Categoria: HERITAGE

  • LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    Consumare vari tipi di frutta e ortaggi arricchisce la nostra dieta di sostanze essenziali e biologicamente attive capaci di prevenire numerose patologie.

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    é una news di www.biodiversitapuglia.it

     Ancel Benjamin Keys, il biologo statunitense che scoprì i benefici della dieta mediterranea, nel 1993 segnalò che «la Dieta Mediterranea è principalmente vegetariana, cioè: pasta in varie forme, foglie condite con olio di oliva, verdura di stagione di tutti i tipi, spesso anche formaggio, ed ogni pasto termina con frutta e viene frequentemente integrato con vino».

     E aggiunse: «Io dico “foglie”. (…) tutti i tipi di foglie sono una parte importante della dieta di ogni giorno. Vi sono molti tipi di lattuga, spinaci, bietole, portulaca (…), indivia e rape».

      Ancel Benjamin Keys sottolineava così l’importanza della biodiversità anche nel piatto.

     Consumare vari tipi di frutta e ortaggi arricchisce la nostra dieta di sostanze essenziali e biologicamente attive capaci di prevenire numerose patologie.

     Completa il nostro fabbisogno di nutrienti.

     Arricchisce di colori e storie il nostro menù.

     Preserva dall’estinzione i prodotti della nostra terra.

     Ci migliora.

    Scritto da Pietro Santamaria per il progetto Biodiverso;
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

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    La principale finalità del progetto integrato BiodiverSO è quella di contribuire a raggiungere una significativa riduzione del tasso attuale di erosione della biodiversità delle specie orticole pugliesi.

    Puoi leggere tutte le news, le informazioni e le ricerche del progetto Biodiverso – Biodiversità delle specie orticole della Puglia.
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

    É un progetto di ATS “RETE PER LA BIODIVERSITÀ DELLE SPECIE ORTICOLE IN PUGLIA” “BIODIVERSO
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

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    (link: www.dispensadeitipici.it)

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  • IL PARCO NAZIONALE DELL’ALTA MURGIA

    IL PARCO NAZIONALE DELL’ALTA MURGIA

    IL PARCO NAZIONALE DELL’ALTA MURGIA.

    Il contesto geografico é quello della Murgia di Nord-Ovest o Murgia Alta, in Puglia, a cavallo delle province di Bari e BAT, un imponente blocco calcareo, oggi fortemente carsificato, che, a partire da 70 milioni di anni fa, é emerso e si é modificato, conservando sempre un alone di fascino e unicitá, sino ai giorni nostri.

     Una porzione di questa grande area é rappresentata dal Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Il Parco é stato istituito il 10 marzo 2004 a seguito dell’adozione di un apposito D.P.R. e abbraccia i territori afferenti ai comuni di Altamura, Andria, Bitonto, Cassano delle Murge, Corato, Gravina in Puglia, Grumo Appula, Minervino Murge, Poggiorsini, Ruvo di Puglia, Santeramo in Colle, Spinazzola, Toritto, per un’area complessiva pari a 68 mila ettari.

     Si tratta di un territorio eccezionale, caratterizzato da spazi immensi che si perdono nell’orizzonte o, a tratti, reso sinuoso da alture collinari che raggiungono anche 600 metri di quota. Un territorio a volte fortemente solcato da profonde lame e imponenti doline, scolpito dal carso nudo e dal calcare affiorante, ma anche maculato da grandi distese di aree boschive, siano esse di conifere o querceti.

     Il Parco Nazionale dell’Alta Murgia, peró, non custodisce al suo interno solo certi fenomeni ambientali e paesaggistici di grande rilievo ma anche importanti siti di notevole interesse storico, archeologico e paleontologico, vista la presenza di realtá come i castelli di Federico II, anche conosciuto come “Puer Apuliae” o “Fanciullo delle Puglie”, primo fra questi Castel del Monte, antichi ripari, jazzi e masserie, resti della cultura agricolo-pastorale, tracce di passaggi dei dinosauri, come scoperte nella Cava omonima, e della presenza molto antica dell’uomo, come rinvenuto nella Grotta nell’Uomo di Altamura, solo per citarne alcuni.

     Un Parco ricco di storia, quindi, antica e piú recente che, grazie ai suoi spazi infiniti e incontaminati, ospita, ancora oggi, una grande varietá floro faunistica. L’intera Alta Murgia, e all’interno di essa, il Parco, é da considerarsi infatti, un vero e proprio insieme di habitat, che rappresenta mai un simbolo di conservazione della biodiversitá per tutta una serie di specie floro-faunistiche, che in altre parti del mondo sono seriamente minacciate di estinzione. Questo status, infatti, é stato uno dei principali motivi per cui l’area é stata insignita quale “Sito di Interesse Comunitario”, inserito nella Rete Natura 2000, grazie alla quale una serie di specie viventi, presenti nel Parco, sono oggetto di tutela e studio.

     La fauna pertanto é molto ricca e conta centinaia di specie. L’avifauna che popola la Murgia intera, e quindi il Parco Nazionale rappresenta da alcune delle piú importanti popolazioni di specie delle aree steppiche e semiaride del bacino del Mediterraneo, quali la calandrella (Calandrella brachydactyla), la calandra (Melanocorypha calandra), la tottavilla (Lullula arborea), l’allodola (Alauda arvensis), la cappellaccia (Galleria cristata), l’occhione (Burhinus oedicnemus).

     I rapaci sono qui fortemente rappresentati da popolose colonie di grillaio (Falco naumanni), grande frequentatore, oltre che degli infiniti spazi aperti, anche dei centri storici delle cittadine murgiane. Ma non solo. Il nibbio reale (Milvus milvus), il biancone (Circaetus gallicus), la poiana (Buteo buteo), il gheppio (Falco tinninculus), e il lanario (Falco biarmicus feldeggii) sono specie anch’esse presenti.

