Categoria: ALIMENTATION

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  • 2018 anno del cibo italiano

    2018 anno del cibo italiano

    2018 anno del cibo italiano.

     è una news di Mipaaf – politicheagricole.it e Mibact – beniculturali.it

    Il 2018 Anno del Cibo Italiano valorizzerà e promuoverà l’intreccio tra cibo arte e paesaggio, che rappresentano i migliori attrattori culturali del nostro Paese.

    Un calice di vino nella mano di Bacco, piatti abbondanti di cacciagione, pesci e crostacei per un banchetto luculliano, ceste ricolme di grappoli d’uva, pani, mele e melograni, cascate di ciliegie di tutti i pantoni di rosso. È l’arte a riconoscere per prima la valenza culturale del cibo, il suo valore simbolico, sociale ed estetico, oltre che vitale, dall’epoca greco-romana fino all’avvento del barocco e al contemporaneo. Così il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, insieme al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, inaugura il 2018 Anno del Cibo Italiano con una campagna social tutta incentrata su alimenti e piatti d’autore, quelli realizzati con tempera e chiaro scuro, in marmo o su ceramica, belli da concepirne profumo e gusto.

    L’account Instagram @museitaliani posta e condivide circa 50 locandine digitali, tra le quali figurano la stele di Karo al Museo Egizio di Torino, la Cena con sponsali di Gherardo delle Notti, la Natura morta con peperoni e uva di Giorgio De Chirico, così come le sculture di Darren Bader al Museo Madre di Napoli e i manifesti pubblicitari conservati al Museo Salce di Treviso. Non potevano poi mancare l’Ultima Cena di Leonardo, gli affreschi di Pompei, le nature morte della Villa Medicea di Poggio a Caiano e i dipinti della Scuola Napoletana.

    Le regole della campagna social non cambiano: continua l’invito a visitare gli oltre 420 musei, parchi archeologici e luoghi della cultura italiani, a cercare, fotografare e condividere il tema del mese con l’hashtag #annodelciboitaliano.

    Annunciato dai Ministri Franceschini e Martina lo scorso giugno, il 2018 Anno del Cibo Italiano valorizzerà e promuoverà l’intreccio tra cibo arte e paesaggio, che rappresentano i migliori attrattori culturali del nostro Paese. La condivisione delle foto diventerà un reportage collettivo che, attraverso il cibo, racconterà anche la storia della nostra società, l’evoluzione del gusto, evidenziando quanto il patrimonio enogastronomico faccia parte dell’identità italiana.

    Tutte le locandine dedicate all’#annodelciboitaliano sono disponibili su: www.beniculturali.it/annodelciboitaliano

    fonte: mibact ministero dei beni e delle attivitá culturali e del turismo-min

    logo #annodelciboitaliano: anno del cibo italiano the year of italian food-min

    Lo stretto legame tra cibo, arte e paesaggio sarà inoltre il cuore della strategia di promozione turistica che verrà portata avanti durante tutto il 2018. Saranno attivate iniziative per far conoscere e promuovere, anche in termini turistici, i paesaggi rurali storici, per il coinvolgimento e la promozione delle filiere e ci sarà un focus specifico per la lotta agli sprechi alimentari.

    I Ministeri delle politiche agricole alimentari e forestali e dei beni culturali e del turismo comunicano che i ministri Dario Franceschini e Maurizio Martina hanno proclamato il 2018 Anno nazionale del cibo italiano. Da gennaio prenderanno il via manifestazioni, iniziative, eventi legati alla cultura e alla tradizione enogastronomica dell’Italia.

    Tutte le iniziative dell’Anno del cibo italiano saranno connotate dal logo ufficiale.

    Si punterà sulla valorizzazione dei riconoscimenti Unesco legati al cibo come la Dieta Mediterranea, la vite ad alberello di Pantelleria, i paesaggi della Langhe Roero e Monferrato, Parma città creativa della gastronomia e all’Arte del pizzaiuolo napoletano iscritta di recente. Sarà l’occasione per il sostegno alla candidatura già avviata per il Prosecco e la nuova legata all’Amatriciana.

    Allo stesso tempo saranno attivate iniziative per far conoscere e promuovere, anche in termini turistici, i paesaggi rurali storici, per il coinvolgimento e la promozione delle filiere e ci sarà un focus specifico per la lotta agli sprechi alimentari. Lo stretto legame tra cibo, arte e paesaggio sarà inoltre il cuore della strategia di promozione turistica che verrà portata avanti durante tutto il 2018 attraverso l’Enit e la rete delle ambasciate italiane nel mondo e permetterà di evidenziare come il patrimonio enogastronomico faccia parte del patrimonio culturale e dell’identità italiana.

    “Abbiamo un patrimonio unico al mondo – ha dichiarato il Ministro Maurizio Martina – che grazie all’anno del cibo potremo valorizzare ancora di più. Dopo la grande esperienza di Expo Milano, l’esperienza agroalimentare nazionale torna ad essere protagonista in maniera diffusa in tutti i territori. Non si tratta di sottolineare solo i successi economici di questo settore che nel 2017 tocca il record di export a 40 miliardi di euro, ma di ribadire il legame profondo tra cibo, paesaggio, identità, cultura. Lo faremo dando avvio al nuovo progetto dei distretti del cibo. Lo faremo coinvolgendo i protagonisti a partire da agricoltori, allevatori, pescatori, cuochi. E credo che in quest’ottica sia giusto dedicare l’anno del cibo ad una figura come Gualtiero Marchesi, che ha incarnato davvero questi valori facendoli conoscere a livello internazionale”.

    “Dopo il successo del 2016 Anno nazionale dei cammini e del 2017 Anno nazionale dei borghi, il 2018 sarà l’Anno del cibo italiano. Un’occasione importante per valorizzare e mettere a sistema le tante e straordinarie eccellenze e fare un grande investimento per l’immagine del nostro Paese nel mondo. Grazie alla collaborazione dei Ministeri della Cultura e dell’Agricoltura, l’Italia potrà promuoversi anche all’estero in maniera integrata e intelligente valorizzando l’intreccio tra cibo, arte e paesaggio che è sicuramente uno degli elementi distintivi dell’identità italiana”. Così il ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini annunciando l’avvio dal primo gennaio 2018 di una campagna di comunicazione social dei musei statali che pone l’attenzione sul rapporto, nei secoli, tra arti e enogastronomia, sottolineandone il ruolo fondamentale nella costruzione del patrimonio culturale italiano.

