Autore: Formaggio.it

  • UN TEMPO LA NATURA ERA UTILIZZATA, NON SFRUTTATA

    UN TEMPO LA NATURA ERA UTILIZZATA, NON SFRUTTATA

    UN TEMPO LA NATURA ERA UTILIZZATA, NON SFRUTTATA.

    La morfologia e il clima del territorio hanno riflesso sulla nostra alimentazione?

    formaggio

    é una news di www.formaggio.it

    Nei secoli scorsi le diverse situazioni climatiche “obbligavano” l’uomo ad alimentarsi secondo le necessità del luogo di residenza.  Le diverse caratteristiche del territorio italiano, determinate dalle diverse posizioni geografiche, hanno sempre influito sul metodo di vita, sul lavoro, e naturalmente sul tipo di alimentazione che seguiva la stagionalità soprattutto in funzione della reperibilità dei prodotti dell’agricoltura.

    Tempo indietro non era usuale caratterizzare l’alimentazione come la si definisce oggi “agro-alimentare” ma semplicemente veniva utilizzato tutto ciò che la terra produceva semplicemente in funzione di ciò che il contadino coltivava ma anche di ciò che si trovava in natura, libero e selvaggio, compreso la carne. Da ciò è facile intuire che in campagna così come in montagna si sfruttava in pieno la territorialità, la morfologia del territorio e lo sfruttamento massimo delle capacità umane e delle poche attrezzature.

    Così era che in montagna, nei pendii più inclinati, si lasciava che la natura si occupasse della crescita spontaneamente delle erbe che potevano essere sfalciate e, merito della gravità, e una volte essiccate al sole, facilmente portate a valle e stoccate nei fienili. Nei fondo valle e nelle pianure invece, la facilità di coltivare permetteva, così come lo permette ora, di lavorare la terra e coltivare in modo intensivo o estensivo secondo le esigenze.

    Vuoi allora che il vero sfruttamento della terra era il semplice seguire le varie mutazioni climatiche e la morfologia della terra, mentre ora viene sfruttato il terreno come fosse materiale da riproduzione e di conseguenza da sfruttare in modo continuo, senza alcun riposo, per ottenere risultati sempre più remunerativi. Per ciò la grande differenza fra un tempo che fu e oggi è che la natura era utilizzata e non sfruttata.

    Tutto questo breve ragionamento si ripercuote anche sulla situazione dell’alimentazione ovviamente quale risultato del recupero di ciò che la terra poteva e può dare. Un tempo la situazione climatica differenziava l’alimentazione tanto da influenzare la produzione. Un esempio emblematico è quello del burro, prodotto dello sbattimento del grasso del latte, che veniva fatto soprattutto nell’arco alpino dove evidentemente il clima consentiva il suo uso per scopi energetici ma anche il suo smaltimento causa le fatiche lavorative che la montagna adduceva. Il clima e lo sfruttamento del suolo hanno anche riflesso nei luoghi caldi come il nostro Meridione dove naturalmente le necessità erano all’opposto di quelle dell’arco alpino ovvero, smaltire il burro diventava davvero problematico così come mantenerlo in luoghi dove la refrigerazione naturale era impossibile.

    Oggi si è capovolto il tutto, tanto da non esistere più, o quasi più, l’abitudine e la tradizione alimentare basata sulla peculiarità climatica. A dire la verità e per fortuna, le produzioni dell’agro-alimentare italiano, ovvero i prodotti tradizionali, (Pat) esistono ancora anche se numericamente molto inferiori ai prodotti commerciali, e per questo la loro valorizzazione dovrebbe essere in vetta alle preoccupazioni di tutti. Salvaguardare queste produzioni non significa essere obbligati a utilizzarle secondo la morfologia o il clima del territorio, cioè solo nel luogo di origine, anche perché oggi abbiamo la fortuna dei trasferimenti e dei trasporti rapidi, ma in funzione di un tipo di alimentazione più sano è più buono, e perché no, più attento al nostro passato.

    Oggi è cambiato tutto, si trova la mozzarella fatta in malga, e qui inorridisco, come il burro di pecora in Sardegna. Tutto è cambiato, non dico nulla di nuovo, come non uso fantasia a dire che la commercializzazione, le vendite on line hanno portato certamente facilità di divulgazione di prodotti, anche quelli difficilmente reperibili, ma hanno determinato uno zibaldone di usanze che di tradizionale non hanno nulla. Non possiamo rifiutare scambi commerciali globali se noi stessi globalizziamo la nostra vita e la nostra alimentazione che si allontana sempre più dalla famosa e invidiata dieta mediterranea.

    È bene ricordare che il nostro Paese è “fatto” di alimenti tradizionali ma senza il loro consumo, da parte nostra, questi prodotti non avranno il giusto utilizzo sulle nostre tavole, che invece dovrebbero avere, e di conseguenza anche lo sbocco economico meritato.

