Categoria: ALIMENTATION

Che Ti Mangi

  • A SAN NICOLA OGNI FAVA HA LA TESTA NERA

    A SAN NICOLA OGNI FAVA HA LA TESTA NERA

    A SAN NICOLA OGNI FAVA HA LA TESTA NERA.

    Un detto popolare barese recita: «A Sanda Nicol, ogni fav la cape gnore» («A San Nicola ogni fava ha la testa nera»), perché è in questo periodo che le fave vengono raccolte e vendute per essere consumate crude come ortaggio fresco.

    neu nuovo e utile

    é una news di www.biodiversitapuglia.it

    Il giorno 8 Maggio a Bari (Puglia, Italia) (link: goo.gl/maps ) si festeggia San Nicola, il Patrono della città.

    Dopo la festa di San Nicola, invece, il “nasello” (la proliferazione a forma di tubercolo che si forma sul seme: la caruncola) diventa scuro e i semi non sono più teneri e buoni per essere consumati crudi.

    Grandi mangiatori di fave, i pugliesi hanno un distico che tradotto in lingua suona così: «Di tutti i legumi la fava è la regina / cotta la sera, scaldata la mattina».

    Testo tratto dal progetto Biodiverso;
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

    neu nuovo e utile
    La principale finalità del progetto integrato BiodiverSO è quella di contribuire a raggiungere una significativa riduzione del tasso attuale di erosione della biodiversità delle specie orticole pugliesi.

    Puoi leggere tutte le news, le informazioni e le ricerche del progetto Biodiverso – Biodiversità delle specie orticole della Puglia.
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

    É un progetto di ATS “RETE PER LA BIODIVERSITÀ DELLE SPECIE ORTICOLE IN PUGLIA” “BIODIVERSO
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

    foto credits
    (link: www.pixabay.com)

    www.tipici.news

    #Tipici
    #Puglia #Basilicata

  • CLASSIFICAZIONE DEI FORMAGGI: DALL’ORIGINE DEL LATTE AL TEMPO DI STAGIONATURA

    CLASSIFICAZIONE DEI FORMAGGI: DALL’ORIGINE DEL LATTE AL TEMPO DI STAGIONATURA

    CLASSIFICAZIONE DEI FORMAGGI: DALL’ORIGINE DEL LATTE AL TEMPO DI STAGIONATURA.

    Formaggio fresco? A breve stagionatura? A media stagionatura? A lunga stagionatura? Ecco cosa li rende diversi uno dall’altro.

    formaggio

    é una news di www.formaggio.it

    ORIGINE

    Latte di vacca

    Latte di pecora

    Latte di capra

    Latte di bufala

    Latte misto: vacca-pecora, vacca-capra, vacca-pecora-capra, pecora-capra.

    TRATTAMENTO DEL LATTE

    Latte crudo: il latte non subisce alcun trattamento termico, viene lavorato alla temperatura di mungitura e lievemente riscaldato per portarlo alla temperatura di coagulazione.

    Latte termizzato: per essere igienizzato, dopo la mungitura il latte viene riscaldato fino a 63°C, che restano costanti per 10 minuti, e poi raffreddato alla temperatura di coagulazione.

    Latte pastorizzato: per essere igienizzato, dopo la mungitura il latte viene riscaldato fino a 72°C per 15 secondi e poi raffreddato alla temperatura di coagulazione.

    TEMPERATURA DI LAVORAZIONE

    Pasta cruda: quando, in seguito alla rottura della cagliata, non avviene riscaldamento, cioè si riscalda fino alla temperatura massima di 42°C. Esempio: Formaggella del Luinese D.O.P.

    Pasta semicotta: quando, in seguito alla rottura della cagliata, avviene un riscaldamento fino alla temperatura massima di 46°C. Esempio: Monte Veronese latte intero D.O.P.

    Pasta cotta: quando, in seguito alla rottura della cagliata, avviene un riscaldamento a temperatura che supera i 46°C. Esempio: Fontina D.O.P.

    CONTENUTO D’ACQUA

    Pasta molle: quando il contenuto d’acqua nel formaggio supera il 45%. Esempio: Casatella Trevigiana D.O.P.

    Pasta semidura: quando il contenuto d’acqua nel formaggio è compreso tra il 35 e 45%. Esempio: Pecorino Toscano D.O.P. a pasta tenera.

    Pasta dura: quando il contenuto d’acqua nel formaggio è inferiore al 35%. Esempio: Parmigiano Reggiano D.O.P.

    CONTENUTO DI GRASSO

    Formaggi magri: quando il latte lavorato è stato scremato (grasso sulla sostanza secca inferiore al 20%). Esempio: Tomino del Bot P.A.T.

    Formaggi semigrassi: quando il latte lavorato è stato parzialmente scremato (grasso sulla sostanza secca tra il 20 e il 42%). Esempio: Valtellina Casera D.O.P.

    Formaggi grassi: quando il latte lavorato è intero (grasso sulla sostanza secca maggiore del 42%). Esempio: Murazzano D.O.P.

    Formaggi a doppia crema: quando al latte da lavorare viene aggiunta una quantità variabile di panna. Esempio: Reblec de Crama P.A.T.

    TEMPO DI STAGIONATURA

    Formaggio fresco: quando la maturazione avviene tra le 24 ore e i 15 giorni successivi all’estrazione dalla caldaia. Esempio: Squacquerone D.O.P.

    Formaggio a breve stagionatura: quando la maturazione avviene tra i 15 e i 60 giorni successivi all’estrazione dalla caldaia. Esempio: Casciotta d’Urbino D.O.P.

    Formaggio a media stagionatura: quando la maturazione avviene tra i 60 e i 180 giorni successivi all’estrazione dalla caldaia. Esempio: Piacentinu Ennese D.O.P.

    Formaggio a lunga stagionatura: quando la maturazione avviene dopo almeno 180 giorni di stagionatura. Esempio: Fiore Sardo D.O.P.

    ALTRE CARATTERISTICHE

    Pasta erborinata: quando il formaggio presenta miceli di muffe “penicillium”. Esempio: Gorgonzola D.O.P.

    Pasta filata: quando la pasta è stata filata con adeguato processo. Esempio: Mozzarella di bufala campana D.O.P. tra i freschi, Ragusano D.O.P. tra gli stagionati

    Pasta pressata: quando, dopo l’estrazione della cagliata, la pasta subisce una pressatura meccanica. Esempio: Asiago D.O.P. pressato.

    Pasta tipo grana: quando la pasta del formaggio è granulosa. Esempio: Grana Padano D.O.P.

    Pasta occhiata: quando la pasta del formaggio presenta occhiatura. Esempio: Pustertaler Bergkase P.A.T.

    Crosta fiorita: quando la crosta del formaggio è ricoperta da muffe, normalmente edibili (penicillium candidum). Esempio: Pratolina, formaggio caprino P.A.T.