    Tutte le locandine dedicate all’#annodelciboitaliano sono disponibili su: www.beniculturali.it/annodelciboitaliano

    fonte: mipaaf ministero delle politiche agricole alimentari e forestali-min

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  • Ma voi dove lo comprate l’olio?

    Ma voi dove lo comprate l’olio?

    Ma voi dove lo comprate l’olio?

      è una news di Gastroliartgastroliart.blogspot.it

    Noi tutti, ma proprio tutti, siamo convinti che l’olio che compriamo è un ottimo olio. Non importa se lo si compra in frantoio, al supermercato, in oleoteca o su siti internet specializzati, tutti siamo convinti che il mio è più buono del tuo.

    Partendo da questa “verità” molto italiana, abbiamo creato un piccolo sondaggio su Twitter e poi rilanciato su Fb che dava quattro possibili risposte.

    MA VOI DOVE LO COMPRATE L'OLIO WHERE DO YOU USE TO BUY OIL copertina shop-min

    Questa fotografia rispecchia, più o meno, la situazione italiana, dove la maggior parte delle persone comprano in frantoio (intendendo con frantoio in via generale acquisto diretto da produttori) e poi a seguire supermercato, oleoteca e online.

    Da quanto emerge dalla ricerca “L’oro verde italiano” di AICIG, ISMEA e ZOWART, segnalata con riferimento al sondaggio da Susanna Benedetti (Sommelier dell’olio), a parte il dato ben noto della crescita costante del consumo di olio d’oliva a livello mondiale una cosa interessante è la diffusione, seppur lenta, dell’olio di oliva anche fuori dai confini dei Paesi tradizionalmente consumatori si deve a tanti fattori, tra cui la sempre maggior “contaminazione” delle tradizioni culinarie che vedono tra le più rinomate quella mediterranea, ed italiana in particolare. Il problema è che questo aumento dei consumi non corrisponde con la consapevolezza e la conoscenza che si ha del prodotto.

    Tale carenza di conoscenza sembrerebbe riflettersi nelle modalità di acquisto emerse dalle risposte ricevute alla domanda “ma voi dove lo comprate l’olio”. Se l’acquisto diretto dal produttore (frantoi) è la risposta prevalente, va evidenziato che dai commenti sembrerebbe emergere che tale scelta non è guidata tanto dalla consapevolezza della qualità dell’olio acquistato e delle competenze del produttore ma dalla speranza che si tratti di un olio genuino. L’olio acquistato dal frantoio, generalmente olio proveniente da olive locali, ha un costo più elevato rispetto a quello sugli scaffali dei supermercati e della Gdo, metodo di acquisto che nei sondaggi segue il frantoio. Quest’ultimo, peraltro, è nella maggior parte dei casi un blend di oli comunitari e non, venduto a prezzi bassissimi e che, come dimostrato negli ultimi anni da numerose inchieste, spesso non ha neanche le caratteristiche organolettiche per essere definito extravergine. Marginali risultano invece gli acquisti in oleoteca e online, luoghi meno tradizionali di acquisto che ancora non hanno preso piede fra le abitudini dei consumatori ma che potrebbero avere il vantaggio di un acquisto guidato, cioè supportato da selezionatori con competenza relativa al prodotto che vendono, e superare i confini territoriali aprendo ad una più vasta gamma di oli tra cui scegliere ovviamente a fronte di un prezzo maggiore di quello della GDO.

    olio extra vergine di oliva scaffale-min

    Ecco, come si fa a convincere le persone che un olio comprato in oleoteca/online o in frantoio al di sopra di 12 euro (prezzo medio a litro di quest’anno) non sia pura follia ma solo l’avvicinamento ad un prodotto di alta qualità che oltre ad avere una ricchezza spropositata di profumi e di sapori, ha anche tante proprietà salutistiche che non bisogna sottovalutare?

    Auspici

    Il sondaggio online è stata l’occasione per un’interessante discussione tra vari attori del settore (imprenditori, produttori, assaggiatori e sommelier). Tralasciando la preferenza dei singoli tra la scelta migliore per l’acquisto, chi online, chi in frantoio e chi in oleoteca (è un caso che nessuno abbia citato il supermercato?) tutti concordano sul fatto che c’è bisogno di diffondere cultura dell’olio e che quindi il tutto si riduce semplificando ad un problema culturale e alla diffidenza crescente che si ha nell’acquisto di prodotti che non si conoscono e per questo ci si affida a qualcun’altro (l’amico produttore/frantoiano nel nostro caso).

    Soluzioni per inversione di tendenza?

    Non esiste la soluzione ma il continuo impegno di figure professionali che si confrontano costantemente e che sostengono e accompagnano i produttori sulla via della qualità del prodotto e sulla migrazione nel mondo on-line:

    olio extra vergine di oliva ristorante-min

    La cultura a macchia d’olio: bisogna partire dalla ristorazione e riflettere sul fatto che il turismo enogastronomico, particolarmente apprezzato e ricercato dai turisti, rappresenta un nuovo modo di viaggiare che sta conquistando un numero sempre crescente di “oleo appassionati”, alla ricerca di nuovi sapori e tradizioni autentiche. In questo frangente, la valorizzazione e la promozione della ristorazione di qualità assume un ruolo nuovo, diventando il vettore della cultura e dei valori saldamente legati al proprio territorio e alle proprie radici. La ristorazione, quindi, rappresenta sempre più un veicolo di promozione immediato, perché depositaria del patrimonio di saperi e sapori legati alla cucina tradizionale della nostra terra. In questo contesto, l’olio extravergine di qualità rappresenta un’importante eccellenza. Siamo sicuri che il consumatore è disposto a pagare 2 centesimi per un buon olio da olive, come siamo sicuri che l’habitué della ristorazione di alta qualità desideri condire una buona insalata con un buon olio extravergine da olive che incide sul piatto per pochi centesimi. C’è quindi una crescita culturale ed educativa in atto, una nutrita attenzione, la voglia di diventare consapevoli, di capire e conoscere. C’è spazio per l’olio da olive di qualità nella ristorazione. Il processo è purtroppo lento, ma qualcosa sta cambiando. Bisognerebbe creare un circuito di ristoranti e gastronomie di qualità, legati all’olio extravergine da olive per far diventare, la ristorazione, un vero e proprio luogo del gusto, attraverso cui veicolare informazioni ai clienti e illustrare le qualità organolettiche aromatiche e gustative delle varie tipologie di olio. Qui, bisognerebbe aggiungere figure professionali ed esperti come “l’oleologo” o il “sommelier dell’olio”, chiamati a svolgere un vero e proprio lavoro di cultura di prodotto e corretta informazione. Siamo in tanti, ma non siamo abbastanza. Dobbiamo confrontarci continuamente senza parlarci addosso e allargare la platea sapendo che chi dobbiamo convincere non sono le persone che conoscono il prodotto ma chi dell’olio ha convinzioni centenarie errate.