     Scritto da Michele Grassi per Formaggio.it;
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    Formaggio.it – l’ambasciatore del formaggio italiano nel mondo. A un formaggio corrisponde un territorio. Uno spicchio, tanti spicchi di un’Italia che ha nei paesaggi da sogno e nelle risorse culturali e artistiche uniche un fascino riconosciuto. I formaggi italiani mettono in relazione la loro funzione esterna di conoscenza e connessione dei singoli territori con il mercato esterno per accrescere l’appeal dei visitatori. Una vocazione che Formaggio.it sviluppa e indirizza nei canali che motivano il turista-gourmet, facendo assurgere le varie tipologie di formaggi a propulsore di promozione per le specificità e le potenzialità di province e località.

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  • NATURE WAS ONCE USED, NOT EXPLOITED

    NATURE WAS ONCE USED, NOT EXPLOITED

    NATURE WAS ONCE USED, NOT EXPLOITED.

    Did the morphology and the climate of the territory have influenced the way we eat?

    formaggio

    it is a news by www.formaggio.it

    Over past centuries the different climate “forced” the man into fed himself according to the place’s characteristics where he was living. Italian territory different characteristics due to different geographical positions, always influenced the way of life, the job, and the diet, of course, which followed the seasonality, due to the availability of farmed products.

    It was not usual to eat as well as we use to say “agri-food”, but it was used to eat foods which were simply produced in the fields. Also, foods changed up to what the farmer cultivated and ut to which was available around lands, free and wild, including game. Starting from those assumptions it is easy to understand how the countryside’s land as well as the mountains’ land was exploiting in according to the territory and its morphology. Furthermore the human skills were over exploited despite few tools.

    It was common if there were mountains, in the most steep slopes, herbs were spontaneously grown by the nature and cutted by men, after that dryed “under the sun” herbs should easily brought downstream to were been stored into haylofts. If there were valley bottoms and lowlands, the simply tasks in cultivating allowed the soils been worked according to intensive and extensive crops. The “mantra” was simple “follow the various climatic changes and the morphology of the lands”. Today, on the contrary,the soil is overexploited and with no rest, in according to get the most profitable results.

    If we compare past and nowadays the big difference is: the nature was once used and not exploited.

    Which is written above affect the actual food production. Once the food use was fit to area’s weather, the weather also affect decision about what to produce. For example, consider how butter is used and eaten. The butter is a milk byproduct, which was made especially in the Alps mountains where the climate allowed to exploit cold temperature for storage and people used it to supply energy while working.

    Climate and land also affect more warmer places, such as our Southern part of Italy. Here needs were the opposite of those in the Alps or, and for example consumption of butter became really problematic as well as it was problematic to kept it in cool places.

    Today everything is overturned, it does not exist anymore, or almost, the use to use food considering climate facts. The Italian agro-food production – that is listed in the traditional products paper (PAT) – still exist, even if those products are much lower than commercial ones. Their promotion and how to valorize them should be one of the first concerns of all.

    Today it is possible to find mozzarella from the Alps, and the sheep butter from Sardinia. We do not have to force the protection of these products and production techniques according to the morphology or the climate of their land. Also we do not have to force in eating that products only in the place of origin. Today we take advantage of rapid transport system, fortunately.

    But, in according to keep protected traditional products, we have to force ourselves for choosing healthier foods, this could mean “products like ones were produces over years before”.

    I do not have to use my fantasy in saying the marketing and online sales improved product promotion, for sure, even for those products difficult to find. But marketing and online sales made happen changes in how traditions are perceived by customers. Today, we can not reject global trade if we ourselves have globalized our lifestyle and our diet which is moving far away from the Mediterranean diet, the most famous and the most envied.

    But it has to be noticed: Italy is “made” of traditional foods. If we do not buy these traditional products and if we do not start having them on our tables and diet… these products will never reach the market they deserve.

     Written by Michele Grassi for Formaggio.it;
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    Formaggio.it – the ambassador of Italian cheese in the world. One cheese is one territory. A clump, so many clusters of an Italy that has a paradisiac landscapes and unique cultural and artistic resources with an acknowledged charm. Italian cheeses relate their external function of knowledge and connection of individual territories with the external market to increase the appeal for visitors. Formaggio.it develops this vocation with his channel which motivates the tourist-gourmet by taking on the various types of promotional cheeses for the specificities and potentials of provinces and towns.

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  • Formaggio e storia

    Formaggio e storia

    Formaggio e storia.

     è un articolo di Formaggio.itformaggio.it

    In una statistica di qualche anno fa è stato chiesto agli italiani cosa non deve mai mancare nei loro frigoriferi. La risposta più gettonata è stata: il formaggio.

    Cos’è il formaggio?

    É natura e vita.

    #info formaggio e storia cheese and history - mummie cinesi-min

    Il formaggio si fa solo con il latte o con la panna, qualsiasi etichetta che non riporti queste due materie prime, da sole o insieme, non indica un formaggio.