     Tra i mammiferi la volpe (Vulpes vulpes), ma anche il lupo (Canis lupus) che, in questi ultimi anni, ha fatto timidamente comparsa di sé.

     Le piante, dal canto loro, forse, vedono nella quercia il suo migliore testimone.

     Sono tante le specie presenti nell’area delimitata dal Parco, la roverella (Q.pubescens L.), il leccio (Q. ilex L.), il cerro (Q. cerris L.), la quercia spinosa (Q. coccifera L.), la quercia di Palestina (Q. calliprinos Webb), il farnetto (Q. frainetto Ten.) e il raro fragno (Q. trojana Webb). Oltre le quercete molti sono gli impianti artificiali di conifere, risultato di attivitá di rimboschimento avviato negli anni ‘30 e costituite prevalentemente da pino d’Aleppo (Pinus halepensis Mill.) e cipresso comune (Cupressus sempervirens L.).

     Le aree steppiche sono invece caratterizzate dalla presenza di piante quali la stipa (Stipa austroitalica Martinowsky) e le numerose specie di orchidee appartenenti ai generi Serapias, Orchis e Ophrys. Un mondo, quello delle orchidee, che recentemente si é ulteriormente arricchito vista la scoperta di una nuova specie denominata, Ophrys murgiana, proprio in onore di questa terra.

     La vegetazione arboreo-arbustiva dei pascoli naturali é costituita da olivastro (Olea europaea var.sylvestris L.), mandorlo (Amygdalus communis L.), marruca (Paliurus spina-christi Mill.), nespolo (Mespilus germanica L.), prugnolo (Prunus spinosa L.), perastro (Pyrus amygdaliformis), mandorlo selvatico (Prunus webbii Spach), biancospino (Crataegus monogyna Jacq.), ramno (Rhamnus saxatilis Jacq.).

     Il Parco Nazionale dell’Alta Murgia, infine, é un importante crocevia in cui la storia della terra, con le sue evoluzioni in grandi paesaggi di pietra, dell’uomo, viste le sue frequentazioni dell’area risalenti giá a periodo compresi fra i 250.000 e i 100.000 anni fa, e dell’ambiente naturale fatto di un habitat quasi unico, si sono incontrati dando forma a un luogo affascinante e complesso. La sua comprensione passa necessariamente da un processo binario, da una doppia visione: quella d’insieme dei grandi spazi e quella del particolare, fatto da infinitesimi segni lasciati dal tempo, dalla vita brulicante e dall’uomo.

    ispirato da
    (S.A.C. Alta Murgia Tracce nella roccia, Sistema ambientale e culturale dell’Alta Murgia)

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    (link: www.pixabay.com)

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  • BASILICATA, O LUCANIA

    BASILICATA, O LUCANIA

    BASILICATA, O LUCANIA.

    La Basilicata, o Lucania, è una regione del Sud Italia nonché uno dei segreti meglio custoditi d’Italia. Con la sua vita pacifica e bucolica, è una delle piú autentiche testimonianze de “l’Italia del passato”.

     Le origini della parola “Lucano” restano oscure. Sembra però che il nome lucani suona in greco Leukànoi e si pone perciò in relazione con l’aggettivo leukòs, che vuol dire splendente, luminoso; il nome latino è invece Lucani che viene posto in relazione con la parola lux, ma contemporaneamente con il termine lucus ‘bosco’. Le due interpretazioni sono coerenti, in quanto lucus deriva da lux ed indica originariamente non tanto il bosco, quanto lo spazio luminoso nel bosco, ossia la radura.

     Qui si puó vivere e visitare una storia affascinante che risale alla preistoria; ci sono molti tesori non ancora scoperti dal turismo di massa, città e paesini in aree remote, antiche abitazioni rupestri e castelli ed aree fortificate risalenti ai templi greci, splendidi affreschi. Sono visitabili tracce del passato nelle aree archeologiche di Metaponto e Siris di Serra di Vaglio e Grumentum, nei centri storici e nei musei di Potenza, Venosa, Melfi, Matera e in molti altri luoghi.

     Matera è certamente la città più famosa della regione, nota per i Sassi – case rupestri scavate nelle rocce che furono abitate fino alla metà del 1900 – ora patrimonio mondiale dell’UNESCO. Alcune parti della città hanno più di 2000 anni ed un’atmosfera magica e spirituale le hanno rese cornice perfetta per il film di Mel Gibson “La passione di Cristo”.

     In Basilicata, in tutta la regione, si mantengono in vita molte tradizioni e feste popolari, sono da non perdere, a mero titolo di esempio: l’Epifania ed i Cucibocca a Montescaglioso, la festa dei campanacci a San Mauro Forte, il carnevale a Tricarico e Ascoli Satriano, il Maggio di San Giuliano ad Accettura, il Grancia Festival a Brindisi di Montagna, le feste del vino nei paesi del Vulture (un vulcano silente), diversi festival di musica e cultura e le feste patronali.

     In molti descrivono la regione come un melting pot gastronomico, con molteplici piatti e cibi tradizionali. Dal pane di Matera a forma di cornetto ai “taralli dolci” o alla pasta “Mischiglio”; dai peperoni Cruschi o di Senise ai fagioli di Sarconi; dai salumi e formaggi alla frutta fresca, alle verdure ed ai legumi. I residui di materiale vulcanico hanno reso la Basilicata una regione particolarmente fertile, anche i vini sono molto apprezzati proprio grazie a questi terreni di origine vulcanica sui quali sono piantati i vigneti, da provare: Aglianico del Vulture DOP, Terre dell’Alta Val D’Agri DOP, Moro e Primitivo di Matera DOP.