    Crosta lavata: quando, durante la maturazione, la crosta del formaggio viene lavata spesso con acqua e sale e presenta colorazione tipica rosso-arancio. Può essere edibile e non edibile. Esempio: Taleggio D.O.P.

     Testo tratto da Formaggio.it;
    (link: www.formaggio.it)

    formaggio.it

    Formaggio.it – l’ambasciatore del formaggio italiano nel mondo. A un formaggio corrisponde un territorio. Uno spicchio, tanti spicchi di un’Italia che ha nei paesaggi da sogno e nelle risorse culturali e artistiche uniche un fascino riconosciuto. I formaggi italiani mettono in relazione la loro funzione esterna di conoscenza e connessione dei singoli territori con il mercato esterno per accrescere l’appeal dei visitatori. Una vocazione che Formaggio.it sviluppa e indirizza nei canali che motivano il turista-gourmet, facendo assurgere le varie tipologie di formaggi a propulsore di promozione per le specificità e le potenzialità di province e località.

    Puoi leggere tutte le news, le informazioni e le ricerche di Formaggio.it
    (link: www.formaggio.it)

    É un progetto editoriale di Boraso.com
    (link: www.boraso.com)

    foto credits
    (link: www.pixabay.com)

    www.tipici.news

    #Tipici
    #Puglia #Basilicata

  • UN TEMPO LA NATURA ERA UTILIZZATA, NON SFRUTTATA

    UN TEMPO LA NATURA ERA UTILIZZATA, NON SFRUTTATA

    UN TEMPO LA NATURA ERA UTILIZZATA, NON SFRUTTATA.

    La morfologia e il clima del territorio hanno riflesso sulla nostra alimentazione?

    formaggio

    é una news di www.formaggio.it

    Nei secoli scorsi le diverse situazioni climatiche “obbligavano” l’uomo ad alimentarsi secondo le necessità del luogo di residenza.  Le diverse caratteristiche del territorio italiano, determinate dalle diverse posizioni geografiche, hanno sempre influito sul metodo di vita, sul lavoro, e naturalmente sul tipo di alimentazione che seguiva la stagionalità soprattutto in funzione della reperibilità dei prodotti dell’agricoltura.

    Tempo indietro non era usuale caratterizzare l’alimentazione come la si definisce oggi “agro-alimentare” ma semplicemente veniva utilizzato tutto ciò che la terra produceva semplicemente in funzione di ciò che il contadino coltivava ma anche di ciò che si trovava in natura, libero e selvaggio, compreso la carne. Da ciò è facile intuire che in campagna così come in montagna si sfruttava in pieno la territorialità, la morfologia del territorio e lo sfruttamento massimo delle capacità umane e delle poche attrezzature.

    Così era che in montagna, nei pendii più inclinati, si lasciava che la natura si occupasse della crescita spontaneamente delle erbe che potevano essere sfalciate e, merito della gravità, e una volte essiccate al sole, facilmente portate a valle e stoccate nei fienili. Nei fondo valle e nelle pianure invece, la facilità di coltivare permetteva, così come lo permette ora, di lavorare la terra e coltivare in modo intensivo o estensivo secondo le esigenze.

    Vuoi allora che il vero sfruttamento della terra era il semplice seguire le varie mutazioni climatiche e la morfologia della terra, mentre ora viene sfruttato il terreno come fosse materiale da riproduzione e di conseguenza da sfruttare in modo continuo, senza alcun riposo, per ottenere risultati sempre più remunerativi. Per ciò la grande differenza fra un tempo che fu e oggi è che la natura era utilizzata e non sfruttata.

    Tutto questo breve ragionamento si ripercuote anche sulla situazione dell’alimentazione ovviamente quale risultato del recupero di ciò che la terra poteva e può dare. Un tempo la situazione climatica differenziava l’alimentazione tanto da influenzare la produzione. Un esempio emblematico è quello del burro, prodotto dello sbattimento del grasso del latte, che veniva fatto soprattutto nell’arco alpino dove evidentemente il clima consentiva il suo uso per scopi energetici ma anche il suo smaltimento causa le fatiche lavorative che la montagna adduceva. Il clima e lo sfruttamento del suolo hanno anche riflesso nei luoghi caldi come il nostro Meridione dove naturalmente le necessità erano all’opposto di quelle dell’arco alpino ovvero, smaltire il burro diventava davvero problematico così come mantenerlo in luoghi dove la refrigerazione naturale era impossibile.

    Oggi si è capovolto il tutto, tanto da non esistere più, o quasi più, l’abitudine e la tradizione alimentare basata sulla peculiarità climatica. A dire la verità e per fortuna, le produzioni dell’agro-alimentare italiano, ovvero i prodotti tradizionali, (Pat) esistono ancora anche se numericamente molto inferiori ai prodotti commerciali, e per questo la loro valorizzazione dovrebbe essere in vetta alle preoccupazioni di tutti. Salvaguardare queste produzioni non significa essere obbligati a utilizzarle secondo la morfologia o il clima del territorio, cioè solo nel luogo di origine, anche perché oggi abbiamo la fortuna dei trasferimenti e dei trasporti rapidi, ma in funzione di un tipo di alimentazione più sano è più buono, e perché no, più attento al nostro passato.

    Oggi è cambiato tutto, si trova la mozzarella fatta in malga, e qui inorridisco, come il burro di pecora in Sardegna. Tutto è cambiato, non dico nulla di nuovo, come non uso fantasia a dire che la commercializzazione, le vendite on line hanno portato certamente facilità di divulgazione di prodotti, anche quelli difficilmente reperibili, ma hanno determinato uno zibaldone di usanze che di tradizionale non hanno nulla. Non possiamo rifiutare scambi commerciali globali se noi stessi globalizziamo la nostra vita e la nostra alimentazione che si allontana sempre più dalla famosa e invidiata dieta mediterranea.

    È bene ricordare che il nostro Paese è “fatto” di alimenti tradizionali ma senza il loro consumo, da parte nostra, questi prodotti non avranno il giusto utilizzo sulle nostre tavole, che invece dovrebbero avere, e di conseguenza anche lo sbocco economico meritato.

     Scritto da Michele Grassi per Formaggio.it;
    (link: www.formaggio.it)

    formaggio.it

    Formaggio.it – l’ambasciatore del formaggio italiano nel mondo. A un formaggio corrisponde un territorio. Uno spicchio, tanti spicchi di un’Italia che ha nei paesaggi da sogno e nelle risorse culturali e artistiche uniche un fascino riconosciuto. I formaggi italiani mettono in relazione la loro funzione esterna di conoscenza e connessione dei singoli territori con il mercato esterno per accrescere l’appeal dei visitatori. Una vocazione che Formaggio.it sviluppa e indirizza nei canali che motivano il turista-gourmet, facendo assurgere le varie tipologie di formaggi a propulsore di promozione per le specificità e le potenzialità di province e località.