    Al di là del gradimento di consumo, però, vediamo nel dettaglio cos’è il formaggio. E’ prima di tutto un alimento eccezionale, sotto tutti i punti di vista.

    Inoltre, è l’alimento territoriale per eccellenza, non c’è un luogo in Italia che non abbia il suo formaggio tipico. Il legame con il territorio è talmente radicato che il consumatore è il primo sostenitore, sotto vari aspetti, del formaggio locale.

    In realtà è la composizione fisica e chimica del formaggio a renderlo un alimento completo, tanto da essere inserito in molte diete.

    Ciò che dice con certezza cos’è il formaggio, però, è solo la definizione data dal legislatore dell’Art. 32, del R.D.L. 15/10/25: “Il nome di formaggio o cacio è destinato al prodotto che si ricava dal latte intero, ovvero parzialmente o totalmente scremato, oppure dalla crema, in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di fermenti e di sale da cucina”. A nostro avviso, questa è una definizione chiarissima. Il formaggio, infatti, si fa solo con il latte o con la panna, qualsiasi etichetta che non riporti queste due materie prime, da sole o insieme, non indica un formaggio. Il latte può essere utilizzato intero o scremato, crudo o pastorizzato, inoculato o meno con fermenti lattici naturali o selezionati, che sono la vita del latte originale e del formaggio prodotto. Quest’ultimo è un prodotto talmente vitale che a volte per produrlo basta guidare il latte nella sua fermentazione naturale. Fa tutto da solo. E ci regala qualcosa di stupendo.

    Si perde nel tempo

    La scoperta più recente sono tracce di formaggio su una mummia ritrovata nella parte nordoccidentale della Cina risalente al 1615 a.C.

    #info formaggio e storia cheese and history - copertina x articolo-min

    Cominciamo con la leggenda, perché un po’ di “colore” ci vuole sempre. La leggenda, appunto, narra che un mercante arabo, nell’attraversare il deserto, portò con sé, come pietanza, del latte contenuto in una bisaccia ricavata dallo stomaco di una pecora. Il caldo, gli enzimi della bisaccia e l’azione del movimento acidificarono il latte trasformandolo in “formaggio”.

    Latte, enzimi, movimento, acidificazione: un nesso c’è.

    Ma non fa storia. Stando a quella ufficiale. Che, invece, tira in ballo gli antichi greci. Già, anche in questa faccenda bisogna partire da lì. Per scoprire le origini dell’etimologia della parola “formaggio”. Deriva, infatti, da “formos”, termine usato per indicare il paniere di vimine dove veniva depositato il latte cagliato per dargli forma. Il “formos” divenne poi la “forma” dei romani, quindi il “fromage” dei francesi, per arrivare all’italianissimo “formaggio”.

    Per quanto riguarda la nascita del formaggio, invece, il modo di dire “perdersi nella notte dei tempi” è più che mai calzante.

    Il formaggio più antico del mondo

    C’è però un riscontro oggettivo, e anche piuttosto recente, datato 2014.

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    Il formaggio più antico del mondo, infatti, è stato rinvenuto sul petto e sul collo di una mummia ritrovata nella parte nordoccidentale della Cina (nel deserto Taklamakan) risalente al 1615 a.C. Si trattava delle tipiche offerte fatte dai vivi ai defunti per il viaggio nell’aldilà. I grumi di formaggio sono stati trovati conservati in un ambiente quasi ermetico sui corpi di 10 mummie misteriose dell’Età del bronzo. L’analisi dei reperti ha rivelato che si trattava di un formaggio a coagulazione lattica, trasformato quindi senza l’uso di caglio, bensì grazie all’azione di lactobacilli e saccaromiceti, per molti versi affine al kefir, derivato del latte che avrebbe origini caucasiche. Inoltre, le analisi compiute hanno rivelato che il formaggio in questione aveva un basso contenuto di sale e che per questo poteva essere destinato ad un consumo locale.

    Le prime tracce di allevamenti

    Le prime tracce di allevamento di pecore e capre sono state trovate in Asia e risalgono al 7.000- 6000 a.C.

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    Con la pastorizia, le risorse alimentari dell’uomo derivavano dalla carne e dal latte. Quest’ultimo deperiva. Un emerito sconosciuto un bel giorno si illuminò notando che il latte, lasciato per un certo periodo di tempo in alcuni recipienti, coagulava spontaneamente se vi veniva aggiunto del lattice di fico. In seguito a questo processo la parte solida si divideva in una parte liquida (siero) e in una pasta (cagliata) che aumentava di consistenza fino a prendere la forma del contenitore.

    L’acidificazione a opera della microflora microbica, dunque, è sicuramente la prima trasformazione del latte praticata nei tempi antichi. Non era altro che il modo più semplice per “conservare” nella sua forma solida una materia prima liquida e deperibile.