     Nei dintorni delle città e dei paesini si possono visitare montagne, colline, canyon e vallate, che hanno dato vita a spettacolari parchi naturali che coprono quasi l’intero territorio regionale. Ci sono anche i laghi: quelli di Monticchio sono di origine vulcanica; quelli di Pietra del Pertusillo, San Giuliano, Monte Cotugno e il lago di Camastra sono artificiali, creati dalle dighe. Le sponde del Mar Ionio e del Tirreno sono le zone costiere, con splendidi mari blu, insenature, coste rocciose, di ciottoli o di fine sabbia bianca si animano con sport acquatici e vita estiva.

     C’é qualcosa per tutti i gusti; per chi ama le vacanze all’avventura, o per chi vuole viaggiare alla scoperta di cultura, religione e storia, o per chi ama le vacanze rilassanti sulla spiaggia o, ancora, per chi ama le vacanze nella natura circondato da gente tranquilla e pacata.

     La Lucania o Basilicata ti aspetta. E averla scoperta, non potrai che canticchiare un motivetto che resterá indelebile nella tua mente:

    Ba. Ba. Basilicata.
     Ba. Ba. Basilicata.
    Tu che ne sai?
     L’hai vista mai?
    Basilicata is on my mind.

    link: (www.youtube.com)

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    (link: gastronomialucana.wordpress.com)

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  • LA POESIA “CHE FA RUMORE” DEI PEPERONI CRUSCHI

    LA POESIA “CHE FA RUMORE” DEI PEPERONI CRUSCHI

    LA POESIA “CHE FA RUMORE” DEI PEPERONI CRUSCHI.

     Eccellenza gastronomica della Lucania, il peperone crusco racchiude in sé storia, tradizioni e tempra di questo antico territorio.

    cibi magazine

    é una news di www.cibiexpo.it

     Gli piaceva scherzare, amava provocare risate, soprattutto a tavola. Adorava l’ilaritá contagiosa, solare e insieme salace, mescolando manicaretti e gladiatori, sapori e frecciatine dall’impronta teatrale, divertenti battute a seri sermoni, ricette culinarie ad allusioni morali elevate. Parliamo di Quintus Horatius Flaccus, noto come Orazio (65 – 8 a.C.), uno dei piú significativi poeti romani, nato a Venosa, nell’odierna Basilicata. Non fu l’unico letterato ad avere origini lucane: seguirono nei secoli nomi di grande portata, ma a lui, al sommo maestro di poesia e di retorica, sono legate le radici piú profonde di un territorio antico – la Lucania – in cui si esprime il senso piú autentico della tradizione, che contraddistingue la regione ancora oggi.

     Con queste prerogative possiamo ora dare un valore culturale oltre che gustativo a un prodotto straordinario della terra lucana, il Peperone di Senise IGP.

    Origini esotiche

     Originario delle Antille, il peperone rosso – conosciuto anche come “Oro Rosso” – é giunto in Europa nel XVI secolo, in particolare nella zona di Senise (un piccolo centro in Basilicata alle porte del Parco Nazionale del Pollino) dove ha trovato un habitat simile a quello originario, grazie ai terreni fertili, al microclima particolarmente favorevole e alle abbondanti riserve idriche.

     Le diverse tecniche di coltivazione e di lavorazione si sono poi tramandate di generazione in generazione, fino a essere fissate, a partire dal 1996, nel regolamento che disciplina anche le attivitá dei produttori aderenti al Consorzio di Tutela dei Peperoni di Senise IGP. (link: www.peperonediseniseigp.it)

    Peperoni rossi fritti

     ll peperone crusco rappresenta uno dei piatti lucani per eccellenza: é il peperone rosso dolce che viene essiccato e fritto per pochi secondi in olio; l’escursione termica fa sí che l’ortaggio diventi “crusco”, cioé croccante (in dialetto, zafaran crusck).

     Il suo gusto unico, leggermente piccante ma insieme dolce, fa di questo prodotto un’eccellenza gastronomica, un fiore all’occhiello che a testa alta si inserisce in una tradizione non soltanto antichissima ma degna di uno spessore culturale che lo allaccia a quelle preziose origini letterarie e poetiche di una terra intensa, forte, dolente e nostalgica, appassionata e ancor sempre piccante, come nei versi di Orazio.

     Un prodotto da difendere, da diffondere, da mangiare.

     Ve lo assicuriamo, un crusco tira l’altro!

    Scritto da Chiara Caprettini per il magazine CiBi: Arte e Scienza del Cibo, Anno 7, Numero 7-8, Luglio 2019, pag.19
    (link: www.dispensadeitipici.it)

    cibi magazine

    CiBi é una piccola rivista dedicata all’agroalimentare con un obiettivo grande: informare tutti, con passione e competenza, in modo gratuito. Perché il cibo fa parte della nostra cultura e gustarlo, conoscendolo, fa vivere meglio e più felici.

    Puoi leggere tutti i volumi del magazine CiBi: Arte e Scienza del cibo.
    (link:www.cibiexpo.it)

    É un progetto di Cibi srl
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  • TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO

    TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO

    TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO.

     Viviamo (e chissà se ce ne siamo davvero accorti) nell’età del turismo.

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    é una news di www.nuovoeutile.it

     È la più importante industria del nostro tempo, ed è la più inquinante: produce CO2 e consuma territorio. Alimenta un indotto gigantesco: c’è la produzione di aerei, navi, treni e auto e pullman, che senza turismo subirebbe una forte flessione. C’è la costruzione di strade e aeroporti. Di alberghi, villaggi e seconde case e campi da golf e piscine. C’è la fabbricazione di arredi e suppellettili e biancheria per alberghi e seconde case.

