  • LUOGHI PER L’IMMAGINE

    LUOGHI PER L’IMMAGINE

    LUOGHI PER L’IMMAGINE.

    C’era una volta il “Viaggio in Italia”.

    Ogni intellettuale che nutrisse amore per l’arte e la cultura considerava quell’evento come un traguardo prezioso ed ambito.

    Lo immaginava, molto romanticamente, come indispensabile pellegrinaggio lungo le vie dell’allora “Giardino d’Europa”. Alla ricerca di tesori miracolosamente conservati in un unico straordinario crocevia.

    Da Palermo ad Aosta, da Trieste a Ventimiglia, esso racchiudeva millenni di storia, documenti diversissimi e memorie universali. E prometteva ricordi indimenticabili.

    Memorie che raccontano di un territorio nel quale son venute depositandosi con singolare armonia, proprio accanto a monumenti di eccezionale importanza, le testimonianze di una diffusione orizzontale di sapere e di gusto estetico. Di essi, per secoli, hanno usufruito – con risultati spesso mirabili – anche centri e localitá che si insiste nel definire sbrigativamente “minori” nonostante conservino un proprio inconfondibile e misurato stile.

    Esiste di certo una scala di valori cui conviene riferirsi. Il concetto stesso di “Cittá d’Arte” esprime un insieme di differenze, propone una idea di evoluzione, suggerisce una compleassitá di contributi… e pertanto diviene modello.

    Ma é l’Italia intera che trabocca di luoghi cui converrebbe riservare qualcosa di piú di un’occhiata frettolosa.

    Appena a pochi passi dalle vie imposte dal consumismo turistico esiste un tessuto vario e promettente capace di riempire piú e piú viaggi ricchi di impensate suggestioni.

    É giusto, dunque, accostarsi ai capolavori ma non lo é di certo meno andare per centri di storia, anche minori, per paesi e borghi, per necropoli, castelli ed abbazie, a cercare di capire ed apprezzare quanti di essi siano perennemente vivi e non possono di certo essere racchiusi in una cartolina ricordo.

    tratto da
    (Sei paesi del sole, Carlo Federico Teodori, 1994, ArteambienteEdizioni)

    photo credits
    (link: www.pixabay.com)

    www.tipici.news

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  • LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    Consumare vari tipi di frutta e ortaggi arricchisce la nostra dieta di sostanze essenziali e biologicamente attive capaci di prevenire numerose patologie.

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    é una news di www.biodiversitapuglia.it

     Ancel Benjamin Keys, il biologo statunitense che scoprì i benefici della dieta mediterranea, nel 1993 segnalò che «la Dieta Mediterranea è principalmente vegetariana, cioè: pasta in varie forme, foglie condite con olio di oliva, verdura di stagione di tutti i tipi, spesso anche formaggio, ed ogni pasto termina con frutta e viene frequentemente integrato con vino».

     E aggiunse: «Io dico “foglie”. (…) tutti i tipi di foglie sono una parte importante della dieta di ogni giorno. Vi sono molti tipi di lattuga, spinaci, bietole, portulaca (…), indivia e rape».

      Ancel Benjamin Keys sottolineava così l’importanza della biodiversità anche nel piatto.

     Consumare vari tipi di frutta e ortaggi arricchisce la nostra dieta di sostanze essenziali e biologicamente attive capaci di prevenire numerose patologie.

     Completa il nostro fabbisogno di nutrienti.

     Arricchisce di colori e storie il nostro menù.

     Preserva dall’estinzione i prodotti della nostra terra.

     Ci migliora.

    Scritto da Pietro Santamaria per il progetto Biodiverso;
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

    neu nuovo e utile
    La principale finalità del progetto integrato BiodiverSO è quella di contribuire a raggiungere una significativa riduzione del tasso attuale di erosione della biodiversità delle specie orticole pugliesi.