    Dalla Bibbia a Omero

    Da qui prese avvio anche la produzione del formaggio molle, consumato esclusivamente fresco. Incredibile, ma vero. Già in quei tempi remoti ci si confrontava con la digeribilità.

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    Il latte incontrava problematiche (conferma della carenza atavica dell’enzima lattasi nella specie umana), mentre il formaggio risultava più facile da digerire. Partita, quindi, subito vinta da quest’ultimo.

    Il documento più antico che conferma la pratica di ricavare formaggio dal latte risale a reperti di origine mesopotamica datati III millennio a.C. Sono i primi documenti che mostrano le fasi di lavorazione del formaggio, in particolare il “Fregio della latteria”, un bassorilievo sumero che rappresenta dei sacerdoti nell’operazione di mungitura.

    Testimonianze dell’uso del formaggio si hanno in tutto il mondo antico: in Europa, in Africa, e in Asia.

    Le fonti? autorevolissime: la Bibbia e Omero (nell’Odissea, Polifemo preparava del formaggio), ma anche Ippocrate, che nel IV secolo a.C. parla delle caratteristiche salutari del formaggio; Aristotele, dal canto suo, descrive per primo il metodo per ottenere formaggio dal coagulante di fico.

    I Romani andarono oltre con la stagionatura

    In una storia così avvincente, però, non può mancare la mitologia. La quale, fa risalire l’uso del formaggio ad Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene. Quest’ultima avrebbe insegnato agli uomini l’arte casearia, oltre a quella della pastorizia e dell’apicultura.

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    Sempre la mitologia, tira in ballo anche Amaltea, la nutrice di Giove, proprietaria di una celebratissima capra cretese.

    Per quanto riguarda la sua valenza energetica, invece, il formaggio era considerato un alimento particolarmente adatto agli atleti che gareggiavano alle Olimpiadi.

    Anche i Romani erano produttori e consumatori di formaggio. Oltre al latte degli ovini, cominciarono a adoperare anche quello di vacca (usato di rado dai predecessori, in quanto ritenuto nocivo) e appresero come stagionarli. Una sorta di prima classificazione arriva da Marco Terenzio Varrone che illustra i principali tipi di formaggi consumati nel II secolo a.C. (vaccini, caprini e ovini freschi e stagionati) e nel De rustica documenta come il gusto dell’epoca fosse rivolto ai formaggi ottenuti con il caglio di lepre o capretto, anziché di agnello.

    E gli Etruschi? Sì, ci misero del loro. Perfezionando l’uso di coagulanti di tipo vegetale, come il fiore di cardo e il latte di fico, e le loro tecniche di applicazione. Quelli di agnello o di capretto, però, incontravano di più.

    I Romani, che la sapevano lunga, arrivarono a utilizzare anche lo zafferano e l’aceto. Inoltre, per accelerare la stagionatura dei formaggi li misero sotto pressione con dei pesi forati (pressatura). Arte casearia vera e propria, dunque. Che diffusero nelle terre conquistate. Risale infatti al 58 d.C. il primo formaggio prodotto in Svizzera, come riferito da Plinio il Vecchio, che parla della tribù degli Elvetici. Gli inglesi, invece, arrivarono più tardi. Bisognerà aspettare il 120 d.C., sotto l’impero di Adriano.

    Carlo Magno, tra “passione” e dicerie

    La prima parte del Medioevo fu un periodo conflittuale per il formaggio. Generato da pregiudizi. Gli ignoti meccanismi di coagulazione e fermentazione, difatti, erano visti con sospetto e i trattati di dietetica ne limitavano il consumo, in quanto si riteneva che solo piccole dosi di formaggio non nuocessero alla salute.

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    Il Basso Medioevo fece giustizia al riguardo. Se in un primo momento il formaggio era considerato il cibo dei poveri, in quel lasso di tempo venne rivalutato, in quanto pietanza sostitutiva della carne nei giorni di astinenza infrasettimanale, di Vigilia e Quaresima.

    Le fonti autorevoli del Medioevo sono giocoforza quelle dei monaci e delle abbazie dove il formaggio veniva prodotto e consumato. I monasteri diedero un importante impulso alla produzione casearia. Nell’ambito delle loro attività economico-rurali, allevavano bovini stanziali. Pratica che permise la nascita di nuove varietà di formaggio.

    In una biografia di Carlo Magno risalente al IX secolo, si racconta di una visita, per la verità un po’ a sorpresa, dell’imperatore a un importante vescovo. L’imperatore, inatteso, aveva scelto un giorno di astinenza dalle carni e allora il vescovo, non disponendo di pesce per onorare l’illustre commensale, servì un semplice pasto che diede modo a Carlo di gustare quello che lui definì “un ottimo formaggio bianco e grasso”. Fece talmente breccia nel suo nel cuore che arrivò ad ordinarne due casse l’anno.