    olio extra vergine di oliva ristorante-min

    Diffusione delle oleoteche: la cosa più semplice da dire (e non da fare) è incentivare l’apertura delle oleoteche o aiutare quelle già esistenti e farle diventare luoghi di aggregazione proprio come avvenuto negli ultimi anni nelle enoteche. A Roma siamo fortunati ad avere tre oleoteche ben fornite in diverse parti della città, ma sono abbastanza? Nel resto d’Italia quante oleoteche ci sono? Ancora molto poche. L’Umbria e la Toscana hanno già i loro luoghi dedicati all’olio, stanno crescendo. Dobbiamo riconoscere e premiare la determinazione di chi, in un mercato ancora poco consapevole, affronta con coraggio la sfida di un’attività tutta dedicata all’extravergine e offre ai propri clienti non solo prodotti eccellenti e selezionati ma anche tutta la propria competenza per diffondere la conoscenza e la cultura dell’extravergine.

    olio extra vergine di oliva ristorante-min

    Sostenere i produttori: questo è il punto più importante perché senza di loro, i custodi delle nostre terre, possiamo diffondere cultura ma non avremo pienamente un vero sviluppo di questa eccellenza. Dobbiamo far conoscere al grande pubblico dove nasce l’extravergine, quanto lavoro e passione ci vuole per creare un prodotto eccellente, e gli strumenti ci sono: con il racconto/storytelling, attraverso internet, eventi e incontri, raccontiamo il duro e costante impegno degli olivicoltori e renderli “cool” è l’attività più impegnativa e utile che dobbiamo continuare a fare portare sempre più in alto la qualità di questo settore. I produttori lavorano con grande impegno alla qualità e credono che nell’olio buono ci possa essere un futuro, si mettono in gioco sempre, continuamente, e sono partecipi di un grande cambiamento, di una svolta che stenta a compiersi. Fare qualità ha un costo, un valore che parte dal territorio e passa attraverso la storia ed il sapere dei popoli, delle famiglie, per poi fermarsi dentro una bottiglia di rara qualità. Il racconto del produttore attiva l’attenzione, immette in circolo le emozioni, coinvolge, mette in un ordine le idee. Non se ne può fare a meno e non se ne farà a meno. Dobbiamo riconoscere il giusto merito e la giusta redditività a chi lavora per deliziarci e appagare i nostri sensi e anche in questo la rete può aiutare; possiamo lavorare anche per promuovere l’aumento degli acquisti online, per consentire a più consumatori possibili di raggiungere i migliori produttori e comprare i loro prodotti, sostenendo così chi tiene alto il livello dell’olio extravergine italiano.

    olio extra vergine di oliva ristorante-min

    Per promuovere veramente l’olio di qualità serve la scelta consapevole del consumatore: un’ultima riflessione va fatta su coloro che hanno il ruolo più determinante nel veicolare la scelta degli acquisti e quindi del consumo dell’extravergine di qualità. Tutto ciò che abbiamo scritto finora si riversa in cose che hanno un valore ancora più grande dell’olio stesso: sono i valori dai quali non si può prescindere e sui quali vi invitiamo a riflettere. Il sacrificio, dovuto talvolta alla bellissima conformazione del territorio e alla gestione degli uliveti – spesso secolari e millenari – e quindi anche il rischio, la tutela del paesaggio ed il mantenimento e la custodia dello stesso. L’Italia si nutre di un grande valore storico-culturale e paesaggistico, invidiato in tutto il mondo per la sua unicità, la sua biodiversità: tutto questo deve essere riconosciuto e soprattutto deve essere sostenuto dai consumatori, anche economicamente, perchè altrimenti il nostro Paese non ha possibilità di competizione con paesi come la Spagna o paesi emergenti come la California. Paradossalmente, questi valori, sono riconosciuti più dai cittadini stranieri che da quelli italiani.

    olio extra vergine di oliva ristorante-min

    Vi sembra normale?

    Per promuovere veramente l’olio di qualità serve la scelta consapevole del consumatore

    Se riusciamo a fare in modo che questa scelta sia orientata verso il vero extravergine di qualità tutto il settore potrà avere un brillante futuro davanti.

    L’olio extravergine sarà l’alimento del secolo!

    Facciamolo conoscere bene al mondo, tutti insieme…

     

     + info su Gastroliart

     + notizie ed info “firmate” Gastroliart

  • Perchè dobbiamo aspettare il Black-Friday?

    Perchè dobbiamo aspettare il Black-Friday?

    Perchè dobbiamo aspettare il Black-Friday?

    Di seguito riportiamo i nostri semplici consigli per acquistare on line vino, cibo ed altro su Dispensa dei Tipici, a prezzi sempre vantaggiosi.

    Ottenere sconti non deve essere una prerogativa del solo Black Friday, si può anche scegliere di pagare le merci ad un giusto prezzo durante tutto l’anno.

    Ci sono tanti modi intelligenti per acquistare a prezzi scontatissimi online o di persona, basta fare una ricerca sui motori di ricerca e se ne trovano a bizzeffe!

    Di seguito riportiamo i nostri semplici consigli per acquistare on line vino, cibo ed altro su Dispensa dei Tipici, a prezzi sempre vantaggiosi.

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    E’ gratis, non devi pagare nulla e non sei obbligato ad acquistare quantitativi minimi. Puoi consultare i prodotti con tutta la calma e la tranquillità di cui hai bisogno.

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    3 – Contatta la nostra assistenza clienti

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  • Vino novello, macerazione carbonica e beaujolais nouveau

    Vino novello, macerazione carbonica e beaujolais nouveau

    Vino novello, macerazione carbonica e beaujolais nouveau.

      è una news di La Fillosseralafillossera.com

    La tradizione del vino novello si è diffusa anche in Italia, ma sono molte le differenze con il cugino francese beaujolais nouveau.

    Il Beaujolais nouveau o primeur è il vino novello prodotto nella regione francese del Beaujolais che è un’area AOC, ovvero appellation d’origine contrôlée, analoga all’italiana DOC, nei pressi di Lione.