    Puoi leggere tutte le news, le informazioni e le ricerche del progetto Biodiverso – Biodiversità delle specie orticole della Puglia.
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

    É un progetto di ATS “RETE PER LA BIODIVERSITÀ DELLE SPECIE ORTICOLE IN PUGLIA” “BIODIVERSO
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

    foto  
    (link: www.dispensadeitipici.it)

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  • TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO

    TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO

    TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO.

     Viviamo (e chissà se ce ne siamo davvero accorti) nell’età del turismo.

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    é una news di www.nuovoeutile.it

     È la più importante industria del nostro tempo, ed è la più inquinante: produce CO2 e consuma territorio. Alimenta un indotto gigantesco: c’è la produzione di aerei, navi, treni e auto e pullman, che senza turismo subirebbe una forte flessione. C’è la costruzione di strade e aeroporti. Di alberghi, villaggi e seconde case e campi da golf e piscine. C’è la fabbricazione di arredi e suppellettili e biancheria per alberghi e seconde case.

     E c’è la produzione di souvenir e di skilift, di sci, scarponi e costumi da bagno, di ciabatte e zaini e valigie e cappellini e creme solari… poi, c’è tutta l’editoria dedicata, su carta e in rete. Ci sono Google Maps e Tripadvisor.

    IL 10 PER CENTO DEL PIL MONDIALE.

     Senza calcolare l’incalcolabile indotto, il turismo internazionale vale 1522 miliardi di dollari (Wto – Organizzazione Mondiale del commercio, 2015). Il turismo locale vale molto di più: 7600 miliardi di dollari nel 2014, il 10 per cento del pil mondiale.

    SPAGNA E ITALIA.

     In Spagna, prima meta turistica al mondo, il turismo vale oltre il 15 per cento del pil e dei posti di lavoro. In Italia vale il 10,2 per cento del pil e l’11,6 per cento dell’occupazione (dati 2015). In Costa Rica (link: www.nuovoeutile.it) il turismo arriva a impiegare il 27 per cento della forza lavoro (e, grazie alla tutela del paesaggio, regala un futuro diverso all’intera nazione).

    LA GIOSTRA CHE CI MUOVE.

     Insomma, il turismo è una giostra su cui buona parte della popolazione mondiale è salita (o salirà tra breve), nei ruoli più o meno intercambiabili di viaggiatore o turista, o spettatore, o lavoratore del turismo. È un fenomeno globale, pervasivo e relativamente recente. C’è un’enorme letteratura sui luoghi del turismo, c’è un’ampia produzione di scritti sul marketing e la promozione turistica. Ma i ragionamenti sul turismo in sé, come nuovo stile di vita, sistema e comportamento condiviso, sono scarsi e frammentari.

    Turismo - tourism 1-min

    VOLENTEROSE ILLUSIONI.

     Con Il selfie del mondo (Feltrinelli) (link: www.amazon.it), Marco D’Eramo ci aiuta a capire come la giostra funziona, che cosa la muove e che cosa può romperla. Soprattutto, ci dice che la giostra è fatta di specchi, e che si fonda sul paradosso. Per questo, parlando di turismo, Il selfie del mondo ci parla di noi e dei nostri desideri, delle nostre illusioni e (infine) della nostra buona volontà.

    UN NOBILE PIACERE.

     In passato la gente non si muoveva se non era obbligata a farlo. Nel Cinquecento, solo i figli dei nobili viaggiano per piacere e formazione. Nel Settecento, “aver visto il mondo” diventa obbligatorio per un gentiluomo, a cui si consiglia di andare in giro con un blocco da disegno. Nasce così la categoria del “pittoresco”: ciò che salta all’occhio, è esotico ed è facile da dipingere.

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    BRUTTI E TANTI.

     Il turismo si espande a metà Ottocento, con la sbalorditiva diffusione dei mezzi di trasporto, e suscita nei nobili turisti tradizionali enorme fastidio per i “nuovi” e “brutti” e “tanti” turisti borghesi. Questi hanno mete che oggi ci sembrano stravaganti. A Parigi visitano le fogne, le prigioni e (lo racconta Marc Twain) l’obitorio.

    RIVOLUZIONE TURISTICA.