    Puoi leggere tutte le news, le informazioni e le ricerche di Formaggio.it
    (link: www.formaggio.it)

    É un progetto editoriale di Boraso.com
    (link: www.boraso.com)

    foto credits
    (link: www.pixabay.com)

    www.tipici.news

    #Tipici
    #Puglia #Basilicata

  • LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    LA DIETA MEDITERRANEA E LA BIODIVERSITA’

    Consumare vari tipi di frutta e ortaggi arricchisce la nostra dieta di sostanze essenziali e biologicamente attive capaci di prevenire numerose patologie.

    neu nuovo e utile

    é una news di www.biodiversitapuglia.it

     Ancel Benjamin Keys, il biologo statunitense che scoprì i benefici della dieta mediterranea, nel 1993 segnalò che «la Dieta Mediterranea è principalmente vegetariana, cioè: pasta in varie forme, foglie condite con olio di oliva, verdura di stagione di tutti i tipi, spesso anche formaggio, ed ogni pasto termina con frutta e viene frequentemente integrato con vino».

     E aggiunse: «Io dico “foglie”. (…) tutti i tipi di foglie sono una parte importante della dieta di ogni giorno. Vi sono molti tipi di lattuga, spinaci, bietole, portulaca (…), indivia e rape».

      Ancel Benjamin Keys sottolineava così l’importanza della biodiversità anche nel piatto.

     Consumare vari tipi di frutta e ortaggi arricchisce la nostra dieta di sostanze essenziali e biologicamente attive capaci di prevenire numerose patologie.

     Completa il nostro fabbisogno di nutrienti.

     Arricchisce di colori e storie il nostro menù.

     Preserva dall’estinzione i prodotti della nostra terra.

     Ci migliora.

    Scritto da Pietro Santamaria per il progetto Biodiverso;
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

    neu nuovo e utile
    La principale finalità del progetto integrato BiodiverSO è quella di contribuire a raggiungere una significativa riduzione del tasso attuale di erosione della biodiversità delle specie orticole pugliesi.

    Puoi leggere tutte le news, le informazioni e le ricerche del progetto Biodiverso – Biodiversità delle specie orticole della Puglia.
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

    É un progetto di ATS “RETE PER LA BIODIVERSITÀ DELLE SPECIE ORTICOLE IN PUGLIA” “BIODIVERSO
    (link: www.biodiversitapuglia.it)

    foto  
    (link: www.dispensadeitipici.it)

    www.tipici.news

    #Tipici
    #Puglia #Basilicata

  • TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO

    TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO

    TURISMO: L’INDUSTRIA PIÙ PESANTE (E PARADOSSALE) DEL NOSTRO TEMPO.

     Viviamo (e chissà se ce ne siamo davvero accorti) nell’età del turismo.

    neu nuovo e utile

    é una news di www.nuovoeutile.it

     È la più importante industria del nostro tempo, ed è la più inquinante: produce CO2 e consuma territorio. Alimenta un indotto gigantesco: c’è la produzione di aerei, navi, treni e auto e pullman, che senza turismo subirebbe una forte flessione. C’è la costruzione di strade e aeroporti. Di alberghi, villaggi e seconde case e campi da golf e piscine. C’è la fabbricazione di arredi e suppellettili e biancheria per alberghi e seconde case.

     E c’è la produzione di souvenir e di skilift, di sci, scarponi e costumi da bagno, di ciabatte e zaini e valigie e cappellini e creme solari… poi, c’è tutta l’editoria dedicata, su carta e in rete. Ci sono Google Maps e Tripadvisor.

    IL 10 PER CENTO DEL PIL MONDIALE.

     Senza calcolare l’incalcolabile indotto, il turismo internazionale vale 1522 miliardi di dollari (Wto – Organizzazione Mondiale del commercio, 2015). Il turismo locale vale molto di più: 7600 miliardi di dollari nel 2014, il 10 per cento del pil mondiale.

    SPAGNA E ITALIA.

     In Spagna, prima meta turistica al mondo, il turismo vale oltre il 15 per cento del pil e dei posti di lavoro. In Italia vale il 10,2 per cento del pil e l’11,6 per cento dell’occupazione (dati 2015). In Costa Rica (link: www.nuovoeutile.it) il turismo arriva a impiegare il 27 per cento della forza lavoro (e, grazie alla tutela del paesaggio, regala un futuro diverso all’intera nazione).

    LA GIOSTRA CHE CI MUOVE.

     Insomma, il turismo è una giostra su cui buona parte della popolazione mondiale è salita (o salirà tra breve), nei ruoli più o meno intercambiabili di viaggiatore o turista, o spettatore, o lavoratore del turismo. È un fenomeno globale, pervasivo e relativamente recente. C’è un’enorme letteratura sui luoghi del turismo, c’è un’ampia produzione di scritti sul marketing e la promozione turistica. Ma i ragionamenti sul turismo in sé, come nuovo stile di vita, sistema e comportamento condiviso, sono scarsi e frammentari.

    Turismo - tourism 1-min

    VOLENTEROSE ILLUSIONI.

     Con Il selfie del mondo (Feltrinelli) (link: www.amazon.it), Marco D’Eramo ci aiuta a capire come la giostra funziona, che cosa la muove e che cosa può romperla. Soprattutto, ci dice che la giostra è fatta di specchi, e che si fonda sul paradosso. Per questo, parlando di turismo, Il selfie del mondo ci parla di noi e dei nostri desideri, delle nostre illusioni e (infine) della nostra buona volontà.

    UN NOBILE PIACERE.

     In passato la gente non si muoveva se non era obbligata a farlo. Nel Cinquecento, solo i figli dei nobili viaggiano per piacere e formazione. Nel Settecento, “aver visto il mondo” diventa obbligatorio per un gentiluomo, a cui si consiglia di andare in giro con un blocco da disegno. Nasce così la categoria del “pittoresco”: ciò che salta all’occhio, è esotico ed è facile da dipingere.

    Turismo - tourism 1-min

    BRUTTI E TANTI.

     Il turismo si espande a metà Ottocento, con la sbalorditiva diffusione dei mezzi di trasporto, e suscita nei nobili turisti tradizionali enorme fastidio per i “nuovi” e “brutti” e “tanti” turisti borghesi. Questi hanno mete che oggi ci sembrano stravaganti. A Parigi visitano le fogne, le prigioni e (lo racconta Marc Twain) l’obitorio.

    RIVOLUZIONE TURISTICA.

     Ma la rivoluzione turistica mondiale si verifica nel secondo dopoguerra: si passa da 25,3 milioni di viaggiatori internazionali nel 1950 al miliardo 186 milioni del 2015 (dato WTO). Il turismo non solo si globalizza grazie ai voli low cost, ma si specializza irreggimentando pubblici diversi (anziani, congressisti, studenti, fedeli in visita ai luoghii sacri…). E, scrive d’Eramo, si ingarbuglia (ingarbugliando anche noi) in una serie di paradossi disturbanti.