     E c’è la produzione di souvenir e di skilift, di sci, scarponi e costumi da bagno, di ciabatte e zaini e valigie e cappellini e creme solari… poi, c’è tutta l’editoria dedicata, su carta e in rete. Ci sono Google Maps e Tripadvisor.

    IL 10 PER CENTO DEL PIL MONDIALE.

     Senza calcolare l’incalcolabile indotto, il turismo internazionale vale 1522 miliardi di dollari (Wto – Organizzazione Mondiale del commercio, 2015). Il turismo locale vale molto di più: 7600 miliardi di dollari nel 2014, il 10 per cento del pil mondiale.

    SPAGNA E ITALIA.

     In Spagna, prima meta turistica al mondo, il turismo vale oltre il 15 per cento del pil e dei posti di lavoro. In Italia vale il 10,2 per cento del pil e l’11,6 per cento dell’occupazione (dati 2015). In Costa Rica (link: www.nuovoeutile.it) il turismo arriva a impiegare il 27 per cento della forza lavoro (e, grazie alla tutela del paesaggio, regala un futuro diverso all’intera nazione).

    LA GIOSTRA CHE CI MUOVE.

     Insomma, il turismo è una giostra su cui buona parte della popolazione mondiale è salita (o salirà tra breve), nei ruoli più o meno intercambiabili di viaggiatore o turista, o spettatore, o lavoratore del turismo. È un fenomeno globale, pervasivo e relativamente recente. C’è un’enorme letteratura sui luoghi del turismo, c’è un’ampia produzione di scritti sul marketing e la promozione turistica. Ma i ragionamenti sul turismo in sé, come nuovo stile di vita, sistema e comportamento condiviso, sono scarsi e frammentari.

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    VOLENTEROSE ILLUSIONI.

     Con Il selfie del mondo (Feltrinelli) (link: www.amazon.it), Marco D’Eramo ci aiuta a capire come la giostra funziona, che cosa la muove e che cosa può romperla. Soprattutto, ci dice che la giostra è fatta di specchi, e che si fonda sul paradosso. Per questo, parlando di turismo, Il selfie del mondo ci parla di noi e dei nostri desideri, delle nostre illusioni e (infine) della nostra buona volontà.

    UN NOBILE PIACERE.

     In passato la gente non si muoveva se non era obbligata a farlo. Nel Cinquecento, solo i figli dei nobili viaggiano per piacere e formazione. Nel Settecento, “aver visto il mondo” diventa obbligatorio per un gentiluomo, a cui si consiglia di andare in giro con un blocco da disegno. Nasce così la categoria del “pittoresco”: ciò che salta all’occhio, è esotico ed è facile da dipingere.

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    BRUTTI E TANTI.

     Il turismo si espande a metà Ottocento, con la sbalorditiva diffusione dei mezzi di trasporto, e suscita nei nobili turisti tradizionali enorme fastidio per i “nuovi” e “brutti” e “tanti” turisti borghesi. Questi hanno mete che oggi ci sembrano stravaganti. A Parigi visitano le fogne, le prigioni e (lo racconta Marc Twain) l’obitorio.

    RIVOLUZIONE TURISTICA.

     Ma la rivoluzione turistica mondiale si verifica nel secondo dopoguerra: si passa da 25,3 milioni di viaggiatori internazionali nel 1950 al miliardo 186 milioni del 2015 (dato WTO). Il turismo non solo si globalizza grazie ai voli low cost, ma si specializza irreggimentando pubblici diversi (anziani, congressisti, studenti, fedeli in visita ai luoghii sacri…). E, scrive d’Eramo, si ingarbuglia (ingarbugliando anche noi) in una serie di paradossi disturbanti.

    PRIMO PARADOSSO: IL TURISMO FUGGE DA SE STESSO.

     Ogni meta desiderabile perché “autentica” ed “esclusiva” smette gradualmente di esserlo man mano che si trasforma in meta turistica. E poi, più un luogo “va visto”, meno diventa possibile vederlo, perché… è pieno di turisti.

    SECONDO PARADOSSO: L’AUTENTICA FINZIONE.

     I turisti ricercano l’autenticità, ma la individuano solo se è evidenziata, quindi “messa in scena”, quindi ostentata e inautentica. Questo fatto porta al terzo paradosso.

    TERZO PARADOSSO: LA TRADIZIONE INVENTATA.

     Per esempio, il Palio di Siena viene medievalizzato nel 1904. E i mercati “tipici” come il Mercado de San Miguel a Madrid finiscono per vendere solo ciò che i turisti si aspettano di poter comprare.

    QUARTO PARADOSSO: L’ENTROPIA TURISTICA.

     il turismo alimenta l’economia delle città e dei territori, ma la omogeneizza distruggendo le basi economiche su cui si fonda l’identità di quelle città e di quei territori. Nel Chiantishire i casolari diventano ville, nel centro delle città le botteghe diventano negozi di souvenir. I piccoli centri come San Gimignano si trasformano in un parco a tema.

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    QUINTO PARADOSSO: IL TOCCO LETALE.

     Il tocco dell’Unesco è – scrive D’Eramo — letale. Preservando le pietre e gli edifici, l’etichetta di Patrimonio dell’Umanità, anche se attribuita in perfetta buona fede, museifica i luoghi, li sterilizza, costringe gli abitanti all’esodo svuotando i centri urbani.

    SESTO PARADOSSO: IL FALSO È VERITÀ.

     L’inautentico turistico è un autentico (e dunque rimarchevole) segno del nostro tempo. Basti pensare al caso di Lijang, città turistica cinese interamente ricostruita, (oltre 20 milioni di turisti nel 2013). O al caso di Las Vegas. Due insediamenti che raccontano una verità proprio nel loro essere fenomeni del tutto artificiali

    SETTIMO PARADOSSO: FARE IL TURISTA È UN LAVORO DURO.