    Attenzione, però. Sul rapporto fra Carlo Magno e il formaggio le dicerie popolari si sprecano. Eginardo, ad esempio, descrive la perplessità dell’imperatore di fronte a una fetta di Gorgonzola. Mentre c’è chi giura che il nome della varietà Castelmagno (oggi una D.O.P.) deriva dal fatto che il sovrano ne era ghiotto… I periodi non coincidono, ma la storiella è suggestiva.

    Da cibo “povero” alle tavole “nobili”

    Le testimonianze sulla diffusione del formaggio nelle tavolate “nobili” iniziano a comparire tra il tardo Duecento e il Quattrocento nei ricettari di cucina.

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    Inizialmente come ingrediente di vivande elaborate, in seguito con peso maggiore. Tanto da essere servito come pietanza alla mensa dei papi e ai matrimoni della famiglia de Medici e degli Estensi, che offrivano abbondanti bocconi di Parmigiano.

    Le tariffe dei pedaggi e le gabelle imperanti comprovano che, a partire almeno dal secolo XIII, formaggi di qualità differenti circolavano sulle strade d’Italia e, attraverso valichi alpini, raggiungevano spesso mercati molto lontani dalle zone d’origine. In quei secoli in Italia i formaggi più diffusi erano fondamentalmente due: il Marzolino, di origine toscana, chiamato così perché prodotto a marzo, e il Parmigiano, delle regioni cisalpine, detto anche “maggengo”, perché prodotto in maggio.

    Finché i monaci si scatenarono. A partire dal XII secolo proprio nelle Abbazie di Moggio Udinese, Chiaravalle, San Lorenzo di Capua, nacquero il Montasio, il Grana e la Mozzarella di bufala.

    E via tante altre tipologie diventate col tempo patrimonio dell’alimentare italiano.

    Dai nascondigli, ecco i formaggi di fossa

    Il formaggio di fossa merita due righe a parte. Secondo la leggenda, pare che la sua origine risalga al 1486, quando Alfonso d’Aragona, figlio del re di Napoli, reduce da una pesante sconfitta operata dai francesi, ottenne ospitalità da Girolamo Riario, Signore di Forlì.

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    Siccome le risorse del Signore forlivese non riuscirono a lungo a sfamare Alfonso d’Aragona e le sue truppe, i soldati cominciarono a depredare i contadini delle zone circostanti. Che, per difendersi, presero l’abitudine di nascondere le provviste nelle fosse di arenaria. Quando, a novembre, gli eserciti partirono e non vi furono più rischi di scorrerie, i contadini dissotterrarono i loro approvvigionamenti. Si aspettavano di trovare del formaggio, ammuffito. Invece trovarono del formaggio che aveva cambiato le proprie caratteristiche organolettiche, acquistando un ottimo aroma.

    Così, per caso, venne scoperta una delle più ghiotte rarità gastronomiche della Romagna e delle Marche.

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  • Cheese and history

    Cheese and history

    Cheese and history.

     it is an article by Formaggio.itformaggio.it

    A few years ago Italians were asked what should never be lacking in their refrigerators. The most popular answer was: cheese.

    What do the cheese is?

    It is nature and life.

    #info formaggio e storia cheese and history - mummie cinesi-min

    The cheese is made only with milk or milk cream, any label that does not report these two raw materials, alone or together, does not indicate a cheese.

    Beyond the consumer satisfaction, however, let’s see in detail what cheese is. It is above all an exceptional food, from all points of view.

    Moreover, it is the territorial food par excellence, there is no place in Italy that does not have its typical cheese. The link with the land is so deeply rooted that the consumer is the first supporter, in many ways, of the local cheese.

    In reality it is the physical and chemical composition of the cheese that makes it a complete dish, so much so that it is included in many diets.

    What says with certainty what cheese is, however, is only the definition given by the legislator of Article 32, of the R.D.L. 10/15/25: “The name of cheese or cheese is intended for the product obtained from whole milk, partially or totally skimmed, or from the cream, following acid or rennet coagulation, also using ferments and salt from kitchen “. In our opinion, this is a very clear definition. The cheese, in fact, is made only with milk or cream, any label that does not report these two raw materials, alone or together, does not indicate a cheese. The milk can be used whole or skimmed, raw or pasteurized, inoculated or not with natural or selected milk enzymes, which are the life of the original milk and the cheese produced. The latter is such a vital product that sometimes to make it just drive the milk in its natural fermentation. He does everything by himself. And give us something wonderful.

    Lost in time

    The most recent discovery is traces of cheese on a mummy found in the north-western part of China dating back to 1615 BC.

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    Let’s start with the legend, because a bit of “color” is always good. The legend, in fact, tells that an Arab merchant, crossing the desert, brought with him, as a dish, the milk contained in a bag made from the stomach of a sheep. The heat, the enzymes of the bag and the action of the movement acidified the milk turning it into “cheese”.

    Milk, enzymes, movement, acidification: there is a link.

