Categoria: ALIMENTATION

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  • La mineralità del vino è una metafora

    La mineralità del vino è una metafora

    La mineralità del vino è una metafora.

    Articolo tratto da vinopigro.it di Elisabetta Tosi

    Sono tempi interessanti, questi, per un filosofo…

    C’è chi ha bandito il termine dal suo vocabolario di descrittori del vino, chi invece continua ad usarlo, nella convinzione di venir comunque capito da tutti,  e c’è chi non si rassegna alla fumosità del concetto e insiste a ricercarne una spiegazione in qualcos’altro. Sì, parliamo di mineralità del vino, quella strana cosa che sfugge alle canoniche classificazioni di profumi-gusti fruttati/speziati/floreali/terziari eccetera. In breve: quando il vino ci ricorda qualcosa, ma non sappiamo dire con precisione che cosa, scartate tutte le consuete descrizioni, alla fine, di solito, lo si definisce minerale .Per questo, personalmente, non sono così ostile alla parola: in mancanza di meglio, è solo un modo (vago, generico) di chiamare qualcosa che non è né fruttato, né speziato, eccetera).

    Non sono solo i comuni mortali e gli addetti ai lavori ad essere incuriositi da questo odore/sapore; anche i Master of Wine lo sono, al punto da tenere un’apposita sessione di studio in proposito e di cui riferiscono nei dettagli le Scimmiette del Vino.

    In breve:

    • I minerali presenti nelle rocce dei suoli su cui crescono vigne non si trasmettono alle piante. Nè ai loro grappoli. E tantomeno al vino finale. I minerali che servono alla sua sopravvivenza la vite li trae dal suolo, anzi dall’humus;
    • Come qualcuno ha già ipotizzato, i minerali in se’ e per se’ non sanno di niente. La selce non ha odore, nè sapore. Ciò che noi etichettiamo come “odore di selce” in realtà potrebbe essere il frutto di un’azione meccanica (lo sfregamento, per dire) che libera nell’aria particelle di zolfo e ferro, che un po’ di odore in effetti ce l’hanno.
    • Conclusione: boh? “Qualunque cosa sia la mineralità del vino, non è il gusto dei minerali presenti nella vigna”

    Come se ciò non bastasse, quando si parla di mineralità del vino l’accordo, in realtà, è solo apparente. Per gli enologi significa tutto e niente – alcuni di loro, intervistati nel corso di una ricerca, sono arrivati a presentare 17 gruppi di termini, che andavano dal floreale alla polvere da sparo – e i consumatori finali ne hanno un concetto ancor più vago. Alla fine, si è concluso che la mineralità è un concetto che esiste (in quanto viene usato), ma che non gode di una definzione precisa e univoca, perchè i termini usati per descriverla sono troppi e spesso contraddittori.

    A questo punto, non c’era altro da fare che mettere in campo l’illuminata conoscenza di un gruppo di Maestri del Vino, ai quali sono stati sottoposti in degustazione cieca 15 vini bianchi, tutti – nell’immaginario collettivo – definibili come “minerali”. Complice – presumiamo – la diversa sensibilità dei partecipanti a quella caratteristica, alla fine nemmeno i MW hanno dato prova di unanime consenso. Dire che un vino è minerale non significa granchè, hanno convenuto alla fine.

    Morale? Non è chiaro a che cosa si possa attribuire ciò che noi chiamiamo “mineralità” di un vino, e non è chiaro nemmeno cosa s’intenda, alla fine, per mineralità.

    Forse è una metafora (dei nostri tempi confusi). Oppure, come ha insinuato qualcuno, è solo un modo (l’ennesimo) per confondere le idee ai poveri, ignari consumatori…

    P.s: forse la miglior definizione di mineralità l’ha data la scienziata del suolo Lydia Bourguignon: “la mineralità è la percezione che ha il palato delle rocce del suolo”, anche se così dicendo s’introduce un nuovo, ulteriore elemento di discussione: il concetto di percezione…

    Sì, sono tempi interessanti, per un filosofo.

    (nella foto, un #crurock di calcare bianco da un cru della Valpolicella)

    Immagini by vinopigro.it

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  • La merenda italiana e la merenda nel mondo

    La merenda italiana e la merenda nel mondo

    La merenda italiana e la merenda nel mondo.

    Articolo tratto da alimentipedia.it

    Cosa mangiano grandi e piccini per merenda in Italia e nel resto del mondo?

    La merenda è solitamente un pasto leggero consumato soprattutto dai più piccoli in un orario intermedio fra il pranzo e la cena serale.