    PRIMO PARADOSSO: IL TURISMO FUGGE DA SE STESSO.

     Ogni meta desiderabile perché “autentica” ed “esclusiva” smette gradualmente di esserlo man mano che si trasforma in meta turistica. E poi, più un luogo “va visto”, meno diventa possibile vederlo, perché… è pieno di turisti.

    SECONDO PARADOSSO: L’AUTENTICA FINZIONE.

     I turisti ricercano l’autenticità, ma la individuano solo se è evidenziata, quindi “messa in scena”, quindi ostentata e inautentica. Questo fatto porta al terzo paradosso.

    TERZO PARADOSSO: LA TRADIZIONE INVENTATA.

     Per esempio, il Palio di Siena viene medievalizzato nel 1904. E i mercati “tipici” come il Mercado de San Miguel a Madrid finiscono per vendere solo ciò che i turisti si aspettano di poter comprare.

    QUARTO PARADOSSO: L’ENTROPIA TURISTICA.

     il turismo alimenta l’economia delle città e dei territori, ma la omogeneizza distruggendo le basi economiche su cui si fonda l’identità di quelle città e di quei territori. Nel Chiantishire i casolari diventano ville, nel centro delle città le botteghe diventano negozi di souvenir. I piccoli centri come San Gimignano si trasformano in un parco a tema.

    Turismo - tourism 1-min

    QUINTO PARADOSSO: IL TOCCO LETALE.

     Il tocco dell’Unesco è – scrive D’Eramo — letale. Preservando le pietre e gli edifici, l’etichetta di Patrimonio dell’Umanità, anche se attribuita in perfetta buona fede, museifica i luoghi, li sterilizza, costringe gli abitanti all’esodo svuotando i centri urbani.

    SESTO PARADOSSO: IL FALSO È VERITÀ.

     L’inautentico turistico è un autentico (e dunque rimarchevole) segno del nostro tempo. Basti pensare al caso di Lijang, città turistica cinese interamente ricostruita, (oltre 20 milioni di turisti nel 2013). O al caso di Las Vegas. Due insediamenti che raccontano una verità proprio nel loro essere fenomeni del tutto artificiali

    SETTIMO PARADOSSO: FARE IL TURISTA È UN LAVORO DURO.

     Le persone si assumono volontariamente il compito di eseguirlo mentre sono in ferie, cercando di sfruttare con la massima efficacia il poco tempo disponibile. Un dettaglio rivelatore: quelli che dicono “ho fatto il Brasile, l’anno prossimo farò l’Asia centrale”. Che fatica…

    OTTAVO PARADOSSO: “LOCALE” È DAPPERTUTTO.

     Parliamo di gastronomia. Si moltiplicano le sagre enogastronomiche: in Italia sono oltre 34.000, più di quattro a comune. Abbiamo 1515 sagre della polenta e 1040 sagre della salsiccia, 5790 sagre del tartufo, 156 sagre della lumaca e 171 della rana… e si moltiplicano anche i ristoranti etnici, perché i turisti amano gustare di nuovo i sapori incontrati in vacanza. Ma la “cucina etnica” è come la “musica etnica”: ingredienti tradizionali riarrangiati per un pubblico globale.

    NONO PARADOSSO: NESSUN TURISTA VUOLE SENTIRSI TALE.

     Preferisce considerare se stesso un “viaggiatore”, e riversare il proprio disprezzo su qualcun altro che si comporta più “da turista”. La catena del disprezzo classista è forte: lo svago delle masse, che è recentissimo, ha ricevuto dagli intellettuali più critiche in dieci anni di quante il tempo libero degli aristocratici ne abbia ricevute in duemila anni.

    UN VIAGGIO TRA FENOMENI.

     Il testo di Marco D’Eramo è a sua volta un viaggio. Cioè un percorso tra fenomeni, luoghi, idee, dati, idiosincrasie, intuizioni e contraddizioni, e mille storie sorprendenti. Ma, proprio come capita nei viaggi materiali, anche procedendo di pagina in pagina l’autore entra in contatto con prospettive inaspettate e ne esce cambiato. E con lui noi, che l’abbiamo seguito leggendo.

    Turismo - tourism 1-min

    C’È DEL BUONO, TUTTAVIA.

     La chiave del cambiamento di prospettiva sta in una serie di domande semplicissime: …e se il turismo fosse animato dal movente positivo dell’essere curiosi del mondo? E se non si trattasse d’altro che di una pratica di automiglioramento (self improvement) corporeo, emotivo e intellettuale? Del resto, in quale altra occupazione che la renda più felice potrebbe una sterminata massa di esseri umani investire il suo tempo libero? C’è qualcosa di commovente, scrive D’Eramo, nella fiducia che andare a visitare una città, un monumento, un paese possa aprirti la mente, renderti migliore.

    NOSTALGIA, FORSE.

     Eppure, la bistrattata figura del turista forse non durerà per sempre. Potremmo perfino cominciare a coltivare, nei suoi confronti, una specie di nostalgia. Il cambiamento del lavoro, che diventa sempre meno stabile, può cambiare l’idea stessa di “vacanza”. E lo sguardo turistico che cerca il nuovo, l’autentico e l’inaspettato, forse si appannerà dopo aver già visto in rete tutto ciò che merita di essere visto.

    Scritto da Annamaria Testa per il suo sito web Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá
    (link: www.nuovoeutile.it)

    neu nuovo e utile

    Nuovo e Utile è un sito di teorie e pratiche della creatività e non ha scopo di lucro. Vuole trasmettere una visione della creatività come stile di pensiero orientato a produrre risultati originali ed efficaci.

    Puoi leggere tutti gli articoli sul sito NeU – Nuovo e Utile, teorie e pratiche della creativitá.
    (link: www.nuovoeutile.it)

    É un progetto di Annamaria Testa
    (link: www.annamariatesta.it)

    foto credits
    (link: www.pixabay.com; www.nuovoeutile.it)

    www.tipici.news

    #Tipici
    #Puglia #Basilicata

  • DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA

    DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA

    DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA.

     Una realtá produttiva fatta di piccola e media impresa, frutto di un’antica tradizione che vive di alta qualitá grazie anche a oggetti unici al mondo.

    neu nuovo e utile

    é una news di www.mestieridarte.it

    Da quando siamo entrati nell’Europa unita ci hanno spiegato che ormai dobbiamo fare i conti con la globalizzazione dei mercati, per cui occorre produrre tanto e in modo omogeneo per poter conquistare mercati sempre piú vasti e competere con le grandi imprese multinazionali.

    Ma é pur vero che la nostra realtá produttiva é sempre stata caratterizzata dalla piccola e media impresa, aziende che rispetto alla tendenza sopra esposta stanno sviluppando una propria strada cercando di valorizzare sempre piú la “piccola produzione”.