     Ma la rivoluzione turistica mondiale si verifica nel secondo dopoguerra: si passa da 25,3 milioni di viaggiatori internazionali nel 1950 al miliardo 186 milioni del 2015 (dato WTO). Il turismo non solo si globalizza grazie ai voli low cost, ma si specializza irreggimentando pubblici diversi (anziani, congressisti, studenti, fedeli in visita ai luoghii sacri…). E, scrive d’Eramo, si ingarbuglia (ingarbugliando anche noi) in una serie di paradossi disturbanti.

    PRIMO PARADOSSO: IL TURISMO FUGGE DA SE STESSO.

     Ogni meta desiderabile perché “autentica” ed “esclusiva” smette gradualmente di esserlo man mano che si trasforma in meta turistica. E poi, più un luogo “va visto”, meno diventa possibile vederlo, perché… è pieno di turisti.

    SECONDO PARADOSSO: L’AUTENTICA FINZIONE.

     I turisti ricercano l’autenticità, ma la individuano solo se è evidenziata, quindi “messa in scena”, quindi ostentata e inautentica. Questo fatto porta al terzo paradosso.

    TERZO PARADOSSO: LA TRADIZIONE INVENTATA.

     Per esempio, il Palio di Siena viene medievalizzato nel 1904. E i mercati “tipici” come il Mercado de San Miguel a Madrid finiscono per vendere solo ciò che i turisti si aspettano di poter comprare.

    QUARTO PARADOSSO: L’ENTROPIA TURISTICA.

     il turismo alimenta l’economia delle città e dei territori, ma la omogeneizza distruggendo le basi economiche su cui si fonda l’identità di quelle città e di quei territori. Nel Chiantishire i casolari diventano ville, nel centro delle città le botteghe diventano negozi di souvenir. I piccoli centri come San Gimignano si trasformano in un parco a tema.

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    QUINTO PARADOSSO: IL TOCCO LETALE.

     Il tocco dell’Unesco è – scrive D’Eramo — letale. Preservando le pietre e gli edifici, l’etichetta di Patrimonio dell’Umanità, anche se attribuita in perfetta buona fede, museifica i luoghi, li sterilizza, costringe gli abitanti all’esodo svuotando i centri urbani.

    SESTO PARADOSSO: IL FALSO È VERITÀ.

     L’inautentico turistico è un autentico (e dunque rimarchevole) segno del nostro tempo. Basti pensare al caso di Lijang, città turistica cinese interamente ricostruita, (oltre 20 milioni di turisti nel 2013). O al caso di Las Vegas. Due insediamenti che raccontano una verità proprio nel loro essere fenomeni del tutto artificiali

    SETTIMO PARADOSSO: FARE IL TURISTA È UN LAVORO DURO.

     Le persone si assumono volontariamente il compito di eseguirlo mentre sono in ferie, cercando di sfruttare con la massima efficacia il poco tempo disponibile. Un dettaglio rivelatore: quelli che dicono “ho fatto il Brasile, l’anno prossimo farò l’Asia centrale”. Che fatica…

    OTTAVO PARADOSSO: “LOCALE” È DAPPERTUTTO.

     Parliamo di gastronomia. Si moltiplicano le sagre enogastronomiche: in Italia sono oltre 34.000, più di quattro a comune. Abbiamo 1515 sagre della polenta e 1040 sagre della salsiccia, 5790 sagre del tartufo, 156 sagre della lumaca e 171 della rana… e si moltiplicano anche i ristoranti etnici, perché i turisti amano gustare di nuovo i sapori incontrati in vacanza. Ma la “cucina etnica” è come la “musica etnica”: ingredienti tradizionali riarrangiati per un pubblico globale.

    NONO PARADOSSO: NESSUN TURISTA VUOLE SENTIRSI TALE.

     Preferisce considerare se stesso un “viaggiatore”, e riversare il proprio disprezzo su qualcun altro che si comporta più “da turista”. La catena del disprezzo classista è forte: lo svago delle masse, che è recentissimo, ha ricevuto dagli intellettuali più critiche in dieci anni di quante il tempo libero degli aristocratici ne abbia ricevute in duemila anni.