    According to the official history, brings up the ancient Greeks. Yeah, we’ve to start from they. To discover the origins of the etymology of the word “cheese”. It derives, in fact, from “formos”, a term used to indicate the basket where the curdled milk was deposited to give it shape. The “formos” then became the “form” of the Romans, then the “fromage” of the French, to get to the very Italian “cheese”.

    As for the birth of cheese, however, the way to say “lost in time”, it’s spot on.

    The oldest cheese in the world

    However, there is an objective, and even rather recent, comparison dated 2014.

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    The oldest cheese in the world, in fact, was found on the chest and neck of a mummy found in the northwestern part of China (in the Taklamakan desert) dating back to 1615 BC. These were the typical offers made by the living to the dead for the journey in the afterlife. The lumps of cheese were found preserved in an almost hermetic environment on the bodies of 10 mysterious mummies of the Bronze Age. The analysis of the finds revealed that it was a lactic coagulation cheese, transformed without the use of rennet, but thanks to the action of yeasts, in many ways related to kefir, derived from milk that would have Caucasian origins . Furthermore, analyzes revealed that the cheese had a low salt content and that this could be used for local consumption.

    First farming traces

    First traces of sheep and goat breeding were found in Asia and date back to 7,000- 6000 BC.

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    With pastoralism, man’s food resources derived from meat and milk. The latter deteriorated. An unknown emerit one day brightened up noticing that the milk, left for some time in some containers, spontaneously coagulated if fig latex was added. Following this process the solid part was divided into a liquid part (whey) and a paste (curd) which increased in consistency until it took the shape of the container.

    The acidification by microbial microflora, therefore, is certainly the first transformation of milk practiced in ancient times. It was nothing but the easiest way to “preserve” in its solid form a liquid and perishable raw material.

    From the Bible to Homer

    From here started also the production of soft cheese, consumed exclusively fresh. Incredible, but true. Already in those remote times we were confronted with digestibility.

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    The milk cause problems (confirmation of the deficiency of the enzyme lactase in the human species), while the cheese was easier to digest. Game, then, immediately won by the latter.

    The oldest document confirming the practice of making cheese from milk dates back to findings of Mesopotamian origin dated III millennium BC. These are the first documents that show the processing stages of the cheese, in particular the “Frieze of the Dairy”, a Sumerian bas-relief representing the priests in the milking operation.

    Testimonies of the use of cheese are found throughout the ancient world: in Europe, in Africa, and in Asia.

    The sources? very authoritative: the Bible and Homer (in the Odyssey, Polyphemus prepared cheese), but also Hippocrates, who in the fourth century BC talk about the healthy characteristics of the cheese; Aristotle, for his part, first describes the method for obtaining cheese from the fig coagulant.

    The Romans and the seasoning

    In such a compelling story, however, mythology can not be missing. Which traces the use of cheese to Aristeo, son of Apollo and the nymph Cyrene. The latter would teach men the art of cheese, in addition to that of pastoralism and beekeeping.

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    Always the mythology, brings into play also Amaltea, the nurse of Jupiter, owner of a celebrated Cretan goat.

    As for its energy value, however, the cheese was considered a food particularly suitable for athletes who competed at the Olympics.

    Even the Romans were producers and consumers of cheese. In addition to sheep’s milk, they also began to use cow’s milk (rarely used by their predecessors, since they were considered harmful) and learned how to season them. A sort of first classification comes from Marco Terenzio Varrone illustrating the main types of cheeses consumed in the 2nd century BC. (fresh and seasoned cow, goat and sheep) and in De rustica documents how the taste of the age was aimed at cheeses obtained with hare or goat rennet instead of lamb.

    And the Etruscans? They used to perfecting the use of vegetable type coagulants, such as thistle flower and fig milk, and their application techniques. Those of lamb or kid, however, met more.

    The Romans, also used to use saffron and vinegar. Moreover, to accelerate the seasoning of the cheeses they put them under pressure by pressing with big stones. Real dairy art, therefore. Which spread in the conquered lands. It dates back to 58 A.D. the first cheese produced in Switzerland, as reported by Pliny the Elder, who speaks of the Helvetic tribe. The English, however, arrived later. It will be necessary to wait for 120 A.D., under the empire of Hadrian.

    Carlo Magno, tra “passione” e dicerie

    La prima parte del Medioevo fu un periodo conflittuale per il formaggio. Generato da pregiudizi. Gli ignoti meccanismi di coagulazione e fermentazione, difatti, erano visti con sospetto e i trattati di dietetica ne limitavano il consumo, in quanto si riteneva che solo piccole dosi di formaggio non nuocessero alla salute.

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    Il Basso Medioevo fece giustizia al riguardo. Se in un primo momento il formaggio era considerato il cibo dei poveri, in quel lasso di tempo venne rivalutato, in quanto pietanza sostitutiva della carne nei giorni di astinenza infrasettimanale, di Vigilia e Quaresima.