    Valorizzazione che passa attraverso la qualitá, il marchio d’origine, fino alla produzione numerata (come con molti nostri vini); cosí possiamo dire che é in atto una battaglia, da una parte la grande produzione, dall’altra quella piccola e legata a culture e tradizioni locali. Sembra di rileggere le polemiche e le battaglie culturali di fine anni 70 dove i designer radicali (che guardavano con attenzione alle realtá locali, alla cultura contadina, alle esperienze periferiche…) si contrapponevano al design internazionalista (buono per ogni luogo e legato a una visione della nostra societá dipendente da un unico grande supermercato).

    Ieri come oggi. I nostri “sapori” cercano di mantenere la propria identitá e le centinaia di formaggi italiani, vini, salumi, verdure trovano ogni giorno sostenitori che si danno da fare perché non scompaiano dal mercato, e quindi dalla nostra tavola e dalle tavole internazionali di chi apprezza sempre piú i prodotti della cucina italiana. I mondi del design, delle arti applicate e dell’artigianato hanno lo stesso problema.

    Cosí, il consiglio che si puó dare é di cercare di operare collaborando! Oggetti “fatti ad arte” per i nostri “particolari” sapori. Due mondi, due realtá produttive che potremmo salvare attraverso un processo di collaborazione nella consapevolezza (spesso viene a mancare) che tutte e due le produzioni descritte appartengono alla nostra “cultura materiale”.

    Potranno cosí crescere oggetti che esprimono identitá, appartenenze, territorialitá, sfruttando l’apprezzamento di un nostro prodotto ormai penetrato diffusamente sul mercato. Pensiamo al fiasco di vino in vetro di Empoli per il nostro Chianti, ai grandi piatti di Vietri per la nostra pizza napoletana, la ceramica di Grottaglie per il nostro robusto olio del sud e quella di Nove per il delicato olio del Garda, la ceramica di Deruta per il prestigioso olio toscano e cosí via. Tanti oggetti per i tanti prodotti per cui siamo famosi in tutto il mondo.

    Il tema legato all’alimentazione ripropone il dilemma della scelta tra globalizzazione e localizzazione. Probabilmente occorrerá lavorare sui due fronti anche se la nostra cultura, il territorio e le tradizioni ci indirizzano verso progetti che guardano alla localizzazione e ai nostri tanti genius loci.

    Perché non proporre una mostra dove il consumare cibi venga proposto come qualcosa che passi attraverso i diversi rituali domestici della nostra quotidianitá (in continua evoluzione) e che non focalizzi quindi il momento della fruizione sui consueti colazione, pranzo e cena? Il tutto valorizzando, attraverso il progetto, gli strumenti, i prodotti e i cibi espressione delle nostre diversitá? Dalle tovaglie (tessuti e decori di Romagna, Abruzzo, Sardegna…) alle stoviglie in ceramica (di Grottaglie, Vietri sul Mare, Caltagirone, Deruta, Faenza, Nove, S.Stefano di Camastra…), vetro (di Murano, Colle Val d’Elsa, Empoli), pietra (di Apricena, ollare, Lavagna…) e poi argento, porcellana, vimini, legno… fino agli oggetti d’arredo.

    Un’occasione per verificare i tanti possibili collegamenti tra i nostri produttori di oggetti (artigiani e piccole imprese) e di alimentari, per creare e rinnovare sinergie e aprirsi a nuove possibilitá di sviluppo e comunicazione.

    Scritto da Ugo La Pietra per il magazine Mestieri d’Arte & Design, Anno III, Numero 6, Dicembre 2012, pag.14-15;
    (link: www.issuu.com)

    neu nuovo e utile
    Mestieri d’Arte & Design è un progetto editoriale dedicato all’eccellenza artigianale italiana e internazionale, alle sue origini e ai suoi rapporti con la creatività e lo stile. Non solo storie o prodotti, ma anche materiali, tecniche, atelier, scuole, botteghe e gli artefici: i maestri d’arte.

    Puoi leggere tutti i volumi del magazine Mestieri d’Arte & Design
    (link: www.mestieridarte.it)

    É un progetto di Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte (link: www.fondazionecologni.it) e Symbol s.r.l. (link: www.arbiter.it)

    foto credits
    (link: www.pixabay.com)

    www.tipici.news

    #Tipici
    #Puglia #Basilicata

  • OCCHIO ALLE ETICHETTE

    OCCHIO ALLE ETICHETTE

    OCCHIO ALLE ETICHETTE.

     Come leggere le etichette e scegliere di conseguenza tra i diversi alimenti.

    cibi magazine

    é una news di www.cibiexpo.it

     L’etichetta é la carta d’identitá dei prodotti alimentari e, grazie a essa, possiamo riconoscere la provenienza, la qualitá e il contenuto reale di ció che mangiamo. Per questo motivo occorre imparare a leggerla correttamente.

    Indicazioni generali

     Informazioni che per legge non possono mancare sono:

    • il luogo di origine e di provenienza dell’alimento ;
    • la quantitá netta;
    • le modalitá di conservazione e la data di scadenza. Imparate a distinguere “da consumarsi entro” e “da consumarsi preferibilmente entro”. Nel promo caso la data é tassativa, nel secondo caso il prodotto puóessere consumator anche qualche giorno dopo la scadenza;
    • nome e indirizzo del fabbricante e del confezionatore; nonché il luogo di confezionamento.

    Elenco degli ingredienti

     É bene sapere che gli ingredienti sono indicati in ordine decrescente, da quello in maggior quantitá a quello meno presente. Per esempio, molti consumatori non sanno che se in cima alla lista di un cibo confezionato compaiono lo sciroppo di glucosio o altri tipi di zuccheri, significa che questi sono l’elemento prevalente dal punto di vista nutrizionale. Spesso tra gli ingredienti troviamo delle sigle costituite da lettere e numeri. Si tratta di additivi come coloranti, conservanti, addensanti, edulcoranti, ecc. Questi sono indicati con la lettera “E” seguita da un numero di riferimento (per esempio E101). É evidente che meno additivi ci sono, piú genuino e naturale é l’aliemento.

     Non possono mancare, inoltre, i riferimenti alla presenza di particolari allergeni, quali glutine, frutta a guscio, lattosio, ecc.

     Detto questo, da quali ingredienti é bene salvaguardarsi? Evitare il piú possibile cibi ricchi di acidi grassi (soprattutto saturi), oli vegetali, zuccheri, in particolar modo lo sciroppo di glucosio. Molti alimenti infatti contengono una gran quantitá di questi componenti in quanto con la loro aggiunta un prodotto anche scadente assume un sapore ottimo.

    Tabella nutrizionale

     Infine, non puó mancare la tabella con i valori nutrizionali dell’alimento, solitamente con riferimento a 100 g di prodotto. Questa deve tassativamente contenere: il valore energetico, i grassi, gli acidi grassi saturi, i carboidrati, gli zuccheri, le proteine, il sale. A tal proposito vi consigliamo di badare, oltre che alle kilocalorie dell’alimento, anche alla qualitá della sua composizione. Per esempio, in una confezione di biscotti é utile leggere, piú che il contenuto calorico, la voce “carboidrati, di cui zuccheri”.