    UN VIAGGIO TRA FENOMENI.

     Il testo di Marco D’Eramo è a sua volta un viaggio. Cioè un percorso tra fenomeni, luoghi, idee, dati, idiosincrasie, intuizioni e contraddizioni, e mille storie sorprendenti. Ma, proprio come capita nei viaggi materiali, anche procedendo di pagina in pagina l’autore entra in contatto con prospettive inaspettate e ne esce cambiato. E con lui noi, che l’abbiamo seguito leggendo.

    Turismo - tourism 1-min

    C’È DEL BUONO, TUTTAVIA.

     La chiave del cambiamento di prospettiva sta in una serie di domande semplicissime: …e se il turismo fosse animato dal movente positivo dell’essere curiosi del mondo? E se non si trattasse d’altro che di una pratica di automiglioramento (self improvement) corporeo, emotivo e intellettuale? Del resto, in quale altra occupazione che la renda più felice potrebbe una sterminata massa di esseri umani investire il suo tempo libero? C’è qualcosa di commovente, scrive D’Eramo, nella fiducia che andare a visitare una città, un monumento, un paese possa aprirti la mente, renderti migliore.

    NOSTALGIA, FORSE.

     Eppure, la bistrattata figura del turista forse non durerà per sempre. Potremmo perfino cominciare a coltivare, nei suoi confronti, una specie di nostalgia. Il cambiamento del lavoro, che diventa sempre meno stabile, può cambiare l’idea stessa di “vacanza”. E lo sguardo turistico che cerca il nuovo, l’autentico e l’inaspettato, forse si appannerà dopo aver già visto in rete tutto ciò che merita di essere visto.

    Scritto da Annamaria Testa per il suo sito web Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá
    (link: www.nuovoeutile.it)

    neu nuovo e utile

    Nuovo e Utile è un sito di teorie e pratiche della creatività e non ha scopo di lucro. Vuole trasmettere una visione della creatività come stile di pensiero orientato a produrre risultati originali ed efficaci.

    Puoi leggere tutti gli articoli sul sito NeU – Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá.
    (link: www.nuovoeutile.it)

    É un progetto di Annamaria Testa
    (link: www.annamariatesta.it)

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  • DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA

    DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA

    DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA.

     Una realtá produttiva fatta di piccola e media impresa, frutto di un’antica tradizione che vive di alta qualitá grazie anche a oggetti unici al mondo.

    neu nuovo e utile

    é una news di www.mestieridarte.it

    Da quando siamo entrati nell’Europa unita ci hanno spiegato che ormai dobbiamo fare i conti con la globalizzazione dei mercati, per cui occorre produrre tanto e in modo omogeneo per poter conquistare mercati sempre piú vasti e competere con le grandi imprese multinazionali.

    Ma é pur vero che la nostra realtá produttiva é sempre stata caratterizzata dalla piccola e media impresa, aziende che rispetto alla tendenza sopra esposta stanno sviluppando una propria strada cercando di valorizzare sempre piú la “piccola produzione”.

    Valorizzazione che passa attraverso la qualitá, il marchio d’origine, fino alla produzione numerata (come con molti nostri vini); cosí possiamo dire che é in atto una battaglia, da una parte la grande produzione, dall’altra quella piccola e legata a culture e tradizioni locali. Sembra di rileggere le polemiche e le battaglie culturali di fine anni 70 dove i designer radicali (che guardavano con attenzione alle realtá locali, alla cultura contadina, alle esperienze periferiche…) si contrapponevano al design internazionalista (buono per ogni luogo e legato a una visione della nostra societá dipendente da un unico grande supermercato).

    Ieri come oggi. I nostri “sapori” cercano di mantenere la propria identitá e le centinaia di formaggi italiani, vini, salumi, verdure trovano ogni giorno sostenitori che si danno da fare perché non scompaiano dal mercato, e quindi dalla nostra tavola e dalle tavole internazionali di chi apprezza sempre piú i prodotti della cucina italiana. I mondi del design, delle arti applicate e dell’artigianato hanno lo stesso problema.