     Le persone si assumono volontariamente il compito di eseguirlo mentre sono in ferie, cercando di sfruttare con la massima efficacia il poco tempo disponibile. Un dettaglio rivelatore: quelli che dicono “ho fatto il Brasile, l’anno prossimo farò l’Asia centrale”. Che fatica…

    OTTAVO PARADOSSO: “LOCALE” È DAPPERTUTTO.

     Parliamo di gastronomia. Si moltiplicano le sagre enogastronomiche: in Italia sono oltre 34.000, più di quattro a comune. Abbiamo 1515 sagre della polenta e 1040 sagre della salsiccia, 5790 sagre del tartufo, 156 sagre della lumaca e 171 della rana… e si moltiplicano anche i ristoranti etnici, perché i turisti amano gustare di nuovo i sapori incontrati in vacanza. Ma la “cucina etnica” è come la “musica etnica”: ingredienti tradizionali riarrangiati per un pubblico globale.

    NONO PARADOSSO: NESSUN TURISTA VUOLE SENTIRSI TALE.

     Preferisce considerare se stesso un “viaggiatore”, e riversare il proprio disprezzo su qualcun altro che si comporta più “da turista”. La catena del disprezzo classista è forte: lo svago delle masse, che è recentissimo, ha ricevuto dagli intellettuali più critiche in dieci anni di quante il tempo libero degli aristocratici ne abbia ricevute in duemila anni.

    UN VIAGGIO TRA FENOMENI.

     Il testo di Marco D’Eramo è a sua volta un viaggio. Cioè un percorso tra fenomeni, luoghi, idee, dati, idiosincrasie, intuizioni e contraddizioni, e mille storie sorprendenti. Ma, proprio come capita nei viaggi materiali, anche procedendo di pagina in pagina l’autore entra in contatto con prospettive inaspettate e ne esce cambiato. E con lui noi, che l’abbiamo seguito leggendo.

    Turismo - tourism 1-min

    C’È DEL BUONO, TUTTAVIA.

     La chiave del cambiamento di prospettiva sta in una serie di domande semplicissime: …e se il turismo fosse animato dal movente positivo dell’essere curiosi del mondo? E se non si trattasse d’altro che di una pratica di automiglioramento (self improvement) corporeo, emotivo e intellettuale? Del resto, in quale altra occupazione che la renda più felice potrebbe una sterminata massa di esseri umani investire il suo tempo libero? C’è qualcosa di commovente, scrive D’Eramo, nella fiducia che andare a visitare una città, un monumento, un paese possa aprirti la mente, renderti migliore.

    NOSTALGIA, FORSE.

     Eppure, la bistrattata figura del turista forse non durerà per sempre. Potremmo perfino cominciare a coltivare, nei suoi confronti, una specie di nostalgia. Il cambiamento del lavoro, che diventa sempre meno stabile, può cambiare l’idea stessa di “vacanza”. E lo sguardo turistico che cerca il nuovo, l’autentico e l’inaspettato, forse si appannerà dopo aver già visto in rete tutto ciò che merita di essere visto.

    Scritto da Annamaria Testa per il suo sito web Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá
    (link: www.nuovoeutile.it)

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    Nuovo e Utile è un sito di teorie e pratiche della creatività e non ha scopo di lucro. Vuole trasmettere una visione della creatività come stile di pensiero orientato a produrre risultati originali ed efficaci.

    Puoi leggere tutti gli articoli sul sito NeU – Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá.
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    É un progetto di Annamaria Testa
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  • DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA

    DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA

    DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA.

     Una realtá produttiva fatta di piccola e media impresa, frutto di un’antica tradizione che vive di alta qualitá grazie anche a oggetti unici al mondo.

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    é una news di www.mestieridarte.it

    Da quando siamo entrati nell’Europa unita ci hanno spiegato che ormai dobbiamo fare i conti con la globalizzazione dei mercati, per cui occorre produrre tanto e in modo omogeneo per poter conquistare mercati sempre piú vasti e competere con le grandi imprese multinazionali.

    Ma é pur vero che la nostra realtá produttiva é sempre stata caratterizzata dalla piccola e media impresa, aziende che rispetto alla tendenza sopra esposta stanno sviluppando una propria strada cercando di valorizzare sempre piú la “piccola produzione”.

    Valorizzazione che passa attraverso la qualitá, il marchio d’origine, fino alla produzione numerata (come con molti nostri vini); cosí possiamo dire che é in atto una battaglia, da una parte la grande produzione, dall’altra quella piccola e legata a culture e tradizioni locali. Sembra di rileggere le polemiche e le battaglie culturali di fine anni 70 dove i designer radicali (che guardavano con attenzione alle realtá locali, alla cultura contadina, alle esperienze periferiche…) si contrapponevano al design internazionalista (buono per ogni luogo e legato a una visione della nostra societá dipendente da un unico grande supermercato).

    Ieri come oggi. I nostri “sapori” cercano di mantenere la propria identitá e le centinaia di formaggi italiani, vini, salumi, verdure trovano ogni giorno sostenitori che si danno da fare perché non scompaiano dal mercato, e quindi dalla nostra tavola e dalle tavole internazionali di chi apprezza sempre piú i prodotti della cucina italiana. I mondi del design, delle arti applicate e dell’artigianato hanno lo stesso problema.

    Cosí, il consiglio che si puó dare é di cercare di operare collaborando! Oggetti “fatti ad arte” per i nostri “particolari” sapori. Due mondi, due realtá produttive che potremmo salvare attraverso un processo di collaborazione nella consapevolezza (spesso viene a mancare) che tutte e due le produzioni descritte appartengono alla nostra “cultura materiale”.