    Scritto da Andrea Fossati ed Elisabetta Amoruso per il magazine CiBi: Arte e Scienza del Cibo, Anno 7, Numero 2, Febbraio 2019, pag.19
    (link: www.dispensadeitipici.it)

    cibi magazine

    CiBi é una piccola rivista dedicata all’agroalimentare con un obiettivo grande: informare tutti, con passione e competenza, in modo gratuito. Perché il cibo fa parte della nostra cultura e gustarlo, conoscendolo, fa vivere meglio e più felici.

    Puoi leggere tutti i volumi del magazine CiBi: Arte e Scienza del cibo.
    (link: www.cibiexpo.it)

    É un progetto di Cibi srl
    (link: www.cibiexpo.it)

    foto credits
    (link: www.pixabay.com)

    www.tipici.news

    #Tipici
    #Puglia #Basilicata

  • Per la frittura qual è l’olio più adatto?

    Per la frittura qual è l’olio più adatto?

    Per la frittura qual è l’olio più adatto?

    è un articolo di Gastroliartgastroliart.blogspot.com

    Quante volte se n’è parlato, creando il più delle volte solo confusione e cattiva informazione. Vediamo di chiarire.

    Il processo di cottura che si svolge a temperature più elevate rispetto agli altri cibi è la frittura.

    La temperatura ideale per ottenere un fritto croccante e asciutto è circa 180°C; l’elevata temperatura favorisce la formazione della crosta la quale agisce come una barriera all’ingresso di olio all’interno dell’alimento e permette di ottenere un fritto asciutto e non untuoso.

    Grazie alla sua maggiore stabilità rispetto alla maggior parte degli oli di semi, l’olio di oliva può essere utilizzato in frittura più a lungo ed in maniera del tutto salutare.

    Infatti la temperatura critica* dell’olio di oliva è nettamente superiore a quella abituale di frittura degli alimenti.

    Gli altri grassi come il burro, le margarine ed i più comuni oli di semi, hanno una temperatura critica sensibilmente inferiore e durante la frittura si degradano velocemente portando alla formazione di sostanze nocive.

    *TEMPERATURA CRITICA DEGLI OLI E DEI GRASSI

    PALMA 240°C
    ARACHIDE 220°C
    OLIVA 210°C
    STRUTTO – COCCO 180°C
    GIRASOLE – SOIA 170°C
    COLZA – MAIS 160°C
    MARGARINA 150°C
    BURRO 110°C

     

    + contatta Gastroliart

    + info, news e ricette “firmate” Almanacco della Scienza

  • Formaggio e storia

    Formaggio e storia

    Formaggio e storia.

     è un articolo di Formaggio.itformaggio.it

    In una statistica di qualche anno fa è stato chiesto agli italiani cosa non deve mai mancare nei loro frigoriferi. La risposta più gettonata è stata: il formaggio.

    Cos’è il formaggio?

    É natura e vita.

    #info formaggio e storia cheese and history - mummie cinesi-min

    Il formaggio si fa solo con il latte o con la panna, qualsiasi etichetta che non riporti queste due materie prime, da sole o insieme, non indica un formaggio.

    Al di là del gradimento di consumo, però, vediamo nel dettaglio cos’è il formaggio. E’ prima di tutto un alimento eccezionale, sotto tutti i punti di vista.

    Inoltre, è l’alimento territoriale per eccellenza, non c’è un luogo in Italia che non abbia il suo formaggio tipico. Il legame con il territorio è talmente radicato che il consumatore è il primo sostenitore, sotto vari aspetti, del formaggio locale.

    In realtà è la composizione fisica e chimica del formaggio a renderlo un alimento completo, tanto da essere inserito in molte diete.

    Ciò che dice con certezza cos’è il formaggio, però, è solo la definizione data dal legislatore dell’Art. 32, del R.D.L. 15/10/25: “Il nome di formaggio o cacio è destinato al prodotto che si ricava dal latte intero, ovvero parzialmente o totalmente scremato, oppure dalla crema, in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di fermenti e di sale da cucina”. A nostro avviso, questa è una definizione chiarissima. Il formaggio, infatti, si fa solo con il latte o con la panna, qualsiasi etichetta che non riporti queste due materie prime, da sole o insieme, non indica un formaggio. Il latte può essere utilizzato intero o scremato, crudo o pastorizzato, inoculato o meno con fermenti lattici naturali o selezionati, che sono la vita del latte originale e del formaggio prodotto. Quest’ultimo è un prodotto talmente vitale che a volte per produrlo basta guidare il latte nella sua fermentazione naturale. Fa tutto da solo. E ci regala qualcosa di stupendo.

    Si perde nel tempo

    La scoperta più recente sono tracce di formaggio su una mummia ritrovata nella parte nordoccidentale della Cina risalente al 1615 a.C.

    #info formaggio e storia cheese and history - copertina x articolo-min

    Cominciamo con la leggenda, perché un po’ di “colore” ci vuole sempre. La leggenda, appunto, narra che un mercante arabo, nell’attraversare il deserto, portò con sé, come pietanza, del latte contenuto in una bisaccia ricavata dallo stomaco di una pecora. Il caldo, gli enzimi della bisaccia e l’azione del movimento acidificarono il latte trasformandolo in “formaggio”.

    Latte, enzimi, movimento, acidificazione: un nesso c’è.

    Ma non fa storia. Stando a quella ufficiale. Che, invece, tira in ballo gli antichi greci. Già, anche in questa faccenda bisogna partire da lì. Per scoprire le origini dell’etimologia della parola “formaggio”. Deriva, infatti, da “formos”, termine usato per indicare il paniere di vimine dove veniva depositato il latte cagliato per dargli forma. Il “formos” divenne poi la “forma” dei romani, quindi il “fromage” dei francesi, per arrivare all’italianissimo “formaggio”.

    Per quanto riguarda la nascita del formaggio, invece, il modo di dire “perdersi nella notte dei tempi” è più che mai calzante.

    Il formaggio più antico del mondo

    C’è però un riscontro oggettivo, e anche piuttosto recente, datato 2014.

    #info formaggio e storia cheese and history - copertina x articolo-min

    Il formaggio più antico del mondo, infatti, è stato rinvenuto sul petto e sul collo di una mummia ritrovata nella parte nordoccidentale della Cina (nel deserto Taklamakan) risalente al 1615 a.C. Si trattava delle tipiche offerte fatte dai vivi ai defunti per il viaggio nell’aldilà. I grumi di formaggio sono stati trovati conservati in un ambiente quasi ermetico sui corpi di 10 mummie misteriose dell’Età del bronzo. L’analisi dei reperti ha rivelato che si trattava di un formaggio a coagulazione lattica, trasformato quindi senza l’uso di caglio, bensì grazie all’azione di lactobacilli e saccaromiceti, per molti versi affine al kefir, derivato del latte che avrebbe origini caucasiche. Inoltre, le analisi compiute hanno rivelato che il formaggio in questione aveva un basso contenuto di sale e che per questo poteva essere destinato ad un consumo locale.