    Forse non tutti sanno che il termine merenda deriva dal latino e significa “cose da meritarsi”. In effetti spesso ancora oggi i genitori usano dire ai bambini che se non fanno i bravi saltano la merenda, oppure negano le cose più gustose per proporre una merenda meno gradita al figlio, proprio per punizione.

    Quali merende si consumano nel mondo?

    In Cile

    In CIle la merenda consiste in un mini pasto a base di prodotti locali. È ideale non solo come merenda pomeridiana ma anche come vera e propria cena serale dopo un pranzo un po’ più ricco. È un momento informale in cui in Cile si riunisce la famiglia attorno al tavolo per mangiare insieme alimenti salati, panini, tramezzini, avocado fresco o spalmato su una fetta di pane. A conclusione della merenda si gusta dulce de leche e biscotti.

    In India

    in india

    La merenda tradizionale indiana si chiama “sweet lassi” ed è una bevanda dissetante a base di yogurt, acqua e frutta. Il lassi si beve anche durante i pasti in India ma in versione salata.

    Negli Stati Uniti d’America

    La merenda tradizionale americana è a base di marmellata e burro d’arachidi con cui vengono farciti i tramezzini.

    In Australia

    All’ora della merenda in Australia si usa bere “high tea” come accompagnamento ad uno spuntino a base di tramezzini di pollo e roastbeef, meringhe dolci, marmellate soprattutto di pesche, frutti di bosco e cocco.

    In Giappone

    “Oyatsu” sono le merendine e gli snaks consumati in Giappone in genere veros le tre del pomeriggio. Fra gli alimenti che vengono abitualmente mangiati dai bambini all’uscita da scuola ci sono: un dolce a base di castagne d’acqua, un’altro dolce tipo waffel accompagnato da marmellata, per passare poi ai classici nigiri giapponesi e a piatti anche salati come i ramen al granchio.

    In Africa Occidentale

    La merenda in Africa occidentale è a base di prodotti soprattutto fritti che vengono venduti a qualsiasi ora del giorno per le strade. Si possono trovare banane in pastella vanigliata, i puff puff, nella foto sopra, soprattutto in Nigeria simili alle nostre frittelle di carnevale o altre tipiche ciambelle fritte.

    In Italia

    Ma qual è la merenda italiana tradizionale? Fino a qualche decennio fa la risposta poteva anche essere semplice, pane burro e zucchero al Nord e pane condito con olio di oliva al Sud. Questa era la merenda che usavano consumare i nostri nonni, economica, energetica e salutare. Oggi è un po’ più difficile identificare la merenda tipica italiana. Si può variare da frutta fresca e yogurt, biscotti, dolci di ogni tipo, merendine varie e il classico pane e Nutella.

    Merenda nelle altre lingue

    Inglese/tedesco: snack
    Spagnolo: bocadillo
    Francese: casse-croûte

    immagini by alimentipedia.it

  • Perchè nel mondo si usa la bottiglia da 75 cl?

    Perchè nel mondo si usa la bottiglia da 75 cl?

    Perchè nel mondo si usa la bottiglia da 75 cl?

     è un articolo di Vinoway – vinoway.com

    Sono molti i quesiti che ci poniamo sulle dimensioni delle bottiglie di vino, ma quella più frequente è: Perchè nel mondo si usa la bottiglia da 75 cl?

    Tutto ebbe inizio nel 1975 quando la Direttiva Europea sugli imballaggi (Dir. 75/106) decretò che il vino poteva essere messo in commercio solo in recipienti da 25/37,5/50/75cl, rendendo quest’ultimo il formato più comodo sia per l’azienda produttrice che per il consumatore finale.

    Esistono anche altre teorie sull’utilizzo di questa dimensione.

    Si pensa che nel 1700, da quando si cominciò a conservare il vino in bottiglie, la capacità polmonare di un soffiatore di vetro riusciva a realizzare recipienti da 60 a 75cl in un solo colpo.

    Altri pensano sia legato all’unità di misura in quanto 757 ml sarebbe 1/5 di gallone, unità di misura molto usata nei paesi anglosassoni, nei quali ha costituito per tanto tempo la dimensione per vini e liquori.

    Infine perchè 75 cl corrispondono a 6 bicchieri di vino da 125 ml, sebbene oggi siano molto utilizzati calici da degustazione di dimensioni ben maggiori.

    Sul mercato, ad oggi, troviamo bottiglie che pur avendo la stessa dimensione (75cl) hanno diverse caratteristiche come ad esempio la forma, la consistenza del vetro, il colore per proteggere il vino dalla luce e la diversità di formato per preservare caratteristiche e tipicità.