    Potranno cosí crescere oggetti che esprimono identitá, appartenenze, territorialitá, sfruttando l’apprezzamento di un nostro prodotto ormai penetrato diffusamente sul mercato. Pensiamo al fiasco di vino in vetro di Empoli per il nostro Chianti, ai grandi piatti di Vietri per la nostra pizza napoletana, la ceramica di Grottaglie per il nostro robusto olio del sud e quella di Nove per il delicato olio del Garda, la ceramica di Deruta per il prestigioso olio toscano e cosí via. Tanti oggetti per i tanti prodotti per cui siamo famosi in tutto il mondo.

    Il tema legato all’alimentazione ripropone il dilemma della scelta tra globalizzazione e localizzazione. Probabilmente occorrerá lavorare sui due fronti anche se la nostra cultura, il territorio e le tradizioni ci indirizzano verso progetti che guardano alla localizzazione e ai nostri tanti genius loci.

    Perché non proporre una mostra dove il consumare cibi venga proposto come qualcosa che passi attraverso i diversi rituali domestici della nostra quotidianitá (in continua evoluzione) e che non focalizzi quindi il momento della fruizione sui consueti colazione, pranzo e cena? Il tutto valorizzando, attraverso il progetto, gli strumenti, i prodotti e i cibi espressione delle nostre diversitá? Dalle tovaglie (tessuti e decori di Romagna, Abruzzo, Sardegna…) alle stoviglie in ceramica (di Grottaglie, Vietri sul Mare, Caltagirone, Deruta, Faenza, Nove, S.Stefano di Camastra…), vetro (di Murano, Colle Val d’Elsa, Empoli), pietra (di Apricena, ollare, Lavagna…) e poi argento, porcellana, vimini, legno… fino agli oggetti d’arredo.

    Un’occasione per verificare i tanti possibili collegamenti tra i nostri produttori di oggetti (artigiani e piccole imprese) e di alimentari, per creare e rinnovare sinergie e aprirsi a nuove possibilitá di sviluppo e comunicazione.

    Scritto da Ugo La Pietra per il magazine Mestieri d’Arte & Design, Anno III, Numero 6, Dicembre 2012, pag.14-15;
    (link: www.issuu.com)

    neu nuovo e utile
    Mestieri d’Arte & Design è un progetto editoriale dedicato all’eccellenza artigianale italiana e internazionale, alle sue origini e ai suoi rapporti con la creatività e lo stile. Non solo storie o prodotti, ma anche materiali, tecniche, atelier, scuole, botteghe e gli artefici: i maestri d’arte.

    Puoi leggere tutti i volumi del magazine Mestieri d’Arte & Design
    (link: www.mestieridarte.it)

    É un progetto di Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte (link: www.fondazionecologni.it) e Symbol s.r.l. (link: www.arbiter.it)

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  • La Puglia e l’Economia Circolare

    La Puglia e l’Economia Circolare

    La Puglia e l’Economia Circolare.

    è una news di Regione Pugliasistema.puglia.it

    La Puglia é nel network per lo Sviluppo dell’Economia Circolare.

    É stata firmata a Roma, il 31 Maggio 2018, la Carta Italiana per l’economia Circolare.

    La Carta italiana per l’economia circolare é satta promossa dall’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico.

    L’obiettivo è ambizioso: connettere le amministrazioni, la società civile, le imprese, la ricerca, impegnate in progetti e iniziative sull’economia circolare, in modo da favorire sinergie e far conoscere a livello nazionale ed europeo le buone pratiche italiane. La Regione Puglia è tra i primi firmatari del documento, che è un manifesto in cui sono definiti i temi inerenti all’economia circolare di comune interesse.

    ENEA, unico membro italiano e rappresentante del mondo della ricerca nel gruppo di coordinamento della piattaforma europea per l’economia circolare, ha promosso la realizzazione dell’analoga piattaforma italiana web (www.icesp.it), per facilitare lo scambio di informazioni e le buone pratiche e offrire una rappresentazione unitaria del modo italiano di fare economia circolare.

    L’economia circolare attraversa diversi settori economici e affronta problematiche tra cui la transizione verso le energie rinnovabili, la gestione del ciclo dei rifiuti, la lotta allo spreco alimentare, l’utilizzo delle risorse naturali.

    La Puglia si è dotata di norme e strumenti che consentono di affrontare tali questioni e le criticità ad esse legate in maniera sistemica, considerando ognuna di loro come parte integrante di una politica di sviluppo moderna e sostenibile.

    La Regione Puglia é stata la prima regione italiana ad aver colto l’utilità di questo network confermando la propria vocazione ambientale.

    Far parte del network per l’economia circolare conente da un lato di far conoscere le buone pratiche messe in atto in Puglia; dall’altro, di intercettare e partecipare alle più recenti e promettenti iniziative su scala europea, potenziando il trasferimento tecnologico, la nascita di nuove imprese, la diffusione di approcci culturali e stili di consumo diversificati.

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  • Origine ed itinerari del Primitivo – parte prima

    Origine ed itinerari del Primitivo – parte prima

    Origine ed itinerari del Primitivo – parte prima.

    è un articolo di Mediterranea Onlinemediterraneaonline.eu

    La buona propensione al viaggio del Primitivo…

    L’esistenza dell’uva in Puglia è fatto antecedente ai rapporti tra popolazioni autoctone e i Fenici che si spinsero con le loro navi lungo i litorali della regione a partire dal 2000 a. C. per finalità commerciali.

    Gli antichi naviganti introdussero in quelle terre nuovi vitigni e tecniche dell’allevamento della vite più efficaci e altrettanto fecero col popolo illirico degli “Histri” che popolarono l’Istria, la Valle del fiume Arsa e la baia di Kalavojna (nome dato in seguito dai greci: “kala” e ”oenos” significano ”buon vino” appunto).