    Le prime tracce di allevamenti

    Le prime tracce di allevamento di pecore e capre sono state trovate in Asia e risalgono al 7.000- 6000 a.C.

    #info formaggio e storia cheese and history - copertina x articolo-min

    Con la pastorizia, le risorse alimentari dell’uomo derivavano dalla carne e dal latte. Quest’ultimo deperiva. Un emerito sconosciuto un bel giorno si illuminò notando che il latte, lasciato per un certo periodo di tempo in alcuni recipienti, coagulava spontaneamente se vi veniva aggiunto del lattice di fico. In seguito a questo processo la parte solida si divideva in una parte liquida (siero) e in una pasta (cagliata) che aumentava di consistenza fino a prendere la forma del contenitore.

    L’acidificazione a opera della microflora microbica, dunque, è sicuramente la prima trasformazione del latte praticata nei tempi antichi. Non era altro che il modo più semplice per “conservare” nella sua forma solida una materia prima liquida e deperibile.

    Dalla Bibbia a Omero

    Da qui prese avvio anche la produzione del formaggio molle, consumato esclusivamente fresco. Incredibile, ma vero. Già in quei tempi remoti ci si confrontava con la digeribilità.

    #info formaggio e storia cheese and history - copertina x articolo-min

    Il latte incontrava problematiche (conferma della carenza atavica dell’enzima lattasi nella specie umana), mentre il formaggio risultava più facile da digerire. Partita, quindi, subito vinta da quest’ultimo.

    Il documento più antico che conferma la pratica di ricavare formaggio dal latte risale a reperti di origine mesopotamica datati III millennio a.C. Sono i primi documenti che mostrano le fasi di lavorazione del formaggio, in particolare il “Fregio della latteria”, un bassorilievo sumero che rappresenta dei sacerdoti nell’operazione di mungitura.

    Testimonianze dell’uso del formaggio si hanno in tutto il mondo antico: in Europa, in Africa, e in Asia.

    Le fonti? autorevolissime: la Bibbia e Omero (nell’Odissea, Polifemo preparava del formaggio), ma anche Ippocrate, che nel IV secolo a.C. parla delle caratteristiche salutari del formaggio; Aristotele, dal canto suo, descrive per primo il metodo per ottenere formaggio dal coagulante di fico.

    I Romani andarono oltre con la stagionatura

    In una storia così avvincente, però, non può mancare la mitologia. La quale, fa risalire l’uso del formaggio ad Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene. Quest’ultima avrebbe insegnato agli uomini l’arte casearia, oltre a quella della pastorizia e dell’apicultura.

    #info formaggio e storia cheese and history - copertina x articolo-min

    Sempre la mitologia, tira in ballo anche Amaltea, la nutrice di Giove, proprietaria di una celebratissima capra cretese.

    Per quanto riguarda la sua valenza energetica, invece, il formaggio era considerato un alimento particolarmente adatto agli atleti che gareggiavano alle Olimpiadi.

    Anche i Romani erano produttori e consumatori di formaggio. Oltre al latte degli ovini, cominciarono a adoperare anche quello di vacca (usato di rado dai predecessori, in quanto ritenuto nocivo) e appresero come stagionarli. Una sorta di prima classificazione arriva da Marco Terenzio Varrone che illustra i principali tipi di formaggi consumati nel II secolo a.C. (vaccini, caprini e ovini freschi e stagionati) e nel De rustica documenta come il gusto dell’epoca fosse rivolto ai formaggi ottenuti con il caglio di lepre o capretto, anziché di agnello.

    E gli Etruschi? Sì, ci misero del loro. Perfezionando l’uso di coagulanti di tipo vegetale, come il fiore di cardo e il latte di fico, e le loro tecniche di applicazione. Quelli di agnello o di capretto, però, incontravano di più.

    I Romani, che la sapevano lunga, arrivarono a utilizzare anche lo zafferano e l’aceto. Inoltre, per accelerare la stagionatura dei formaggi li misero sotto pressione con dei pesi forati (pressatura). Arte casearia vera e propria, dunque. Che diffusero nelle terre conquistate. Risale infatti al 58 d.C. il primo formaggio prodotto in Svizzera, come riferito da Plinio il Vecchio, che parla della tribù degli Elvetici. Gli inglesi, invece, arrivarono più tardi. Bisognerà aspettare il 120 d.C., sotto l’impero di Adriano.

    Carlo Magno, tra “passione” e dicerie

    La prima parte del Medioevo fu un periodo conflittuale per il formaggio. Generato da pregiudizi. Gli ignoti meccanismi di coagulazione e fermentazione, difatti, erano visti con sospetto e i trattati di dietetica ne limitavano il consumo, in quanto si riteneva che solo piccole dosi di formaggio non nuocessero alla salute.

    #info formaggio e storia cheese and history - copertina x articolo-min

    Il Basso Medioevo fece giustizia al riguardo. Se in un primo momento il formaggio era considerato il cibo dei poveri, in quel lasso di tempo venne rivalutato, in quanto pietanza sostitutiva della carne nei giorni di astinenza infrasettimanale, di Vigilia e Quaresima.

    Le fonti autorevoli del Medioevo sono giocoforza quelle dei monaci e delle abbazie dove il formaggio veniva prodotto e consumato. I monasteri diedero un importante impulso alla produzione casearia. Nell’ambito delle loro attività economico-rurali, allevavano bovini stanziali. Pratica che permise la nascita di nuove varietà di formaggio.

    In una biografia di Carlo Magno risalente al IX secolo, si racconta di una visita, per la verità un po’ a sorpresa, dell’imperatore a un importante vescovo. L’imperatore, inatteso, aveva scelto un giorno di astinenza dalle carni e allora il vescovo, non disponendo di pesce per onorare l’illustre commensale, servì un semplice pasto che diede modo a Carlo di gustare quello che lui definì “un ottimo formaggio bianco e grasso”. Fece talmente breccia nel suo nel cuore che arrivò ad ordinarne due casse l’anno.

    Attenzione, però. Sul rapporto fra Carlo Magno e il formaggio le dicerie popolari si sprecano. Eginardo, ad esempio, descrive la perplessità dell’imperatore di fronte a una fetta di Gorgonzola. Mentre c’è chi giura che il nome della varietà Castelmagno (oggi una D.O.P.) deriva dal fatto che il sovrano ne era ghiotto… I periodi non coincidono, ma la storiella è suggestiva.

    Da cibo “povero” alle tavole “nobili”

    Le testimonianze sulla diffusione del formaggio nelle tavolate “nobili” iniziano a comparire tra il tardo Duecento e il Quattrocento nei ricettari di cucina.