    Le fonti autorevoli del Medioevo sono giocoforza quelle dei monaci e delle abbazie dove il formaggio veniva prodotto e consumato. I monasteri diedero un importante impulso alla produzione casearia. Nell’ambito delle loro attività economico-rurali, allevavano bovini stanziali. Pratica che permise la nascita di nuove varietà di formaggio.

    In una biografia di Carlo Magno risalente al IX secolo, si racconta di una visita, per la verità un po’ a sorpresa, dell’imperatore a un importante vescovo. L’imperatore, inatteso, aveva scelto un giorno di astinenza dalle carni e allora il vescovo, non disponendo di pesce per onorare l’illustre commensale, servì un semplice pasto che diede modo a Carlo di gustare quello che lui definì “un ottimo formaggio bianco e grasso”. Fece talmente breccia nel suo nel cuore che arrivò ad ordinarne due casse l’anno.

    Attenzione, però. Sul rapporto fra Carlo Magno e il formaggio le dicerie popolari si sprecano. Eginardo, ad esempio, descrive la perplessità dell’imperatore di fronte a una fetta di Gorgonzola. Mentre c’è chi giura che il nome della varietà Castelmagno (oggi una D.O.P.) deriva dal fatto che il sovrano ne era ghiotto… I periodi non coincidono, ma la storiella è suggestiva.

    Da cibo “povero” alle tavole “nobili”

    Le testimonianze sulla diffusione del formaggio nelle tavolate “nobili” iniziano a comparire tra il tardo Duecento e il Quattrocento nei ricettari di cucina.

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    Inizialmente come ingrediente di vivande elaborate, in seguito con peso maggiore. Tanto da essere servito come pietanza alla mensa dei papi e ai matrimoni della famiglia de Medici e degli Estensi, che offrivano abbondanti bocconi di Parmigiano.

    Le tariffe dei pedaggi e le gabelle imperanti comprovano che, a partire almeno dal secolo XIII, formaggi di qualità differenti circolavano sulle strade d’Italia e, attraverso valichi alpini, raggiungevano spesso mercati molto lontani dalle zone d’origine. In quei secoli in Italia i formaggi più diffusi erano fondamentalmente due: il Marzolino, di origine toscana, chiamato così perché prodotto a marzo, e il Parmigiano, delle regioni cisalpine, detto anche “maggengo”, perché prodotto in maggio.

    Finché i monaci si scatenarono. A partire dal XII secolo proprio nelle Abbazie di Moggio Udinese, Chiaravalle, San Lorenzo di Capua, nacquero il Montasio, il Grana e la Mozzarella di bufala.

    E via tante altre tipologie diventate col tempo patrimonio dell’alimentare italiano.

    Dai nascondigli, ecco i formaggi di fossa

    Il formaggio di fossa merita due righe a parte. Secondo la leggenda, pare che la sua origine risalga al 1486, quando Alfonso d’Aragona, figlio del re di Napoli, reduce da una pesante sconfitta operata dai francesi, ottenne ospitalità da Girolamo Riario, Signore di Forlì.

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    To supply and feed their needings, Alfonso of Aragon with his troops began to plunder the peasants of the surrounding areas of Forlí. Peasants, to defend themselves, start to hiding supplies in sandstone pits. When, in November, the soldiers left and there were no more risks of raids, the peasants unearthed their supplies. They expected to find moldy cheese. Instead they found some cheese that had changed its organoleptic characteristics, acquiring an excellent aroma.

    Thus, by luck, one of the most delicious gastronomic rarities of Romagna and Marche was discovered.

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  • Il formaggio, la dieta del futuro

    Il formaggio, la dieta del futuro

    Il formaggio, la dieta del futuro.

     è un articolo di Formaggio.itformaggio.it

    Il formaggio non fa male anzi è consigliato dagli scienziati.

    Se ne è parlato molto del formaggio come alimento che, se consumato in eccesso, può far ingrassare. Poi c’è la questione del colesterolo, è innegabile, anche se non sempre è colesterolo cattivo. Ma ciò che ci conforta è lo studio della University College Dublin, il cui risultato è per lo più molto interessante perché afferma che mangiare formaggio ci rende più sani.

    Fantastico, la notizia è pubblicata su Nutrition and Diabetes e nello studio effettuato vengono spiegate le motivazioni che sconfessano il formaggio come alimento dannoso alla salute.

    La ricerca ha impegnato gli scienziati a esaminare l’impatto di cibi di uso quotidiano su un complesso di oltre 1500 persone di età variabile fra 18 e 90 anni.

    I cibi utilizzati sono stati il latte, lo yogurt e naturalmente il formaggio, ma anche altri alimenti preparati a base di latte e anche il burro. Nonostante l’assunzione di grassi saturi in maggiore quantità, nei soggetti che mangiavano formaggi, i livelli di colesterolo rimanevano alla pari di che di formaggio ne mangiava meno o mangiavano solo latte e yogurt.

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    È stato scoperto inoltre che con l’assunzione di molto formaggio vi era una ridotta percentuale di grasso corporeo, un girovita inferiore e pressione del sangue più bassa.