    Wine, carbonic maceration and beaujolais nouveau - vino novello macerazione carbonica - 1-min

    Il vitigno dal quale si ottiene il novello è il Gamay. La tecnica utilizzata per la produzione del novello è la macerazione carbonica.

    In cosa consiste questa tecnica? La macerazione carbonica consiste nel porre i grappoli di uva interi in contenitori di acciaio previamente saturati con anidride carbonica. In assenza di ossigeno gli acini modificano il loro metabolismo iniziando una fermentazione intracellulare (i lieviti presenti sulle bucce, infatti, sono organismi aerobici e per “nutrirsi” di ossigeno penetrano all’interno degli acini). Le bucce cedono alla polpa i propri pigmenti colorati, aumenta la glicerina insieme alla demolizione dell’acido malico e si formano dei composti volatili.

    La macerazione può variare da 5 a 20 giorni circa a una temperatura intorno ai 25°/30°. Successivamente l’uva viene pigiata e il mosto avviato alla normale fermentazione alcolica.

    Wine, carbonic maceration and beaujolais nouveau - vino novello macerazione carbonica - 1-min

    Quali sono le caratteristiche del vino ottenuto con la macerazione carbonica?

    Con questa tecnica si ottiene un vino morbido, con uno scarso contenuto di tannini, nel quale predominano i sentori legati agli aromi primari e un titolo alcolometrico che non supera l’11%.

    Dal punto di vista organolettico il vino novello ha un colore rosso brillante con riflessi violacei, un bouquet aromatico caratterizzato da un fruttato fresco e vivace, di facile beva e poco persistente. Può essere servito fresco e in parte trattato come fosse un vino bianco. Per le sue caratteristiche va consumato in breve tempo, al massimo entro sei mesi dalla messa in bottiglia.

    Il vino novello, in Francia, può essere commercializzato a partire dal 6 novembre e imbottigliato entro il 31 dicembre dell’ anno della vendemmia.

    E in Italia? La tradizione del vino novello si è diffusa anche in Italia, ma sono molte le differenze con il cugino francese. In Italia, infatti, può essere utilizzato qualsiasi vitigno e la macerazione carbonica può riguardare anche soltanto il 40% delle uve. Inoltre dal 2012 il novello può essere immesso sul mercato già dalle 00.01 del 30 ottobre. Il titolo alcolometrico totale minimo al consumo non può essere inferiore a 11% vol. e il limite massimo di zuccheri riduttori residui non deve essere superiore a 10 g/l.

    In linea generale il vino novello italiano è una trovata marketing più che un prodotto della nostra tradizione e non va confuso con il vino nuovo perché, come spiegato, prevede una tecnica di produzione differente.

    Wine, carbonic maceration and beaujolais nouveau - vino novello macerazione carbonica - 1-min

    Lo si accompagna con le castagne per un abbinamento stagionale, ma può accompagnare anche salumi e formaggi non troppo stagionati e aromatici.

     + info su La Fillossera

     + notizie ed info “firmate” La Fillossera

  • Il mosto

    Il mosto

    Il mosto.

      è un articolo di La Fillosseralafillossera.com

    Il mosto è il succo che si ottiene dalla pigiatura o pressatura delle uve.

    Sono centinaia le sostanze che si possono trovare all’interno del mosto, di seguito le principali:

    Acqua 70-80%
    Zuccheri 17-23%
    Acidi organici 0.7-1.1%
    Acido tartarico 0.3-0.7%
    Acido malico 0.2-0.6%
    Acido citrico e altri 0.01-0.03%
    Sostanze minerali 0.1-0.2%
    Sostanze azotate 0.05-0.1%
    Sostanze pectiche,polifenoli, antociani,aromi e precursori 0.02-0.03%

    L’acqua rappresenta la base del mosto dove si trovano disperse tutte le altre sostanze. Lo zucchero è l’elemento che determinerà la quantità di alcol etilico nel vino. Naturalmente tanto maggiore sarò il grado zuccherino tanto maggiore sarà la quantità di alcol etilico. Conoscendo la percentuale di zuccheri presenti nel mosto si può calcolare il titolo alcolometrico del vino utilizzando la seguente formula:

    % in peso degli zuccheri nel mosto * 0,6 (fattore di conversione) = % in volume di alcol etilico nel vino

    L’acidità del mosto è riferita principalmente all’acidità fissa che nel vino conferisce quella sensazione piacevole di freschezza. Dall’elenco precedente è possibile osservare la presenza di acidi cosiddetti volatili (acetico) che insieme a quelli fissi costituiscono l’acidità totale.

    I polifenoli, nelle diverse forme, insieme alle tecniche di vinificazione, sono fondamentali per definire la personalità del vino in termini di colore, struttura, tannicità e longevità.

    Le sostanze odorose che si trovano soprattutto nella buccia, quali terpeni, precursori di aromi e composti solforati, imprimono le caratteristiche aromatiche del vino. Durante la fermentazione questi elementi riescono a slegarsi dalle molecole di zucchero riuscendo a liberare il loro corredo aromatico. I principali sono riconducibili ad un gruppo di alcoli, i terpeni, che sono in parte liberi e in parte glicosilati. Questa trasformazione avviene per opera degli enzimi dei lieviti che scindono l’aroma glicosilato in zucchero e aroma volatile che quindi diventa percepibile dall’olfatto.

    Le sostanze pectiche, presenti nel mosto in piccole quantità, nelle diverse forme quali pectine, gomme, mucillaggini e pentosani hanno la peculiarità di dare al vino la morbidezza. Un esempio molto utile per comprendere gli effetti di queste sostanze sul prodotto finale sono i vini ottenuti da uve attaccate dalla muffa nobile che presentano una maggiore concentrazione di sostanze pectiche che rendono i vini particolarmente morbidi.

    I minerali e soprattutto le vitamine sono “il carburante” dei lieviti e permettono a quest’ultimi di svilupparsi e svolgere al meglio i processi fermentativi. La vitamina più importante e la B1 che ha una funzione acceleratrice per la fermentazione alcolica e evita la formazione di sostanze in grado di legarsi all’anidride solforosa. Le sostanze azotate in forma inorganica (es. i sali d’ammonio) favoriscono il lavoro dei lieviti mentre quelle in forma organica possono determinare torbidità nel vino. Gli enzimi presenti nel mosto aumentano la velocità delle reazioni chimiche.