    #info formaggio e storia cheese and history - copertina x articolo-min

    Inizialmente come ingrediente di vivande elaborate, in seguito con peso maggiore. Tanto da essere servito come pietanza alla mensa dei papi e ai matrimoni della famiglia de Medici e degli Estensi, che offrivano abbondanti bocconi di Parmigiano.

    Le tariffe dei pedaggi e le gabelle imperanti comprovano che, a partire almeno dal secolo XIII, formaggi di qualità differenti circolavano sulle strade d’Italia e, attraverso valichi alpini, raggiungevano spesso mercati molto lontani dalle zone d’origine. In quei secoli in Italia i formaggi più diffusi erano fondamentalmente due: il Marzolino, di origine toscana, chiamato così perché prodotto a marzo, e il Parmigiano, delle regioni cisalpine, detto anche “maggengo”, perché prodotto in maggio.

    Finché i monaci si scatenarono. A partire dal XII secolo proprio nelle Abbazie di Moggio Udinese, Chiaravalle, San Lorenzo di Capua, nacquero il Montasio, il Grana e la Mozzarella di bufala.

    E via tante altre tipologie diventate col tempo patrimonio dell’alimentare italiano.

    Dai nascondigli, ecco i formaggi di fossa

    Il formaggio di fossa merita due righe a parte. Secondo la leggenda, pare che la sua origine risalga al 1486, quando Alfonso d’Aragona, figlio del re di Napoli, reduce da una pesante sconfitta operata dai francesi, ottenne ospitalità da Girolamo Riario, Signore di Forlì.

    #info formaggio e storia cheese and history - copertina x articolo-min

    Siccome le risorse del Signore forlivese non riuscirono a lungo a sfamare Alfonso d’Aragona e le sue truppe, i soldati cominciarono a depredare i contadini delle zone circostanti. Che, per difendersi, presero l’abitudine di nascondere le provviste nelle fosse di arenaria. Quando, a novembre, gli eserciti partirono e non vi furono più rischi di scorrerie, i contadini dissotterrarono i loro approvvigionamenti. Si aspettavano di trovare del formaggio, ammuffito. Invece trovarono del formaggio che aveva cambiato le proprie caratteristiche organolettiche, acquistando un ottimo aroma.

    Così, per caso, venne scoperta una delle più ghiotte rarità gastronomiche della Romagna e delle Marche.

    + info su Formaggio.it

    + info e news “firmate” Formaggio.it

  • Brevissima storia del vino

    Brevissima storia del vino

    Brevissima storia del vino.

    é una news di Sorsi di vino e chiacchierevinobonomipaola.wordpress.com

    Il ritrovamento di alcuni semi risalenti all’anno 8000 A.C. permette di stabilire, anche se non con certezza, il periodo di inizio delle pratiche di viticoltura.

    Di sicuro intorno al 5000 A.C la VITIS VINIFERA compare nella cosiddetta mezzaluna fertile, l’area conosciuta come Mesopotamia.

    Dopo molti secoli i semi della vite migrarono verso l’Europa spinti dal vento.

    brevissima storia del vino 2-min

    Il vino era riservato ai ceti privilegiati ma non possiamo sapere quale fosse il colore ed il sapore dell’epoca. Il primo popolo a lasciarci testimonianze furono gli Egizi tramite affreschi nelle tombe: ci descrivono pergole basse e con molto fogliame per raccogliere meglio il calore della terra e proteggere i grappoli dal sole intenso.

    La fermentazione veniva eseguita con l’ ebollizione del mosto che era poi conservato in recipienti dal tappo forato in modo da far uscire l’anidride carbonica.

    brevissima storia del vino - copertina x notizia-min

    In seguito fu la volta degli antichi Greci che diffusero la cultura del vino studiando i tipi di vitigni e le tecniche di vinificazione ed istituendo addirittura delle feste per il dio Dioniso. Omero ci racconta che il vino greco proveniva dall’isola di Lemno era di buona struttura e di gusto fruttato; nella città di Troia si bevevano invece prodotti dell’Asia minore.

    I vini greci dovevano essere molto dolci e forti e perciò venivano tagliati con acqua di mare per dare sapidità o al contrario con miele per dare dolcezza.

    brevissima storia del vino 3-min

    Sono gli antichi Romani che aprono le porte al vino appena si accorgono che la produzione può significare commercio e quindi denaro. Scrivono della coltivazione della vite parlando soprattutto della qualità, e introducono il concetto di microzona, un’area con clima specifico nella quale produrre un vino di qualità.

    I Romani producevano vino soprattutto al centro e al sud. Secondo loro il vino Falerno o Mignano era immortale, poteva essere conservato fino a 200 anni. Il vino era tagliato con delle bacche (conditum).

    Con l’avvento del Cristianesimo e la decadenza dell’Impero romano il vino assume una funzione sacrale.

    Si arriva al Medioevo dove il vino è un mezzo per ubriacarsi e dimenticare il momento di declino finché, intorno al 1400, i benedettini si cominciano ad occupare del terreno e ad analizzarlo per stabilire quale sia il più adatto alla viticoltura (la Cote d’or viene suddivisa in appezzamenti).

    Nel ‘600-‘700 esplode la produzione di vini di qualità in Francia, nazione che inizia a dettare legge sul modo di coltivare, produrre e commerciare. A nord, nella zona della Champagne, si dice che il monaco dom Perignon abbia creato un metodo di fermentazione in bottiglia (Champenoise). In tempi più recenti si è invece accertato che questa tecnica fu opera di un altro monaco italiano, Francesco Sacchi (XIV secolo).

    L’Italia da questo punto di vista rimane un po’ statica perché contrappone alle teorie degli autori di trattati sulla vitivinicoltura l’arretratezza e l’analfabetismo dei vignaioli.

    Nel 1862 Luis Pasteur scopre le regole della fermentazione. Lo chiama l’imperatore per fargli vedere una vite giunta dall’America ma questa novità nasconde un grave malanno per i vitigni: la fillossera, un afide (parassita) che attacca le radici e lentamente distrugge la pianta europea. Si verifica una catastrofe ambientale e muore la quasi totalità dei vigneti..

    Per rimpiantare i vitigni si adotta la tecnica dell’innesto della marza autoctona (europea) su portainnesti provenienti dall’America, perché la fillossera non sembra gradire le radici americane.

    Restano comunque alcuni pregiati vitigni autoctoni come il prie blanc, il carignano , il fortana, l’ enantio che si sono salvati soprattutto in alta quota o vicino alle zone sabbiose dove non prolifera la fillossera.

    Attualmente l’unico paese al mondo interamente “franco-piede” è il Cile.

    brevissima storia del vino 4-min

    + info su Sorsi di vino e chiacchiere

    + news e info “firmate” Sorsi di vino e chiacchiere