    Insomma mangiare il formaggio potrebbe davvero essere la dieta del futuro?

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    Noi crediamo di si.

     info su Formaggio.it

  • Cheese, the diet of the future

    Cheese, the diet of the future

    Cheese, the diet of the future.

     it is an article by Formaggio.itformaggio.it

    The cheese does not hurt so it’s recommended by scientists.

    Much has been said about cheese as a food that, if consumed in excess, can make you fat. Then there is the issue of cholesterol, it is undeniable, though it is not always bad cholesterol. But there is the study of the University College Dublin, the result of which is interesting because it says that eating cheese makes us healthier.

    Fantastic, the news is published on Nutrition and Diabetes, and the study explains the reasons for defecting cheese as a health food.

    Research has led scientists to examine the impact of daily food on a complex of over 1,500 people aged between 18 and 90 years.

    The foods used were milk, yogurt and of course cheese, but also other prepared milk-based foods and even butter. Despite the intake of saturated fat in greater quantities, for people who ate cheeses, cholesterol levels remained the same as that of cheese eating less or eating only milk and yogurt.

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    It has also been found that with the assumption of a lot of cheese there was a reduced percentage of body fat, a lower waist and lower blood pressure.

    In short, eating cheese could really be the diet of the future?

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    We believe so.

     info about Formaggio.it

  • Burrata di Andria IGP, una nuova IGP per l’Italia

    Burrata di Andria IGP, una nuova IGP per l’Italia

    Una nuova Igp per l’Italia, la Burrata di Andria

    articolo letto su formaggio.it

    La Burrata è un formaggio fresco a pasta filata con panna.

    E’ arrivato il momento della Burrata di Andria IGP, seconda indicazione geografica protetta dopo il Canestrato di Moliterno, guarda caso tutte e due specialità del sud Italia che lavora. L’articolo 3.2 del disciplinare di produzione approvato dalla CE recita così:

    la Burrata di Andria I.G.P. è un formaggio prodotto con latte vaccino e ottenuto dall’unione di panna e formaggio a pasta filata. L’involucro è costituito esclusivamente da pasta filata che racchiude, al suo interno, una miscela di panna e pasta filata sfilacciata.

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    Un formaggio della tradizione pugliese che raggiunge le vette del’Europa e che, speriamo, possa raggiungere le tavole di tutti gli italiani e, perché no dell’intera Europa.

    La Burrata nasce nei primi decenni del 1900 dall’ingegno di Lorenzo Bianchino per conservare il latte e la panna, che non poteva consegnare a causa di una forte nevicata. Fu per questo che emulò la mantèca, formaggio a pasta filata contenente burro. Da allora la burrata continua a dare soddisfazione al consumatore e, naturalmente, al produttore.

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    La Puglia annovera nelle produzioni casearie alcuni formaggi di denominazione d’origine come il Canestrato pugliese DOP, in parte della regione la Mozzarella di bufala campana DOP, così come il Caciocavallo Silano DOP e la Ricotta di bufala campana DOP, e tanti altri formaggi registrati come produzioni agroalimentari tradizionali (PAT).

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    Con la Burrata di Andria si viene a completare, a merito di un’industria agroalimentare di altissimo livello, la tradizione dell’arte casearia pugliese.

    foto by domaniandriese.it, finedininglovers-it.cdn.crosscast-system.com, caseificioprimolatte.com

  • Burrata di Andria IGP, new IGP for Italy

    Burrata di Andria IGP, new IGP for Italy

    New IGP for Italy, the Burrata di Andria.

    article read on formaggio.it

    The Burrata is a fresh cheese with spun dough with cream.

    Burrata di Andria IGP was born, the second protected geographical indication for cheese after the IGP Canestrato di Moliterno, just happens both specialties of the south of Italy that works. Article 3.2 of the production regulations approved by the CE reads as follows:

    Burrata di Andria IGP is a cheese made from cow’s milk and obtained from the union of cream and cheese made of spun dough. The envelope consists exclusively of spun dough that contains, inside, a mixture of cream and frayed spun dough.

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    A cheese from Puglia that reaches Europe, we hope, to reach the tables of all Italians and why not the whole of European citizens.

    The Burrata was born in the early 1900s by the genius of Lorenzo Bianchini to preserve milk and cream, which could not be delivered due to a strong snowfall. He emulated the Manteca, spun dough cheese containing butter. Since then the burrata continues to give satisfaction to the consumer and, of course, the manufacturer.

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    Puglia counts in dairy products several denomination of origin cheeses such as DOP Canestrato Pugliese, in part of the region DOP Mozzarella di Bufala, as well as DOP Caciocavallo Silano and DOP Ricotta di Bufala, and many other cheeses registered as traditional agricultural food production (PAT).

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    Burrata di Andria comes to complete, in order to the high level agri-food industry, the apulian dairy tradition.