    Oltre a sostanze che favoriscono la fermentazione nel mosto si trovano molte sostanze “indigene” che possono determinare una scorretta fermentazione e quindi prodotti di qualità variabile. Alcune di queste sono la polifenolossidasi e laccasi, che si trovano principalmente nelle uve attaccate da parassiti fungini e che causano l’ossidazione di alcune sostanze con possibili imbrunimenti del mosto e perdita di freschezza aromatica. Anche le proteasi hanno degli effetti negativi perché causano la rottura delle proteine, liberando amminoacidi e peptidi che vengono facilmente assimilati dagli lieviti.

    Correzioni del mosto

    Le correzioni vengono eseguite principalmente per modificare la composizione del mosto che non sempre risulta ottimale. Hanno il principale obiettivo di far variare, a seconda delle esigenze, la concentrazione zuccherina e l’acidità.

    Aumento del grado zuccherino

    Per aumentare la quantità di zucchero nel mosto si posso utilizzare diversi metodi:

    Taglio con mosti più ricchi di zucchero: metodo quasi in disuso.

    Aggiunta di mosto concentrato rettificato: il mosto concentrato viene ottenuto facendo evaporare una certa quantità di acqua, sottovuoto, per evitare la caramellizzazione degli zuccheri e l’alterazione delle caratteristiche organolettiche. Nelle produzioni di qualità si utilizza esclusivamente mosto concentrato rettificato (MCR) che subisce, rispetto a quanto detto precedentemente, una successiva rettificazione ottenendo una soluzione di acqua e zucchero d’ uva con dei profili sensoriali che rimangono inalterati.

    Aggiunta di zucchero: l’aggiunta di zucchero non è consentito in Italia, a parte sui vini liquorosi, mentre in alcune zone dell’ Europa del nord può essere utilizzato.

    Aggiunta di mosto muto o di filtrato dolce: ottenuti rispettivamente attraverso l’aggiunta di un’elevata quantità di anidride solforosa per bloccare la fermentazione e attraverso la centrifugazione e filtrazione di un mosto parzialmente fermentato con un contenuto zuccherino del 18-20%.

    Aumento dell’acidità

    L’aumento dell’acidità del mosto viene fatta attraverso l’addizione di acido tartarico. Il livello di acidità è molto importante perché, durante la fermentazione, gli acidi vengono trasformati e questo può causare una diminuzione della vivacità del colore e della percezione di freschezza gustativa. Inoltre l’ acidità protegge il mosto da malattie batteriche e fungine.

    Diminuzione dell’acidità

    Questa attività è molto rara e viene eseguita addizionando sali come il carbonato di calcio, tartrato neutro e il bicarbonato di potassio. Questa pratica è auspicabile per mosti ottenuti da uve prodotte in annate fredde e quindi che non hanno raggiunto un perfetto stato di maturazione.

    Osmosi e osmosi inversa

    Questi metodi, molto costosi, vengono applicati per apportare delle diminuzioni o degli aumenti delle sostanze (zuccheri e acidi) senza alterare le caratteristiche sensoriali del mosto. Il principio su cui si basano è l’utilizzo di una membrana semitrasparente che ha la proprietà di far passare, nel caso dell’osmosi, una parte di liquido meno concentrato verso il liquido più concentrato e nel caso dell’osmosi inversa una parte di liquido con concentrazione maggiore verso il liquido con una concentrazione minore. Nel primo caso si ottengono mosti meno concentrati e nel secondo caso mosti più concentrati.

    Concentratori con evaporatore a freddo sottovuoto spinto

    Questo metodo è andato diffondendosi negli ultimi anni grazie alla qualità del prodotto finale con un notevole aumento delle sostanze estrattive. Inoltre l’apparecchiatura utilizzata ha un ingombro minimo ed è molto facile da utilizzare. La modalità di lavorazione consiste nel privare il mosto della parte solida e inviarlo in un piccolo serbatoio, all’interno del quale si crea una depressione spinta che fa evaporare l’acqua pura ad una temperatura tra i 22 e 24 °C.

    Trattamenti del mosto

    Il mosto prima di passare alle fasi di vinificazione viene sottoposto a diversi trattamenti che hanno lo scopo di favorire la fermentazione, di esaltare le sue caratteristiche e di evitare effetti sgradevoli dovuti a batteri o muffe. Di seguito analizzeremo i diversi trattamenti:

    Illimpidimento

    viene fatta attraverso sostanze chiarificanti come la gelatina o bentonite, la caseina o il gel di silice e successivamente con centrifugazioni o delicate filtrazioni. Queste attività permettono la chiarificazione del mosto, favorita anche dal raffreddamento che permette alle parti solide di precipitare sul fondo dei serbatoi. La refrigerazione viene ottenuta con dei serbatoi coibentati, a doppia parete, all’interno delle quali circola una soluzione refrigerante.

    Decantazione

    un trattamento che viene eseguito per illimpidire il mosto senza l’ausilio di chiarificanti. Il trattamento viene fatto facendo raffreddare il mosto a temperature da 6 a 10 °C per diminuire la solubilità delle particelle solide e favorire quindi la precipitazione. Questo trattamento può essere fatto utilizzando enzimi pectolitici che permettono una precipitazione più mirata sempre senza l’ausilio di sostanze chiarificanti che possono alterare le caratteristiche sensoriali del mosto.

    Aggiunta di anidride solforosa

    è il trattamento maggiormente utilizzato e consiste nell’addizionare il mosto di metabisolfito di potassio. La quantità di anidride solforosa che viene impiegata dipende dalla carica batterica e dagli effetti che si vogliono ottenere; essa, grazie alle proprietà antiossidanti, limita i danni causati dall’ossigeno e dagli enzimi ossidativi riducendo i fenomeni di imbrunimento; favorisce la chiarificazione; inibisce lo sviluppo dei batteri e dei lieviti selvaggi favorendo quelli ellittici e selezionati e favorisce la solubilizzazione delle sostanze polifenoliche presenti nella buccia.

    il mosto the must copertina (2)-min

    Tipi di mosto

    Il mosto può essere sottoposto ad ulteriori trattamenti che danno luogo a vari prodotti utilizzati nel settore vinicolo.

    Mosto di uve parzialmente fermentato

    Si ottiene per parziale fermentazione di mosto di uva e avente TAV effettiva superiore a 1% in volume e inferiore ai tre quinti del suo TAV totale (quello che raggiunto a totale trasformazione degli zuccheri in alcol).