    Le bottiglie da 75 cl, inoltre, sono le più diffuse in quanto le strutture per tenerle sono più facilmente costruibili, sono facili da trattare e si adattano meglio al trasporto.

    La Direttiva europea sugli imballaggi, oggi, ammette anche le seguenti capacità:

    Mezza: di capacità pari a 0,375L.

    Litro: di capacità pari a 1L.

    Magnum: di capacità pari a 1,5L equivalente a 2 bottiglie 75 cl.

    Jéroboam: di capacità pari a 3L equivalente a 4 bottiglie 75 cl.

    Réhoboam: di capacità pari a 4,5L equivalente a 6 bottiglie 75 cl.

    Mathusalem: di capacità pari a 6L equivalente a 8 bottiglie 75 cl.

    Salmanazar: di capacità pari a 9L equivalente a 12 bottiglie 75 cl.

    Balthazar: di capacità pari a 12L che equivalgono a 16 bottiglie 75 cl.

    Nabuchodonosor: di capacità pari a 15L equivalente a 20 bottiglie 75 cl.

    Melchior: di capacità pari a 18L equivalente a 24 bottiglie 75 cl.

    Primat: di capacità pari a 27L equivalente a 36 bottiglie 75 cl.

    Melchizedec: di capacità pari a 30L equivalente a 40 bottiglie 75 cl.

  • Il Mirto: la pianta dell’amore eterno

    Il Mirto: la pianta dell’amore eterno

    Il Mirto: la pianta dell’amore eterno.

    articolo letto su lastregadelsud.wordpress.com scritto da Valentina Lisci Spina

    Mai come quest’anno ho assistito ad accese dispute sui tempi di raccolta di frutti, erbe, fiori, bacche e funghi. Appena passato il periodo delle olive, tra un “sono troppo verdi” e un “sono troppo nere” per essere raccolte, è stata la volta del mirto.

    E anche io, modestamente, ho subito la mia dose di rimproveri per averlo raccolto, udite udite, prima del sei dicembre. La festa di San Nicola, secondo i vecchietti locali, apre le danze alla raccolta del mirto. Non so perché (ma se qualcuno lo sa, sarò lieta di scoprirlo).

    Con i cambiamenti climatici a cui assistiamo, la raccolta dei frutti della natura non è più regolata da date più o meno stabili. Le bacche erano così viola e succose che le ho raccolte, senza tante cerimonie, se non quella di ringraziare le vecchie enormi piante che me le hanno offerte. L’unica indicazione che seguo per la raccolta delle bacche (non solo di mirto) è quella del buonsenso: non troppo crude, non troppo mature.

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    Questo arbusto cresce rigoglioso nella macchia mediterranea, fiorisce in tarda primavera e spesso rifiorisce in estate. I fiori dal profumo inebriante venivano usati nella preparazione dell’ “acqua degli angeli”. Le bacche compaiono alla fine dell’autunno, possono essere raccolte da fine novembre a fine gennaio, e vengono lavorate subito, addirittura in giornata, per non perdere profumi e proprietà.

    Il mirto, “sa murta”, è conosciuto per l’ottimo liquore che se ne ricava, un digestivo immancabile in Sardegna.

    In cucina diventa un’incredibile spezia, in aggiunta a tantissimi piatti.

    L’ultima tendenza è aggiungerlo al gelato (a me piace!).

    Se volete ricavarne una composta, mi raccomando, non fate come me, abbiate cura di non schiacciare eccessivamente le bacche altrimenti il risultato sarà così astringente da risucchiarvi la bocca! L’azione dei tannini, responsabili appunto del sapore astringente, si attenua con il passare del tempo: per avere un sapore più morbido meglio aspettare qualche mese prima di consumare sia la composta che il liquore.

    In fitocosmesi, l’olio essenziale viene impiegato nelle creme, saponi, shampoo e bagnoschiuma, perché grazie alle sue proprietà antinfiammatorie, balsamiche e astringenti, purifica e tonifica la pelle.

    In alcune zone di Italia si usa mettere alcuni rametti di mirto nel bouquet della sposa, perché è considerato simbolo di amore eterno. Già Plinio lo definiva “myrtus coniugalis”, e non è un caso che la pianta del mirto sia consacrata a Venere, Dea dell’amore.

    mirto-valentina-lisci-mhyrtle-1

    Insomma il mirto tiene uniti e fa innamorare…soprattutto chi lo scopre per la prima volta!

    Buona raccolta e prudente degustazione!

    Valentina

    foto by lorenzovinci.ilgiornale.it e idrotermevillasor.it

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