    Cosí, il consiglio che si puó dare é di cercare di operare collaborando! Oggetti “fatti ad arte” per i nostri “particolari” sapori. Due mondi, due realtá produttive che potremmo salvare attraverso un processo di collaborazione nella consapevolezza (spesso viene a mancare) che tutte e due le produzioni descritte appartengono alla nostra “cultura materiale”.

    Potranno cosí crescere oggetti che esprimono identitá, appartenenze, territorialitá, sfruttando l’apprezzamento di un nostro prodotto ormai penetrato diffusamente sul mercato. Pensiamo al fiasco di vino in vetro di Empoli per il nostro Chianti, ai grandi piatti di Vietri per la nostra pizza napoletana, la ceramica di Grottaglie per il nostro robusto olio del sud e quella di Nove per il delicato olio del Garda, la ceramica di Deruta per il prestigioso olio toscano e cosí via. Tanti oggetti per i tanti prodotti per cui siamo famosi in tutto il mondo.

    Il tema legato all’alimentazione ripropone il dilemma della scelta tra globalizzazione e localizzazione. Probabilmente occorrerá lavorare sui due fronti anche se la nostra cultura, il territorio e le tradizioni ci indirizzano verso progetti che guardano alla localizzazione e ai nostri tanti genius loci.

    Perché non proporre una mostra dove il consumare cibi venga proposto come qualcosa che passi attraverso i diversi rituali domestici della nostra quotidianitá (in continua evoluzione) e che non focalizzi quindi il momento della fruizione sui consueti colazione, pranzo e cena? Il tutto valorizzando, attraverso il progetto, gli strumenti, i prodotti e i cibi espressione delle nostre diversitá? Dalle tovaglie (tessuti e decori di Romagna, Abruzzo, Sardegna…) alle stoviglie in ceramica (di Grottaglie, Vietri sul Mare, Caltagirone, Deruta, Faenza, Nove, S.Stefano di Camastra…), vetro (di Murano, Colle Val d’Elsa, Empoli), pietra (di Apricena, ollare, Lavagna…) e poi argento, porcellana, vimini, legno… fino agli oggetti d’arredo.

    Un’occasione per verificare i tanti possibili collegamenti tra i nostri produttori di oggetti (artigiani e piccole imprese) e di alimentari, per creare e rinnovare sinergie e aprirsi a nuove possibilitá di sviluppo e comunicazione.

    Scritto da Ugo La Pietra per il magazine Mestieri d’Arte & Design, Anno III, Numero 6, Dicembre 2012, pag.14-15;
    (link: www.issuu.com)

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    Mestieri d’Arte & Design è un progetto editoriale dedicato all’eccellenza artigianale italiana e internazionale, alle sue origini e ai suoi rapporti con la creatività e lo stile. Non solo storie o prodotti, ma anche materiali, tecniche, atelier, scuole, botteghe e gli artefici: i maestri d’arte.

    Puoi leggere tutti i volumi del magazine Mestieri d’Arte & Design
    (link: www.mestieridarte.it)

    É un progetto di Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte (link: www.fondazionecologni.it) e Symbol s.r.l. (link: www.arbiter.it)

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    (link: www.pixabay.com)

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  • Quentin Tarantino e il rapporto con il cibo nei suoi film

    Quentin Tarantino e il rapporto con il cibo nei suoi film

    Quentin Tarantino e il rapporto con il cibo nei suoi film.

     è un articolo di Mimmo FarinaGastrodeliriogastrodelirio.it

    Il rapporto tra cinema e cibo è un rapporto viscerale.

    Essendo il cibo una delle attività fondamentali dell’essere umano, è ovvio che anche la settima arte se ne occupi.

    Ho trovato interessante, poi, il rapporto col cibo che ha uno dei registi postmoderni più discussi, l’italo-americano Quentin Tarantino.

    Tarantino, a parere del vostro umile scrivente, è un eccellente dialoghista, un bravo citazionista, ma anche un po’ copione e sadico inespresso.