    Mosto di uve concentrato

    Il mosto di uve concentrato si ottiene per disidratazione parziale con mezzi fisici escluso il fuoco diretto (che produrrebbe la caramellizzazione degli zuccheri) in modo che il valore indicato dal rifrattometro, alla temperatura di 20 °C, non sia inferiore al 50.9%. I mezzi più usati per ridurre la percentuale di acqua e ottenere la concentrazione sono l’evaporazione sotto vuoto, la refrigerazione con la successiva asportazione dell’acqua sotto forma di ghiaccio. Il mosto di uve impiegato deve avere un TAV naturale minimo fissato per la zona viticola di raccolta e appartenere a specifiche cultivar. Il suo TAV effettivo deve essere pari o superiore a 1% vol.

    Mosto di uve concentrato rettificato (ZUI)

    Il mosto di uve concentrato rettificato (ZUI) è il prodotto liquido non caramellizzato ottenuto mediante disidratazione parziale del mosto di uve. Effettuata con qualsiasi metodo autorizzato, escluso il fuoco diretto, in modo che il valore indicato dal rifrattometro, alla temperatura di 20 °C, utilizzato secondo un metodo da stabilirsi, non sia inferiore a 61,7 %. Il mosto concentrato rettificato è da considerarsi un prodotto privato di tutte quelle sostanze naturali, diverse dallo zucchero e dall’acqua, che potrebbero apportare modifiche organolettiche al mosto a cui viene addizionato. Il suo impiego permette di non sottoporre sia mosto sia il vino ad ulteriori procedure di correzione garantendo vini di una certa qualità.

    Mosto muto

    Il mosto muto è un mosto a cui è stata aggiunta anidride solforosa allo scopo di bloccarne la fermentazione. Viene detto “muto” proprio per l’assenza del gorgoglio tipico del processo fermentativo.

    Mosto cotto

    Mosto parzialmente caramellato ottenuto mediante eliminazione di acqua dal mosto o dal mosto muto utilizzando il riscaldamento diretto alla normale pressione atmosferica. La concentrazione zuccherina risultante è soggetta a misura con densimetro Babo o Baumé, ovvero tarato su di una ben precisa temperatura di lettura. Se la temperatura di lettura si discosta da quella di taratura occorre inserire un coefficiente di correzione.
    Filtrato dolce. Mosto parzialmente fermentato, la cui ulteriore fermentazione è stata ostacolata mediante filtrazione o centrifugazione, e con l’ausilio eventuale di altri trattamenti e pratiche consentiti.

    Mistella o sifone

    Prodotto ottenuto dal mosto di gradazione alcolica complessiva naturale non inferiore a 12°, reso non fermentabile mediante aggiunta di acquavite di vino o alcol in quantità tale da portare la gradazione alcolica svolta (quantità percentuale in volume di alcol effettivamente presente) tra 16% e 20% vol.

     + notizie da La Fillossera

  • Il formaggio, la dieta del futuro

    Il formaggio, la dieta del futuro

    Il formaggio, la dieta del futuro.

     è un articolo di Formaggio.itformaggio.it

    Il formaggio non fa male anzi è consigliato dagli scienziati.

    Se ne è parlato molto del formaggio come alimento che, se consumato in eccesso, può far ingrassare. Poi c’è la questione del colesterolo, è innegabile, anche se non sempre è colesterolo cattivo. Ma ciò che ci conforta è lo studio della University College Dublin, il cui risultato è per lo più molto interessante perché afferma che mangiare formaggio ci rende più sani.

    Fantastico, la notizia è pubblicata su Nutrition and Diabetes e nello studio effettuato vengono spiegate le motivazioni che sconfessano il formaggio come alimento dannoso alla salute.

    La ricerca ha impegnato gli scienziati a esaminare l’impatto di cibi di uso quotidiano su un complesso di oltre 1500 persone di età variabile fra 18 e 90 anni.

    I cibi utilizzati sono stati il latte, lo yogurt e naturalmente il formaggio, ma anche altri alimenti preparati a base di latte e anche il burro. Nonostante l’assunzione di grassi saturi in maggiore quantità, nei soggetti che mangiavano formaggi, i livelli di colesterolo rimanevano alla pari di che di formaggio ne mangiava meno o mangiavano solo latte e yogurt.

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    È stato scoperto inoltre che con l’assunzione di molto formaggio vi era una ridotta percentuale di grasso corporeo, un girovita inferiore e pressione del sangue più bassa.

    Insomma mangiare il formaggio potrebbe davvero essere la dieta del futuro?

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    Noi crediamo di si.

     info su Formaggio.it

  • Notizie bufala sul cibo

    Notizie bufala sul cibo

    Notizie bufala sul cibo.

     è un articolo di Coldiretti Giovani Impresa – giovanimpresa.coldiretti.it

     Con le notizie bufala sul cibo, vere e proprie fake news, paura a tavola per 3 italiani su 4.

    Tre italiani su quattro (pari al 66%) sono preoccupati dell’impatto di quello che mangiano sulla salute anche per effetto delle fake news sulle caratteristiche dei cibi che si moltiplicano in rete e spingono a comportamenti insensati e anche pericolosi.

    E’ quanto emerge dall’indagine Coldiretti/ixe’ presentata in occasione della campagna #stopfakeatavola promossa dalla Coldiretti e dall’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare nell’ambito del corso di formazione, organizzato in collaborazione con la Scuola Superiore della Magistratura.

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    Il web si configura sempre più come porto franco delle bufale sul cibo con un preoccupante effetto valanga in una situazione in cui, secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’, il 53% degli italiani lo ha utilizzato almeno qualche volta durante l’anno per raccogliere informazioni sulla qualità dei prodotti alimentari.

    Ben il 25% degli italiani partecipa a community/blog/chat in internet centrate sul cibo, proprie o di altri, che influenzano le scelte di acquisto in modo non sempre corretto e veritiero. “La scorretta informazione nell’alimentare ha un peso più rilevante che negli altri settori perché va a influenzare direttamente la salute. Per questo dobbiamo prestare particolare attenzione ed essere grati a quanti sono impegnati nello smascherare gli inganni”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. “Internet però non va criminalizzato perché può svolgere un ruolo di controllo importante in un sistema in cui – ha precisato Moncalvo – l’informazione alimentare purtroppo rischia di essere influenzata soprattutto dalle grandi multinazionali grazie alla disponibilità di risorse pubblicitarie investite.

    Per noi bufala sul cibo è anche la pubblicità delle aranciate che contengono appena il 12% di succo o quella dell’olio di oliva di grandi marchi che fanno immaginare paesaggi toscani mentre contiene quello importato dalla Tunisia o ancora il prosciutto nostrano che è fatto con maiali tedeschi senza alcuna informazione in etichetta per i consumatori”.