    Intorno al 1200 a. C. dall’Illiria, regione bagnata dal Mare Adriatico corrispondente a gran parte dei Balcani occidentali, inclusa la Dalmazia, iniziarono le prime migrazioni in Puglia, in particolar modo verso l’area meridionale del Salento; la prima tribù illirica a popolare la regione fu quella degli Japigi (dal nome di Iapige figlio di Dedalo e capo dei cretesi stabilitisi a Taranto, oppure del figlio di Licaone e fratello di Dauno e Peucezio); a queste genti probabilmente originarie dell’Albania seguirono, nel VII sec. a.C. le sottotribù dei Peuceti e dei Dauni.

    Tra il IX e il X secolo a.C. nuovi flussi migratori di altre tribù si spinsero verso la Puglia oltre ai Dorici: i Choni e i Messapi.

    Questi ultimi si attribuirono, con buona probabilità, un nome ispirato alla leggenda di Messapo condottiero beota, dimostrando di essere un ramo di popolazioni ben più arcaiche di quelle illiriche di cui erano tuttavia parte o di averne almeno avuto contatto… gli abitatori di Beozia ed Eubea, le cui terre erano già famose per i rinomati vini. Stando però alle testimonianze letterarie di Erodoto si supponeva i Messapi potessero addirittura provenire da Creta. Comunque sia, forti della lingua e di una civiltà definita da usanze e costumi comuni i Messapi si fusero con gli Japigi dando inizio alla cultura e al popolo di Messapia, la “Terra tra i due Mari” corrispondente alle Murge e al Salento, sino a confondersi con essi (Strabone non a caso considerava Messapia e Japigia la medesima cosa).

    Per quanto le fonti storiche siano incerte, e le tribù degli Japigi e dei Messapi vengano spesso considerate un’unica etnia, nata all’alba delle grandi migrazioni indoeuropee verso l’areale mediterraneo e le loro lingue, l’illiro e il messapico, pressoché identiche, vengano equiparate alla fonetica egeo-anatolica. È certo che introdussero in Puglia nuove forme di viticultura, come d’altronde fecero i Greci dall’VIII sec. a.C., coi quali mantennero relazioni di reciproco rispetto e indipendenza culturale.

    Tra realtà e leggenda, migrazioni e incroci di civiltà, le viti antenate del Primitivo attestarono la loro presenza nei Balcani e in terra di Japigia, il vasto territorio comprendente la Daunia, la Peucezia e la Messapia, sopravvivendo al tempo e alle dominazioni che modificarono il volto dei territori uniti dal Mare Adriatico.

    E la vite migrante con l’uomo apporta civiltà e sapere per l’uomo ovunque attecchisce…

     

    leggi anche ORIGINI ED ITINERARI DEL PRIMITIVO – PARTE SECONDA (in pubblicazione)

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  • Il triangolo d’oro – parte seconda

    Il triangolo d’oro – parte seconda

    Il triangolo d’oro – parte seconda.

    è un articolo di Città Meridianecittameridiane.it

    Gli insediamenti rupestri tra Monopoli e Fasano.

    Tornando a Lama d’Antico, era sicuramente uno degli insediamenti più grandi e abitati dove non mancava nulla: abitazioni scavate nella roccia con camere e cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, ricoveri per gli animali, trappeti per la molitura delle olive, spazi per ospitare ambienti di lavoro e la magnifica chiesa, completamente affrescata.

    Si tratta di una vera cattedrale con cupola centrale, una delle chiese rupestri più grandi di tutta la Puglia. Al suo interno si entra attraverso un monumentale ingresso che immette in un ambiente distinto in due navate absidate. Originariamente la chiesa era completamente affrescata ma oggi gran parte delle pitture è sbiadita. Si scorge ancora sulla lunetta dell’abside centrale una Maiestas Domini e sulla parete sinistra la figura dell’apostolo Giovanni Evangelista che benedice alla greca.

    Sempre nel Parco Archeologico di Lama d’Antico, è compresa la chiesa di San Lorenzo in cui si conserva un’iconostasi particolare e fortemente legata alle funzioni religiose di rito greco-ortodosso. Ed è proprio qui che sono raffigurati i due Santi Padri: San Basilio della chiesa ortodossa e San Benedetto di quella latina. Notevoli le altre pitture murarie che sono dipinte con abilità pittorica e accuratezza per uso dei colori e i tratti intensamente espressivi dei visi che fanno di questa chiesa uno degli esempi più affascinanti dell’arte bizantina nelle lame di Fasano.

    Tra i casali più interessanti c’è quello di Sant’Andrea e San Procopio, in territorio di Monopoli, a cui si accede dalla Masseria Rosati. Nella lama dell’Assunta si riconoscono numerose case-grotte, un mulino, un frantoio e altri locali per uso artigianale e la chiesa cripta con una facciata scolpita con molta cura e maestria. Molto interessante risulta la lunga iscrizione incisa in lingua latina sopra la lunetta che data la chiesa al 1073.

    Anche il bema di questa chiesa è insolito nell’area della zona in quanto presenta una doppia separazione in pietra alta 50 centimetri con due aperture in direzione delle absidi. Riguardo le pitture murali è ancora visibile un San Giorgio a cavallo, il santo delle crociate. Nei dipinti di San Procopio si percepisce il passaggio dalla tradizione bizantina a una nuova corrente pittorica di ispirazione occidentale di matrice normanno-sveva.

    Canoni già angioini sono presenti nella raffigurazione di Sant’Eligio dipinto con colori vivaci e i simboli attribuitigli dalla tradizione quale patrono dei maniscalchi: due chiodi, un martello, una tenaglia, un ferro di cavallo e un piccolo mulo nero.