    Nessun desiderio polemico, ha amato e mi sono divertito con diversi lavori di questo discolo ragazzaccio, così come non me ne sono piaciuti altri.

    In parecchi dei suoi film, comunque, si trovano riferimenti al cibo, spesso in chiave pop, altre volte in chiave, se si può dire, più velata e raffinata.

    Il primo pensiero va al Royale con formaggio di Pulp Fiction.

    All’interno di una articolata discussione sulle stranezze europee, partendo dal sistema metrico decimale per finire all’abuso di maionese, si inserisce la diversità dei nomi di alcuni panini della “doppia M” al di qua ed al di là dell’Atlantico.

    Così quello che è il “Quarter Pounder deluxe” (nome attualmente in voga anche in Italia) diventa il “Royale con formaggio”, in omaggio alla impermeabilità francese ai neologismi britannici.

    Tutti dettagli che vengono sommersi dalle truci vicende dei due personaggi incarnati da John Travolta e Samuel L. Jackson, ma che passano e poi tornano alla memoria quando si rievoca la pellicola.

    Ma spessissimo lo Junk Food fa capolino nelle scene dell’ex commesso di videoteca.

    In “Reservoir Dogs” (in Italiano le Iene), patatine, hamburger e superalcoolici sono compagni inseparabili delle vicende dei protagonisti.

    Nel successivo “Jackie Brown”, è del pollo al sugo con cipolle, insieme a fagioli in umido e riso saltato con pisellini (!) la molla che fa chiudere Chris Tucker nel bagagliaio dell’auto.

    Anche qui i superalcolici la fanno da padrone, insieme agli immancabili caffè e birra.

    Kill Bill (soprattutto il Volume 1), è un trionfo di sushi, abbinato ad un clamoroso errore dei doppiatori italiani.

    Mentre la temibile Gogo Yubari (Chiaki Kuryama) sta ubriacandosi un amico le chiede se le piaccia “la” Ferrari.

    In realtà si parla del famoso spumante trentino che la killer nipponica sta tracannando dalla bottiglia, mentre il dialogo è stato interpretato come se ci riferisse alla leggendaria marca di Maranello (peraltro assolutamente fuori contesto nella scena).

    Comunque, alla baby killer orientale il Ferrari non piace (de gustibus…).

    Sempre a proposito di cibi discutibili, Uma Thurman vede Bill (David Carradine) preparare un toast con sottilette, salumi, maionese e pomodori e ancora non lo uccide.

    Nello split film “Kill Bill” la fanno da padrone anche alcune specialità tex-mex, come i nachos di cui si ingozza Kurt Russell.

    Il tutto, ovviamente, innaffiato da quantità industriali di superalcolici.

    Non c’è che dire, una dieta salutista!

    A proposito di salutismo, per il gioco dei contrasti (probabilmente) in “Bastardi senza gloria” il fetentissimo nazista Hans Landa (Christoph Waltz) al vino preferisce il latte ed è goloso di dolci.

    Per la precisione, in una scena davvero ben congegnata, si gusta uno strudel, mentre la sua vittima designata viene invitata a mangiarne uno con panna.

    Come non mangiare fagioli in un western?

    Nemmeno Quentin può sfuggire a questa regola non scritta e così, in “Django Unchained” si omaggia la tradizione di Bud Spencer e Terence Hill, con i famosi dicotiledoni stufati ed accompagnati da del gustoso e semplice pane.

    Si può ben dire che la caratteristica ricorrente della presenza del cibo nei film di Tarantino è legata alla quotidianità, senza dare apparente risalto alle pietanze ma, per contrasto, rendendole protagoniste mettendole sullo sfondo.

    Indubbiamente però, i film di Tarantino, anche dal punto di vista alimentare, sono tutt’altro che di facile digestione e complementari alle vicende narrate sullo schermo.

    Altrettanto indubbiamente non è il tocco delicato quello che si può trovare, ma se si è fan del regista di Knoxville questo è fatto notorio…

     

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