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    foto by bbc.co.uk

  • Abbinamento vino-cibo – parte 2

    Abbinamento vino-cibo – parte 2

    Abbinamento vino-cibo – parte 2

    Articolo tratto da milaewines.it by Mihaela Cojocaru

    Sono in molti a provare a fare il perfetto abbinamento vino-cibo perdendo di vista gli aspetti della semplicità e del piacere di abbinare il vino al cibo.

    leggi anche Abbinamento cibo-vino – parte 1

    Quando mangi e/o bevi, il palato si abitua a certi sapori.

    1- Pensiamo ad un esempio preciso: un dessert. La regola generale è che il vino dovrebbe essere più dolce del dessert.

    Quindi quando assaggiamo il vino tu non riusciremo a distinguere la sua dolcezza. Lo zucchero sembrerà non esserci, il vino sembrerà perdere corpo ed essere più acido, se rosso il vino risulterà più tannico e astringente e forse più “caldo” ovvero alcolico. In poche parole vengono “valorizzate” le durezze.

    Se assaggiamo un budino molto dolce e poi beviamo un vino dolce, vedremo che il vino non risulterà troppo dolce, bensì incredibilmente asciutto. Anche un vino da dessert avrà un gusto meno dolce quando si accompagna ad un dessert.

    Dunque.. per una perfetta combinazione assicuriamoci di bere un vino che sia più dolce del dessert stesso.

    2- Invece, il cibo che presenta un’acidità alta, pensiamo alla salsa di pomodoro o all’aceto nell’insalata, renderà l’acidità del vino meno apparente, ammorbidirà i tannini ed accentuerà il sapore fruttato e dolce nonchè la robustezza.

    L’acidità aiuta nel caso di piatti grassi, infatti la “spalla acida del vino” rinfresca la bocca ripulendola dal grasso.

    Una grande combinazione è bere il Sauvignon Blanc oppure lo Champagne con pesce e patatine; entrambi i vini hanno alta acidità mentre entrambi i cibi sono piuttosto grassi.

    3- Quando mangiamo qualcosa di “salato”, perdiamo la percezione dei tannini, dell’acidità e del calore dell’alcol del vino. Il vino sembrerà più corposo, più dolce e più fruttato.

    Molti amano i tannini, ma la maggior parte delle persone preferisce abbinare cibi che mascherano i tannini del vino piuttosto che aumentarne la percezione.

    Il cibo salato spesso aiuta a percepire il gusto del vino meno tannico e meno astringente. Se state bevendo un vino troppo tannico per i vostri gusti, basteranno delle noccioline salate o qualcosa di simile … il sale avrò un effetto meraviglioso sui tannini.

    da provare | to try

     

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  • Mangia che ti fanno bene.. le fave

    Mangia che ti fanno bene.. le fave

    Mangia che ti fanno bene.. le fave.

    Articolo tratto da biodiversitapuglia.it di Antonella Berlen

    Mangia, che ti fa bene, sollecitava pazientemente la nonna, mentre piccina, davanti a una minestra di zucca e fave con la buccia.

    Facevo vagare con ostinata lentezza il mio cucchiaio per il fondo buio e denso del piatto, nell’impresa di allontanare tutti i pezzi di zucca dallo sgradito contatto con le fave dal nasello inquietante, e dai sospetti pezzi di aglio che lucevano, pallidi, sotto numerosi giri di olio.

    Quella minestra proprio non riuscivo a mandarla giù. E non mi era nemmeno chiaro come potesse farmi tutto quel bene di cui era convinta la nonna, che, sicuro, pensavo mentisse spudoratamente per convincermi a mangiarne.

    Quando ci penso mi rivedo, in un dipinto di contadini al desco, illuminata da una luce fioca, con gli occhi alla carta moschicida che pendeva dalla lampada, a cercare di contare quante mosche, volando volando, avvicinandosi alla luce, ne restassero imprigionate.

    E guardandole, a spingere cautamente il piatto verso il centro del tavolo, nella speranza che qualche fortunata, nel tentativo di staccarsi, perdesse un’ala e vi precipitasse dentro, salvandomi da quella minestra.

    Ma la carta moschicida era micidiale e quell’evento, mortificando le mie aspettative, non si verificava mai.

    E anche se fosse accaduto, ripensandoci, non sono proprio certa che la nonna avrebbe passato, al cane o alle galline, il pasto non gradito.

    La nonna avrebbe ripescato la povera mosca e il piatto sarebbe rimasto a tavola. Anche se in quel caso avrei potuto motivare il rifiuto di mangiarne e chiedere in sostituzione pane e formaggio…

    Ma come facevo a confessare che non riuscivo a riempire quel cucchiaio perché mi facevano paura le fave? E che era a causa di quelle loro labbra sottili e ricurve che mi rendevano vivo e ghignante il legume che mi guardava dal piatto, che non mi decidevo a portarlo alla bocca?

    Con gli occhi fissi sul piatto, mi limitavo a dirle: non mi piacciono!

    E la nonna, a rispondere: ma se non le hai ancora assaggiate.

    Ed io, a chiudere quel risicato scambio di parole: lo so e basta!

    A quel punto, la nonna, con un gran sospiro, si convinceva ad eliminare le fave, che erano quelle che mi facevano meglio di tutto, ed io, sgocciolandoli per bene dal fondo di cottura, recuperavo tutti i pezzi di zucca e li mangiavo.

    Sapevano di tegame di terracotta. Di olio e di aglio. E di fave.

    E non erano niente male, ma io, nonostante cominciassi segretamente a familiarizzare con quel sapore, seguitavo a mangiare con lentezza accompagnata da aria di grande costrizione, per dimostrare, nonostante la rimozione del legume, tutto lo sforzo che mi costava accontentarla.

    Così, piano piano, attraverso il sapore mediato e veicolato da quei pezzi di zucca, dopo aver contrattato l’eliminazione del nasello, ho imparato, crescendo, ad accettare il piatto completo e ad apprezzare quella solida e preziosa minestra.

    E ho capito, a distanza di tempo, che la nonna non mentiva incitandomi a mangiare quel piatto di fave e zucca e che il suo convinto e affettuoso, mangia che ti fa bene, a qualunque alimento si riferisse, aglio, zucca o fave con la buccia, tutti prodotti della sua campagna, era convinto, sincero e consapevole.

    La nonna curava amorevolmente i suoi campi mentre il nonno era in America e ci teneva particolarmente che mangiassi le fave perché, da brava contadina qual era, ne conosceva e apprezzava per esperienza, sia il sapore che tutte le proprietà benefiche.