    Il nostro giro si conclude nella lama nei pressi della Masseria Ottava Grande (Strada Provinciale 10, Contrada Ottava, Montalbano di Fasano – tel. +39 320 6844285 – www.masseriaottavagrande.it – info@masseriaottavagrande.it), un burrone dalle alti pareti rocciose con un sistema di ampie grotte di cui alcune adibite a trappeto costituito da tre grandi ambienti e da altri piccoli vani e dotato di macina funzionante fino agli anni ’50. Di fronte alla masseria, il più antico esempio con torre fortificata, la chiesa di San Pietro del XII secolo che – come ci spiega l’archeologa Roberta Mussardo, che nel frattempo si è aggiunta a noi, – rappresenta un tipico esempio di edificio a cupole in asse, il cui schema si diffuse ampiamente in Puglia dall’VIII al XIII secolo.

    La chiesa è un piccolo gioiello in cui la semplice architettura esterna non fa presagire l’ampiezza e la ricchezza interne.

    Imponenti i pilastri che si protendono verso l’alto e sostengono gli archi delle tre cupole realizzate con volte a crociera.

    Successivamente, San Pietro è stata decorata con eleganti motivi floreali.

    Da sottolineare che l’edificio è tornato a essere fruibile grazie alla famiglia Indelli che ne è proprietaria, dopo un lungo periodo di incuria. Insieme alla chiesa è stata recuperata anche la casa rurale che si trova nella lama accanto alla quale si distinguono un’antica foggia e un profumato agrumeto chiuso da alte mura rivestite in cocciopesto e dotato di canalette in pietra per convogliare l’acqua della cisterna.

     

    leggi anche IL TRIANGOLO D’ORO – PARTE PRIMA

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  • Il triangolo d’oro – parte prima

    Il triangolo d’oro – parte prima

    Il triangolo d’oro – parte prima.

    è un articolo di Città Meridianecittameridiane.it

     Il territorio tra Monopoli, Fasano e Ostuni vanta una ricchezza storica e archeologica senza pari.

    Il territorio tra Monopoli, Fasano e Ostuni, negli ultimi anni aperto a un turismo di qualità grazie alle eccellenti strutture ricettive della zona, può essere considerato da sempre un triangolo d’oro per le prerogative offerte. Che, a ben vedere, sono lì da secoli: una campagna ordinata e feconda in cui principali protagonisti sono gli imponenti e contorti ulivi e i carrubi centenari, una ricchezza storica e archeologica senza pari e il valore aggiunto di complessi imponenti e magnifici, che è poco lusinghiero definire masserie, a due passi dal mare.

    Ma prima ancora di chi ora si gode la zona in modalità relax e vacanza, questa era stata scelta come sede abitativa da numerose comunità dalla civiltà raffinata, come si evince dagli insediamenti rupestri che vantano chiese ipogee imponenti e ricche di interessanti affreschi.

    Le popolazioni che qui si insediarono scelsero le lame, solchi profondi scavati dalle piogge nel calcare, come luoghi ideali per realizzare nel malleabile tufo le case-grotte e le grotte-chiese, nelle cavità naturali ampliate da successive lavorazioni.

    Un altro elemento favorevole allo stanziamento nei secoli scorsi è stato il clima che nella zona è particolarmente mite e ideale per la coltivazione dell’ulivo, del mandorlo, degli agrumi e anche di cereali e ortaggi.

    Non bisogna tralasciare poi che nel periodo in cui questi luoghi erano abitati le coste erano infestate dai predatori saraceni o berberi per cui le lame, a volte difficilmente raggiungibili e celate dalla fitta macchia mediterranea, rappresentavano un rifugio ideale.

    La lama più importante e interessante del territorio, sia per la bellezza del paesaggio che per gli insediamenti complessi e una chiesa di notevoli dimensioni e di grande valore artistico, è quella chiamata Lama d’Antico (Strada Provinciale Fasano-Savelletri, Contrada Sarzano, Fasanowww.lamadantico.it – info@lamadantico.it).

    Nella visita in questo luogo affascinante e fuori del tempo, ci accompagnano Giuseppe della Cooperativa ARS Archeologia, Restauro e Sviluppo (per info e visite tel. +39 328 3597517 – +39 338 8175123) e alcuni della numerosa colonia di gatti che ormai sono divenuti le guide ufficiali.

    Mentre ci addentriamo nel fondo della lama, arricchito da tanta vegetazione spontanea e secolari alberi di ulivo, ascoltiamo ciò che ci racconta Giuseppe che ci catapulta nella Puglia del tempo fra l’VIII e il XIII secolo d.C. contesa tra i Longobardi e i Bizantini.

    Nei borghi raccolti nelle lame gli affreschi narrano una storia di pace e di felice convivenza tra le due culture con un uso contemporaneo del latino e del greco nonché compresenza di entrambi i riti. Ciò non significa che non avessero rapporti con le autorità politiche imperanti – ci spiega Giuseppe – ma il loro isolamento consentì loro un’esistenza e una convivenza pacifiche.

    Dunque è ormai archiviata l’ipotesi che voleva questi luoghi di culto come grotte eremitiche basiliane scelte da monaci provenienti dalla vicina Grecia. Del resto, aggiunge la nostra guida, San Basilio non fondò ordini religiosi tantomeno promosse l’eremitismo.
    Prova inconfutabile dei contatti tra monachesimo greco e latino si trova nella chiesa rupestre di San Lorenzo in cui si trova l’affresco raffigurante, uno accanto all’altro, San Basilio e San Benedetto.

     

    leggi anche IL TRIANGOLO D’ORO – PARTE SECONDA

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