    Erano facili da coltivare e facevano bene al terreno, potevano essere gustate fresche e verdoline in primavera, dopo averle tirate fuori dalla buccia, da sole o accompagnate da pane e formaggio di pecora, e secche in inverno, con la buccia o senza, in zuppe e minestre saporite, cotte sotto la cenere o fritte.

    La nonna non conosceva sicuramente termini quali azoto, sali minerali, acido folico, potassio, antiossidanti, steroli vegetali e fibre alimentari, né i nomi di tutti i minerali contenuti in quelle fave, e neanche da quanto tempo esistevano su questa terra e da dove arrivavano. Le bastava sapere che c’erano, ed erano ottime da cucinare e utili ad “andare di corpo” con regolarità, a mantenere bassa la pressione corporea e, ricche di ferro com’erano, a curare le anemie. Cosa si poteva volere di più da una fava?

    Ogni bravo contadino, all’epoca, aveva dentro di sé un navigato farmacista naturale, esperto non in cosa contenessero determinati cibi o erbe, ma per cosa fossero utili, a curare o a prevenire.

    E la nonna era una buona contadina.

    E il suo mangia, che ti fa bene, ci stava proprio tutto.

    Ma chissà cosa avrebbe pensato, se in un momento di fantasiosa premonizione infantile, con il piatto davanti, le avessi svelato che quelle fave avrebbero percorso tanta strada, e a 50 anni di distanza sarebbero arrivate in alto, ma molto più in alto di qualsiasi altro legume contemplato nelle favole.

    Perché una principessa coraggiosa e determinata avrebbe viaggiato tra stelle, pianeti e buchi neri, e all’interno di un castello volante costruito con fibre di acciaio delle più forti, si sarebbe mossa tranquilla e attenta nello spazio silenzioso, portandosi dietro fagioli, lenticchie, fave e ceci neri, a conferma delle sue sane abitudini alimentari e del fatto che, nelle favole, tra principesse e legumi c’è sempre stato un certo feeling.

    La nonna mi avrebbe ascoltata con la sua santa pazienza e pur non essendo in grado di cogliere l’opportunità scientifica di tale rivelazione, avrebbe approfittato dell’utilità immediata della mia fantasia, e sull’orlo dell’esasperazione avrebbe concluso: Hai visto?

    Se l’è portate perché fanno bene!

    Quindi, smettila di fare tutte queste mosse, e mangia!

    La nonna metteva a “bagno “, le fave, in abbondante acqua, la sera.

    Il mattino successivo le passava, dentro “u’ pignatidd”, che sistemava in un angolo del camino destinato alla cucina, con foglie di alloro, grani di pepe e acqua.

    Quindi tagliava dalla parte centrale di una grossa cipolla una fetta bella alta e la sistemava sulla bocca del tegame.

    Non mi sono mai chiesta se lo facesse per sostituire un coperchio andato in pezzi, oppure per approfittare del vapore e cuocere anche la cipolla, che poi mangiava a parte, condita con olio e sale.

    Ogni tanto andava a controllare la cottura e, aggiungeva, se necessario, altra acqua calda, che teneva di riserva, in un pentolino. Poco prima che arrivassero a cottura regolava di sale.

    Nel frattempo cuoceva la zucca, tagliata a pezzi non troppo piccoli, e la teneva da parte, in un piatto coperto da un altro piatto, sotto un telo.

    Pronte le fave, le tirava fuori dall’acqua e le aggiungeva alla zucca, aggiustava di sale, se necessario, e completava il tutto con uno spicchio d’aglio a piccoli pezzi e un generoso giro d’olio di oliva.

    immagini by biodiversitapuglia.it

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  • Abbinamento cibo-vino – parte 1

    Abbinamento cibo-vino – parte 1

    Abbinamento cibo-vino – parte 1

    Articolo tratto da milaewines.it by Mihaela Cojocaru

    Sono in molti a provare a fare il perfetto abbinamento cibo-vino perdendo di vista gli aspetti della semplicità e del piacere di abbinare il cibo al vino.

    Io credo che il 10% degli abbinamenti si possa definire fantastico, mentre il 10% non funziona affatto. L’ 80% per cento è nella norma, quindi tutto ok. Perciò non è necessario stressarsi nella ricerca del migliore abbinamento cibo-vino.

    Il fatto è che se ti piace il cibo e ti piaciono i vini si potrebbe verificare il rischio che  l’abbinamento potrebbe non soddisfarti, mentre se non ti piace il vino o il cibo il rischio che si corre è che la combinazione non risulterà brillante così come te l’aspettavi!

    Ci sono tante guide sull’abbinamento cibo-vino che potresti considerare però: è un’esperienza personale ed è impossibile trovare un combinazione che soddisfi tutti. Però è possibile conoscere alcune caratteristiche naturali per provare a capire ciò che soddisferà la maggior parte delle persone.

    Nell’abbinamento cibo-vino una parte è scienza, due parti è magia 🙂

    Prima di entrare nel merito in tema di abbinamenti, mi piacerebbe spiegare come le differenti parti che compongono il vino lavorano insieme. Avete sempre sentito parlare di vino equilibrato, però molti non conoscono davvero cosa sia e non sanno che anche il cibo cambia l’equilibrio del vino, quindi meglio capire com’è fatto e quali sono le caratteristiche di un vino.

    Se si aggiunge un po’ di zucchero ad un vino acido, lo zucchero aumenta e l’acidità diminuisce. Ecco le cose belle del vino: zucchero, frutto e corpo, che rappresentano un lato della medaglia. Ecco invece le cose brutte del vino: tannini, acidità e calore dell’alcool, che rapresentano l’altro lato della medaglia.

    Bene, se aggiungo zucchero al vino, lo zucchero sale ma migliora anche il frutto e la corposità. La percezione dell’acidità scende, anche se il livello effettivo non cambia, così come non cambiano i tannini e l’alcool.

    Se aggiungo un po’ di succo di limone al mio vino, succederà la cosa opposta di quanto appena letto.  L’acidità sembrerà aumentata, aumentando di conseguenza anche i tannini e la sensazione dell’alcool.  L’acidità “maschera” lo zucchero, portando verso il basso il sentre fruttato, rendendo così il vino meno corposo, più scarico. Ecco perchè i vini meno corposi sono più difficili da “comprendere”.

    Mangiando il cibo, succede la stessa cosa. La tua bocca, il tuo gusto, ad un certo punto la si abitua a certi sapori.

    leggi anche Abbinamento vino-cibo – parte 2

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